La legittimazione dei soci ad impugnare le delibere del c.d.a.

Lorenzo Vaglio Tanet
01 Aprile 2021

Anche nel regime precedente alla modifica dell'art. 2388, comma 4, c.c., intervenuta ad opera del D.Lgs. n. 6/2003, le deliberazioni del consiglio di amministrazione contrastanti con la legge o con lo statuto potevano essere impugnate dai soci nel caso in cui si fosse configurata una lesione diretta dei loro diritti.
Massima

Anche nel regime precedente alla modifica dell'art. 2388, comma 4, c.c., intervenuta ad opera del D.Lgs. n. 6/2003, le deliberazioni del consiglio di amministrazione contrastanti con la legge o con lo statuto potevano essere impugnate dai soci nel caso in cui si fosse configurata una lesione diretta dei loro diritti. (Nella specie, la S.C., cassando la sentenza con la quale la Corte d'Appello aveva considerato lesiva dei diritti dei soci la delibera del consiglio assunta in violazione della norma statutaria che attribuiva all'assemblea la competenza a deliberare la nomina del direttore generale, ha osservato che i soci non sono titolari del diritto di scelta del direttore generale, ma solo di quello di partecipazione all'assemblea).

Il caso

Il Tribunale di Palermo, pur non accogliendo l'eccezione preliminare di difetto di legittimazione, riteneva non sussistere l'interesse diretto dei soci di una società per azioni ad impugnare una delibera del CDA che nominava un direttore generale, escludendo che nella fattispecie fosse derivato un danno diretto ai loro diritti sociali, ex art. 2388, comma 4, c.c..

La sentenza anzidetta veniva impugnata avanti alla Corte d'Appello di Palermo che, in totale riforma del decisum del giudice di prime cure, accoglieva le domande svolte in primo grado dai soci, annullando la delibera impugnata sul presupposto che quest'ultima fosse idonea a ledere i diritti dei singoli soci e di conseguenza li legittimasse all'impugnativa.

La società quindi proponeva ricorso in Cassazione, deducendo in via principale il difetto di legittimazione attiva dei soci. La ricorrente osservava che ai sensi della norma citata i soci erano legittimati a impugnare solo le delibere del consiglio di amministrazione che fossero lesive dei loro diritti; presupposto che può dirsi integrato solamente se la violazione di norme statutarie cagioni direttamente un pregiudizio ad un diritto soggettivo del socio.

La Cassazione accoglieva le doglianze dei ricorrenti, cassava senza rinvio la sentenza della Corte d'Appello, precisando che i soci non sono titolari del diritto di scelta del direttore generale, ma solo di quello di partecipazione all'assemblea.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Nel caso di specie gli Ermellini tornano a circoscrivere il perimetro della legittimazione dei singoli soci ad impugnare le delibere del consiglio di amministrazione.

Tale facoltà viene ammessa dall'art. 2388, comma 4, c.c., solamente quando le delibere, oltre a non essere state assunte in “conformità della legge o dello statuto” siano “lesive dei loro diritti” (cfr. Maugeri, Considerazioni sul sistema delle competenze assembleari nelle s.p.a., in Riv. soc., 2013, 408 ss., nonché M. Stella Richter, L'inoppugnabilità delle deliberazioni degli organi sociali, Riv. delle soc., 6/2017, 283 ss.), in analogia a quanto previsto dall'art. 2395 c.c., per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori da parte del singolo socio o del terzo (cfr. Fichera, Sull'impugnazione delle deliberazioni del consiglio di amministrazione di s.p.a., in Giurisprudenza Commerciale, 2016, II, 393).

In tali casi trovano applicazione le norme di cui agli artt. 2377 e 2378 c.c.; pertanto saranno legittimati i “soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre”. In difetto dei quorum anzidetti, l'unica azione esperibile sarà quella di risarcimento danni nei confronti della società e/o degli amministratori (cfr. Trib. Catania, 9 aprile 2015).

In origine, ante la riforma del diritto societario introdotta dal D.Lgs. n. 6/2003, la norma non prevedeva tale possibilità, nondimeno l'interpretazione giurisprudenziale maggioritaria, in ossequio ai principi generali, riteneva comunque esperibile l'impugnativa delle delibere del CDA da parte dei soci qualora, oltre a violare la legge e/o lo statuto, cagionassero una lesione diretta dei diritti dei soci (cfr. Cass. 15 febbraio 2002, n. 2229; Cass. 14 dicembre 2000, n. 15786; Cass. 28 marzo 1996, n. 2850; in dottrina Irrera, La patologia delle delibere consiliari nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2004, 1132; Pinto, L'impugnabilità delle delibere a carattere gestorio del consiglio di amministrazione di società per azioni: cui prodest?, in Giur. comm., 2001, 149).

Siffatte ragioni hanno condotto la giurisprudenza ad estendere la facoltà predetta anche ad altri tipi sociali (per l'applicabilità anche alle società a responsabilità limitata cfr. Trib. Milano, 5 luglio 2017; Trib. Palermo, 9 giugno 2015; Trib. Roma, 22 febbraio 2010; in dottrina, sul tema cfr. Scaglia, L'invalidità delle deliberazioni consiliari nella s.r.l., in Giur. Comm., 2014, 1065) e finanche al di fuori dell'ambito delle persone giuridiche (cfr. Cass. 10 maggio 2011, n. 10188)

Nella fattispecie prospettata dai ricorrenti alla Suprema Corte era dubbia la sussistenza della legittimazione dei soci ad impugnare la delibera introduttiva della figura del direttore generale/”principale”, essendo discussa una lesione diretta dei loro diritti. Secondo i resistenti tale lesione discendeva invece dalla compressione dei poteri del consiglio di amministrazione, in particolare del suo Presidente, espressione della minoranza, e sulla elusione della regola che attribuiva all'assemblea la competenza a nominare il direttore generale (assimilabile al “direttore principale”).

Rileva la Suprema Corte che, essendo comunque rimasta la possibilità per l'assemblea di nominare un direttore generale, una lesione dei diritti dei singoli soci avrebbe dovuto ravvisarsi qualora i medesimi fossero stati privati del diritto di voto in assemblea. Al contrario, le doglianze degli appellanti deducevano una mera questione di “riparto di competenze fra organi sociali”, tale da non involgere i diritti individuali del socio. Invero, precisa la Corte, che il socio “non è titolare di un diritto di scelta del direttore generale, ma solo di partecipazione all'assemblea investita della questione”, ben potendo, quindi, convocare l'assemblea e sottoporre la questione ai sensi dell'art. 2367 c.c.. Tali osservazioni hanno condotto gli Ermellini a cassare senza rinvio la sentenza della Corte d'Appello, non ravvisando la legittimazione dei soci ad impugnare la delibera oggetto della controversia.

Analogamente, non è stata riconosciuta la lesione diretta dei diritti dei soci, con conseguente difetto di legittimazione all'impugnazione da parte dei medesimi, dalla delibera del consiglio di amministrazione che ha inciso unicamente sul patrimonio della società e quindi solamente in via indiretta sui diritti di ciascun socio (cfr. Trib. Napoli, 24 febbraio 2016; Trib. Milano, 29 marzo 2014). Al contrario, è stata ritenuta legittima l'impugnazione del socio avverso la delibera dell'amministratore che abbia deliberato la sua esclusione per morosità (cfr. Trib. Palermo, 9 giugno 2015, in Questo portale, con nota di Scarpa, Socio moroso di s.r.l., esclusione e diritto di impugnazione: ricerca della miglior tutela).

Conclusioni

La Suprema Corte, quindi, torna a ribadire che, analogamente al regime ante riforma dell'art. 2388, comma 4, c.c., le deliberazioni del consiglio di amministrazione, ove violino la legge o lo statuto, possono essere impugnate dai soci solamente qualora sia configurabile una lesione diretta dei loro diritti.

Ne discende che la lesione anzidetta non può rinvenirsi in una delibera che si limiti ad istituire la figura del direttore generale, in quanto i soci sono privi ex lege del diritto di nominarlo, ancorché possano sollevare la questione in assemblea.

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