Regolamento di competenza e ordinanza di sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo

02 Aprile 2021

Non può essere impugnata con il regolamento di competenza l'ordinanza con la quale il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo si limiti ad una delibazione sommaria sulla competenza, unicamente come presupposto della decisione sulla sussistenza delle condizioni per la concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto.
Massima

Non può essere impugnata con il regolamento di competenza l'ordinanza con la quale il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo si limiti ad una delibazione sommaria sulla competenza, unicamente come presupposto della decisione sulla sussistenza delle condizioni per la concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente aveva inter alia sollevato un'eccezione pregiudiziale di continenza con riferimento ad un giudizio, da egli preventivamente instaurato, di accertamento negativo della validità del titolo negoziale in base al quale era stato emesso il decreto ingiuntivo, poi opposto.

Il Giudice - ritenuta potenzialmente idonea a definire il procedimento l'eccezione pregiudiziale di continenza - aveva sospeso la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, rimettendo le parti all'udienza già fissata per il merito, senza peraltro decidere sulla predetta eccezione. La parte opposta proponeva regolamento di competenza avverso l'ordinanza del giudice.

La questione

La questione giuridica di rilievo nella pronuncia in esame si incentra sull'ammissibilità dell'istanza di regolamento di competenza proposta avverso un'ordinanza pronunciata dal giudice istruttore avente oggetto esclusivamente la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, con rimessione delle parti all'udienza già fissata per la trattazione del merito della controversia, senza espressa decisione della indicata questione di continenza (presa in esame soltanto in via incidentale e sommaria e al solo fine di valutare le probabilità di accoglimento dell'opposizione proposta).

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto l'inammissibilità dell'istanza di regolamento di competenza. L'iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte parte dalla ricognizione dell'interpretazione giurisprudenziale consolidata (Cass. civ., sez. un., 29 settembre 2014, n. 20449) secondo cui «non può essere impugnata con il regolamento di competenza l'ordinanza con la quale il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo si limiti ad una delibazione sommaria sulla competenza, unicamente come presupposto della decisione sulla sussistenza delle condizioni per la concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto».

La Suprema Corte rileva come l'ordinanza impugnata risulta invece pronunziata dal giudice istruttore senza alcuna rimessione della causa in decisione, senza previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito, senza che il giudice abbia inequivocabilmente espresso l'intenzione di risolvere definitivamente, davanti a sé, con la propria determinazione la questione di continenza sollevata dell'opponente. A detta della Suprema Corte la predetta ordinanza ha in realtà ad oggetto esclusivamente la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, con rimessione delle parti all'udienza già fissata per la trattazione del merito della controversia, senza espressa decisione della questione di continenza (che in realtà risulta presa in esame in via incidentale e sommaria, al solo fine di valutare le probabilità di accoglimento dell'opposizione proposta).

La Corte di cassazione conclude, pertanto, ritenendo che l'ordinanza in questione non può quindi in alcun modo qualificarsi come provvedimento decisorio definitivo in ordine alla competenza o continenza, ragion per cui non è suscettibile di impugnazione con istanza di regolamento di competenza.

Osservazioni

La soluzione offerta dalla pronuncia in commento appare condivisibile in quanto si pone in linea con l'orientamento sancito da Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2014, n. 20449 (che richiama espressamente) e alla successiva e univoca giurisprudenza di legittimità, rispetto alla quale non si rinvengono ragioni per doversene discostare.

È utile rammentare che la predetta pronuncia delle Sezioni Unite intervenne a fare chiarezza in merito al se - (pure) dopo l'innovazione introdotta dalla novella di cui alla l. 69/2009, in relazione alla forma della decisione sulla competenza (da adottarsi, ora, con ordinanza anzichè con sentenza) - il provvedimento del giudice adito (nella specie monocratico), che, nel disattendere l'eccezione di parte, confermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio davanti a sé, sia insuscettibile d'impugnazione con regolamento di competenza ai sensi dell'art. 42 c.p.c., ove non preceduto dalla rimessione della causa in decisione e dal previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito.

Appare pertanto rilevante nell'affrontare la tematica oggetto di esame della pronuncia in commento ripercorrere seppure a grandi linee gli approdi (seguiti poi univocamente dalla giurisprudenza di legittimità) cui pervennero le Sezioni Unite nel 2014.

Anzitutto si rammenta che la necessità di un pronunciamento a Sezioni Unite si era resa necessaria alla luce del fatto che la prevalente dottrina era pervenuta ad una conclusione opposta e che questa trovava largo seguito nelle prassi applicative dei giudici di merito.

In particolare, tale orientamento sosteneva che:

mutando da sentenza in ordinanza la forma della decisione sulla questione di competenza, il novellato art. 279, comma 1, c.p.c. comporterebbe anche, limitatamente a tale questione, l'inapplicabilità della previsione dell'art. 18, comma 3, e art. 189 c.p.c. nonché (con riguardo al procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica) di quella degli artt. 281-quinquies e 281-sexies c.p.c. e degli adempimenti procedimentali ivi prescritti; con l'effetto che l'esigenza della rimessione in decisione con la previa precisazione delle conclusioni anche di merito, lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica e l'eventuale discussione orale persisterebbe soltanto quando la questione da decidere, concernendo la giurisdizione o altra pregiudiziale di rito idonea a definire il giudizio, continui a dover essere adottata con sentenza.

La soluzione della dottrina prevalente - che trovava, di fatto, larga rispondenza nelle prassi applicative dei giudici di merito - era sostanzialmente supportata in base a duplice ordine di valutazioni: (i) ne risulterebbe ridimensionata la stessa portata innovativa della riforma del 2009, nella parte in cui, in ottica di semplificazione della questione di competenza nell'ambito del processo e di abbreviazione dei tempi di relativa decisione, ha modificato la forma di quest'ultima, stabilendone l'adozione con ordinanza anziché con sentenza; (ii) tale tesi parrebbe soddisfare meglio le esigenze di celerità che sottostanno alla garanzia della ragionevole durata del processo, giacché consentirebbe al giudice di pronunziarsi sulla questione di competenza (emettendo ordinanza declinatoria oppure ordinanza affermativa della competenza, con le connesse disposizioni sulla prosecuzione del giudizio) in termini di sostanziale immediatezza, senza preventiva fissazione di udienza delle conclusioni ed, inoltre, senza scambio di comparse conclusionali, memorie di replica e dell'eventuale discussione orale.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che l'orientamento della dottrina e dalla giurisprudenza di merito non fosse in realtà rispondente alle varie articolazioni del dato normativo; in particolare:

a) la novella di cui alla l. 69/2009 dispone il cambiamento della forma della decisione sulla competenza ma non incide in alcun modo sul procedimento che porta a detta decisione;

b) l'immodificata previsione dell'art. 187, comma 3, c.p.c. continua - pur dopo la riforma del 2009 - a conferire al giudice (non diversamente da quanto avviene in merito alla questione di giurisdizione ed alle altre pregiudiziali di rito) l'opzione tra l'estrapolare la questione di competenza, per deciderla immediatamente, e l'accantonarla, per deciderla unitamente al merito;

c) il successivo (immutato) art. 189, comma 1, prima parte, c.p.c. continua - pur dopo la riforma del 2009 - a prevedere, anche per l'ipotesi di estrapolazione anticipata della decisione, la necessità sia della rimessione della causa alla fase decisionale sia del previo rinvio per precisazione delle conclusioni;

d) il medesimo art. 189, comma 1, seconda parte, c.p.c. e comma 3 c.p.c. continua a prevedere che le conclusioni vengano comunque precisate a tutto campo e che il potere decisorio possa esprimersi nei medesimi termini;

e) in forza dei rinvii di cui agli immutati art. 281-bis c.p.c. e segg. e art. 311 c.p.c., le disposizioni sopra richiamate continuano ad essere applicabili anche ai giudizi davanti a giudice monocratico.

Secondo le Sezioni Unite non poteva essere plausibile sostenere che, dopo la modifica dell'art. 279 c.p.c. ad opera della novella in rassegna, il combinato disposto dagli artt. 189 e 187 c.p.c., andasse letto, in termini selettivi, nel senso che l'espresso richiamo che l'art. 189 c.p.c. compie all'art. 187, comma 3, c.p.c., dovesse intendersi circoscritto alle questioni di giurisdizione ed alle altre pregiudiziali di rito (per le quali resta prevista la decisione in forma di sentenza) con esclusione delle questioni di competenza (da decidersi, in esito alla novella, in forma di ordinanza).

Tale impostazione infatti postulerebbe, peraltro, una diversificazione di disciplina procedimentale, tra pronunzia su questione di competenza e pronunzia sulla giurisdizione e sulle altre pregiudiziali di rito (tutte accomunate nella previsione di cui all'art. 187, comma 3, c.p.c.) che è inaccettabile in rapporto al consolidato criterio c.d. «della prevalenza della sostanza sulla forma degli atti processuali», secondo cui ciò che definisce il regime da applicare all'atto processuale, anche ai fini della relativa impugnazione, è la sua sostanza e non la sua forma (cfr. Cass. civ., sez. un., 17 giugno 2013,n. 15116).

Quindi secondo le richiamate Sezioni Unite anche se, dopo la novella del 2009, la pronunzia sulla competenza riveste forma semplificata di ordinanza, resta invero, nella sostanza, pur sempre un atto decisorio (così come le omologhe pronunzie sulla giurisdizione e sulle altre pregiudiziali di rito), giacché, con essa, il giudice si spoglia definitivamente della questione decisa, che può essere rimessa in discussione (non diversamente da quanto avviene per le pronunzie sulle altre questioni contemplate dall'art. 187, comma 3,c.p.c.) solo ad iniziativa di parte con la proposizione di consona impugnazione. Contraddicendo l'evocato principio, la proposta divaricazione normativa delle decisioni contemplate dall'art. 187, comma 3, c.p.c., risulta, dunque, insostenibilmente fondata su divergenze puramente formali e non ragionevoli.

Alla luce di quanto appena rammentato il criterio secondo cui ciò che rileva al fine della identificazione del regime dell'atto processuale, anche con riguardo all'impugnazione, è il suo contenuto sostanziale e non la sua forma, comporta invero che, in merito al tema qui specificamente considerato, conta, non tanto se il provvedimento che si esprima sulla competenza del giudice adito presenti forma di sentenza ovvero quella di ordinanza, quanto, piuttosto, se esso presenti o non contenuto concretamente decisorio (nel senso che comporti la definitiva sottrazione della questione al giudice che lo ha adottato, conseguentemente consentendone la riattivazione solo a mezzo impugnazione).

Ciò posto, deve ribadirsi che - anche successivamente all'entrata in vigore della novella di cui alla l. 69/2009 - il sistema normativo (ancorché prescrivendo per la decisione sulla competenza la forma dell'ordinanza anziché quella della sentenza) sancisce (in forza della previsione dell'art. 42 c.p.c. e di quelle degli artt. 187 e 189 c.p.c. e relativi richiami), che, pur con riguardo ai giudizi davanti al giudice monocratico, si ha provvedimento decisorio su questione di competenza (così come, del resto, su questione di giurisdizione, altra pregiudiziale di rito o sul merito) solo in esito a formale remissione della causa in decisione, mediante invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni, assegnazione dei termini per lo scambio di comparse conclusionali e memorie di replica, fissazione dell'udienza per l'eventualmente richiesta discussione orale.

Nell'indicata prospettiva, suscettibili d'impugnazione con regolamento di competenza si rivelano in primo luogo - in quanto atti decisori per espressa previsione di legge - i provvedimenti con i quali il giudice risolva la proposta questione di competenza, in senso affermativo o declinatorio, nel rispetto delle scansioni procedimentali normativamente prescritte (remissione della causa in decisione, invito alle parti a precisare le proprie conclusioni anche di merito, ulteriori consequenziali adempimenti).

Suscettibili d'impugnazione con regolamento di competenza risultano altresì - per effetto del richiamato criterio «della prevalenza della sostanza sulla forma degli atti processuali» - i provvedimenti, pur non preceduti dalla remissione della causa in decisione e dalla precisazione delle conclusioni, con i quali il giudice declini la propria competenza, (giacché, in tal caso, definitivamente spogliandosi della questione - e, anzi, dell'intera causa - il giudice pone in essere un atto sostanzialmente decisorio).

Non suscettibili d'impugnazione con regolamento di competenza sono, invece, le ordinanze con le quali il giudice, argomentando nel senso dell'affermazione della propria competenza, disponga la prosecuzione del giudizio davanti a sè, senza previa remissione della causa in decisione. A tali ordinanze non può, infatti, riconoscersi che carattere di provvedimenti meramente ordinatori (il che le sottrae al regime di stabilità di cui all'art. 177, comma 3, c.p.c. rendendole sempre revocabili e modificabili dal giudice che le ha emesse), giacché, non rispondendo allo schema legale del provvedimento decisorio in tema di competenza, non sono «normativamente» decisorie né, diversamente da quelle declinatorie, implicano che il giudice si spogli in via definitiva della questione.

Quanto appena enunciato deve essere, peraltro, necessariamente conciliato con il criterio (c.d. «dell'apparenza»), secondo cui l'identificazione del rimedio esperibile contro un provvedimento giudiziario (nella specie: revocabilità o impugnabilità a mezzo regolamento di competenza) deve essere compiuta con riferimento alle qualificazioni (se esistenti) operate dal medesimo giudice che lo ha emesso (cfr. Cass. civ., sez. un., 9 maggio 2011, n.10073).

Ne consegue che (cfr. Cass. civ., sez. VI, 26 giugno 2012, n. 10594) il regime di non impugnabilità con regolamento di competenza (e, dunque, di revocabilità) delle ordinanze, con le quali il giudice adito, senza previa remissione della causa in decisione ed invito alle parti a precisare le rispettive conclusioni anche di merito, disponga la prosecuzione del giudizio davanti a sé dopo aver affermativamente delibato il tema della competenza, incontra unica eccezione nell'ipotesi che sia il giudice medesimo a qualificare come decisoria (e, dunque, definitiva davanti a sè) la declaratoria di competenza. In tale ipotesi il giudice dovrà qualificare come decisoria la declinatoria di competenza in termini di assoluta oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità (come nel caso che conclami il convincimento, pur in sé erroneo, di poter decidere definitivamente la questione, senza preventivamente invitare le parti alla precisazione delle conclusioni e senza assumere in decisione l'intera controversia).

In conclusione, l'orientamento ribadito e confermato dalla pronuncia in commento merita senz'altro piena condivisione dovendosi al contrario, giungere a snaturare lo strumento di cui all'art. 42 c.p.c.; in effetti se si ritenesse che il provvedimento, con il quale l'adito giudice monocratico, disattendendo implicitamente l'eccezione di parte, confermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio davanti a sé, sia suscettibile d'impugnazione con regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., anche se non preceduto dalla rimessione della causa in decisione e dal previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni - si verrebbe a postulare l'ammissibilità del rimedio anche in assenza di effettiva «decisione» sulla questione da parte del giudice a quo e si verrebbe, quindi, a trasformare il regolamento di competenza, in contrasto con il sistema normativo, da mezzo di impugnazione a strumento di regolazione preventiva della questione di competenza, elevandone a sostanziale presupposto di ammissibilità l'eccezione d'incompetenza anziché la decisione del giudice sulla questione.

La pronuncia in commento ha fatto corretta applicazione dei principi appena ricordati ritenendo l'inammissibilità del regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c. proposto avverso l'ordinanza con cui il giudice istruttore aveva con un'ordinanza sospeso l'efficacia esecutiva del d.i. opposto, senza definitivamente spogliarsi della questione di competenza, disponendo la prosecuzione del giudizio.

Riferimenti
  • Acone, Regolamento di competenza, (1995), EGT, XXVI, Roma 1989;
  • Attardi, Diritto processuale civile, I, Padova 1999;
  • Bongiorno, Il regolamento di competenza, Milano 1970;
  • Mandrioli, a cura di Mandrioli-Carratta, Come cambia il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69), Torino 2009;
  • Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano 2009; Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano 1971.

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