01 Aprile 2021

È infondata la tesi secondo cui dovrebbe darsi una lettura forzata ed antiletterale dell'art. 828, comma 2, c.p.c., fissandosi giudizialmente la decorrenza del termine annuale per impugnare dal momento in cui «il lodo è conoscibile dalle parti», con conseguente incertezza del diritto che in tal modo si determinerebbe.

Le SS.UU. (sentenza n. 8776/21 depositata il 30 marzo) hanno risolto (con 26 pagine) quella che, come segnalato in una precedente nota su questo quotidiano giuridico, costituiva una questione di massima di particolare importanza, vale a dire quella attinente all'esatta individuazione del dies a quo del cosiddetto «termine lungo» per l'impugnazione del lodo arbitrale (cfr. ord. interlocutoria n. 20104/20, depositata il 24 settembre, sez. I civile).

Questione di diritto ora scrutinata dalle Sezioni Unite con preferenza per una rigorosa interpretazione delle disposizioni interessate.

Molto interessante (ma non del tutto convincente) anche l'aspetto relativo alla rilevabilità d'ufficio della tardività dell'impugnazione.

Il caso.

L'impugnazione di un lodo arbitrale veniva dichiarata inammissibile perché ritenuta, d'ufficio e senza aver sentito le parti sul punto (altro aspetto trattato dalle SS.UU.), tardiva, essendo stata notificata oltre il termine annuale dalla sottoscrizione del lodo da parte degli arbitri.

Seguiva il ricorso per cassazione e quindi la rimessione alle SS.UU.

Conta solo la data di sottoscrizione del lodo?

Il motivo più rilevante del gravame atteneva alla ritenuta errata interpretazione offerta dalla Corte d'appello che aveva attribuito rilevanza alla data di sottoscrizione del lodo (come in effetti previsto dalla norma) a prescindere dal momento della sua comunicazione alle parti. Interpretazione ritenuta in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo.

La questione fondamentale: l'esatta individuazione del dies a quo per l'impugnazione.

Le SS.UU. precisano che la questione loro sottoposta concerne l'interpretazione della disposizione dell'art. 828, comma 2, c.p.c. secondo cui l'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione.

In questo quadro, la Sezione rimettente riteneva possibile adottare una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 828, comma 2, e 825, comma 1, c.p.c. (ora artt. 828, comma 2, e 825, comma 1 c.p.c.) nel senso di far decorrere il termine annuale per l'impugnazione dalla «comunicazione» del lodo; ovvero, subordinatamente, si sarebbe potuta considerare non manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale della disciplina.

Ma le SS.UU. non sono di questa idea.

La norma è letteralmente chiara, anche se ciò potrebbe non bastare.

I Giudici osservano che la lettera della norma è univoca, non prestandosi in sé a dubbi interpretativi.: che conta, quindi, è il momento della sottoscrizione del lodo.

Ma ciò potrebbe ritenersi non risolutivo, essendo il canone letterale affiancato, ai sensi dell'art. 12, comma 1, delle Preleggi, da altri criteri.

Se l'interpretazione è ascrizione di significato all'enunciato di un documento normativo in rapporto ad un fatto da regolare, l'individuazione delle regole contenute nell'enunciato non deriva, sovente, da una mera lettura del testo, in quanto frutto di più o meno complessi procedimenti interpretativi.

L'idea positivistica dell'interpretazione «unica» dei testi normativi, quale mero accertamento della volontà della legge, è invero superata, anche dalla disposizione-guida sull'interpretazione della legge. L'art. 12 delle Preleggi richiama i criteri dell'interpretazione letterale, storico-teleologica, analogica secondo la legge ed analogica secondo i principi o sistematica.

Quando l'interpretazione letterale non è sufficiente

L'ermeneutica corrente accolta dalla giurisprudenza (avvertono le SS.UU.) richiede la ricerca della ratio legis secondo il coordinamento sistematico delle singole disposizioni non solo nel caso in cui nonostante l'impiego del criterio letterale il significato della norma «rimanga ambiguo», ma altresì quando, sia pure in presenza di una lettera chiara, l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo.

Il confine delineato dalla Corte Costituzionale.

Peraltro, non è consentito superare i confini permessi dalla esegesi del testo: come ha affermato la Corte costituzionale circa la cd. interpretazione «adeguatrice», resta il limite che risiede «nell'univoco tenore della disposizione impugnata», il quale «segna il confine» oltre il quale l'interpretazione giudiziale non può andare.

In definitiva, il fondamentale canone di cui all'art. 12, comma 1, delle Preleggi impone all'interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione, potendo bensì con esso concorrere i criteri della interpretazione teleologica e sistematica, purché, tuttavia, l'interprete non varchi il limite esegetico consentito dall'enunciato formale e non reputi, addirittura, l'interpretazione strumento sostitutivo della voluntas legis.

La conclusione cui giungono le SS.UU.

In definitiva, è infondato l'assunto dei ricorrenti, secondo cui dovrebbe darsi una lettura forzata ed antiletterale dell'art. 828, comma 2, c.p.c., fissandosi giudizialmente la decorrenza del termine annuale per impugnare dal momento in cui “il lodo è conoscibile dalle parti”, con conseguente incertezza del diritto, che in tal modo si determinerebbe.

Infondata anche la pretesa di far decorrere detto termine dalla comunicazione del lodo alle parti, ai sensi dell'art. 824 c.p.c., momento non corrispondente né alla lettera, né alla ratio della disposizione, e comportando un simile assunto l'irragionevole conseguenza che, in difetto di comunicazione, quel termine non decorrerebbe mai; o dal deposito del lodo, trattandosi di attività meramente eventuale in funzione dell'esigenza di disporre degli strumenti coattivi statuali.

La formulazione letterale della disposizione censurata, in una col sistema tutto come illustrato, non consente un'interpretazione come quella voluta, fortemente manipolativa del dato testuale: le interpretazioni proposte, in definitiva, si risolverebbero in un'arbitraria e illogica interpretatio abrogans della disposizione censurata ed in una altrettanto arbitraria e illogica interpretatio creans di una norma nuova.

Nessuno spazio anche per la prospettata questione di incostituzionalità.

Le SS.UU. sulla base degli argomenti esposti considerano essere altresì manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale posta, in quanto si giustifica la previsione in discorso quale legittima opzione legislativa e di certezza del diritto.

La decadenza deve essere sottoposta al contraddittorio delle parti? Le SS.UU. sembrano giustificare le decisioni «a sorpresa».

Molto interessanti le considerazioni sul punto delle SS.UU. che enunciano (meglio: ribadiscono) una serie di principi in materia che, sia detto per inciso, non convincono appieno, finendo per sminuire quelli che dovrebbero essere dei principi fondamentali del nostro ordinamento: il diritto di difesa e quello del contraddittorio.

Fatto sta che secondo i Giudici il rilievo della decadenza per il mancato rispetto del termine per impugnare, come per la sussistenza di altre ragioni d'inammissibilità o improcedibilità del ricorso, è rilevabile d'ufficio e per essa non si dà l'esigenza di sottoporre la questione alle parti, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c.

In tal modo, tuttavia, il pericolo di decisioni «a sorpresa» pare essere giustificato.

La tardività dell'impugnazione può essere rilevata d'ufficio senza sentire le parti.

Oltretutto, secondo regola consolidata, non soggiace al divieto posto dall'art. 101 c.p.c., che impedisce di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio e non sottoposta al contraddittorio delle parti, il rilievo della tardività dell'impugnazione, in quanto l'osservanza dei termini perentori, entro cui devono essere proposte le impugnazioni, costituisce un parametro di ammissibilità della domanda alla quale la parte che sia dotata di una minima diligenza processuale non può non prestare attenzione, così da dover considerare già ex ante come possibile sviluppo della lite la rilevazione d'ufficio dell'eventuale violazione di siffatti termini.

Nessuna violazione neppure della CEDU.

Un altro aspetto viene toccato, anche in questo caso con scarsa soddisfazione per il diritto di difesa.

Infatti, sempre secondo le SS.UU., l'esito processuale in esame non integra neppure una violazione dell'art. 6, par. 1, CEDU, il quale, nell'interpretazione data dalla Corte europea, ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato quando si tratti di questioni di rito che la parte, dotata di una minima diligenza processuale, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi.

Da notare che il riferimento citato dai Giudici è al contraddittorio «previo»; ma nel caso specifico il contraddittorio non sembra vi sia stato neppure «a posteriori».

Il contraddittorio varrebbe solo per le questioni che modificano il quadro fattuale.

In conclusione, sul punto, la giurisprudenza di legittimità interpreta l'art. 101, comma 2, c.p.c., come riferibile solamente alla rilevazione d'ufficio di circostanze che modificando il quadro fattuale comportino nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti.

Al contrario, la tardività dell'impugnazione, che costituisce una circostanza obiettiva che emerge dalla documentazione già in possesso delle parti e che le stesse possono agevolmente rilevare, non configura quello «sviluppo inatteso» per il quale si renda necessaria l'instaurazione del contraddittorio mediante l'assegnazione di uno specifico termine per memorie difensive.

Anzi, costituisce preciso dovere del giudice di esaminare d'ufficio tutte le questioni di puro diritto, come l'ammissibilità e la procedibilità della domanda o della impugnazione.

Ebbene, quello espresso dalle SS.UU. sul punto, è un principio molto chiaro che tuttavia non pare del tutto in sintonia con i citati diritti di difesa e del contraddittorio, specialmente con riferimento ad un profilo, quello processuale, che spesso si rivela essere assolutamente decisivo ai fini della soluzione della controversia.

Al contrario, verrebbe da dire, più che mai è opportuno sentire le parti proprio su un aspetto così rilevante (tardività dell'impugnazione) sebbene non strettamente attinente ai «fatti di causa».

*fonte: www.dirittoegiustizia.it

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