Il rifiuto di esibire le scritture contabili equivale al loro occultamento
02 Aprile 2021
Massima
Il d.lgs. n. 74/2000, all'art. 10 punisce colui il quale, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire a terzi l'evasione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume degli affari. La condotta punibile consiste quindi nella distruzione o nell'occultamento totale o parziale delle scritture: la distruzione configura un reato istantaneo che si realizza al momento dell'eliminazione della documentazione, la quale può consistere o nella stessa eliminazione del supporto cartaceo o mediante cancellature o abrasioni. L'occultamento consiste invece nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori e si realizza mediante il nascondimento materiale del documento. La condotta di occultamento, tipizzata nell'art. 10, definisce, secondo il suo preciso significato filologico, il comportamento di colui che nasconde materialmente, in tutto o in parte, le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, mantenendo celate le predette cose in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume degli affari. Il caso
La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice di primo grado, confermava la condanna di H.H. per il reato di cui all'art. 10 d.lgs. n. 74/2000, in quanto lo stesso aveva occultato le scritture contabili della ditta di cui era legale rappresentante, rideterminando la pena in anni uno di reclusione. Segnatamente i giudici di secondo grado ritenevano sussistente il reato contestato in capo al ricorrente in quanto quest'ultimo, a seguito di un controllo fiscale, non ottemperava all'invito posto dall'Amministrazione finanziaria e volto a fornirle la documentazione contabile, a nulla rilevando che la stessa fosse detenuta presso il suo commercialista già dal 2009, ben prima degli accertamenti fiscali. Avverso la sentenza emessa dalla Corte lagunare proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato deducendo, tra i vari motivi, quello relativo alla sussistenza del reato. Precisamente, la difesa argomentava che la mera inottemperanza all'invito a fornire la documentazione non costituiva una condotta idonea ad integrare l'elemento oggettivo e soggettivo del reato di occultamento, ma al più integrare l'illecito amministrativo del rifiutoprevisto all'art.9 d.lgs. n. 471/1997, attesa la provata esistenza dei documenti presso il commercialista. La difesa contestava, altresì, la sussistenza dell'elemento “dell'impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d'affari”, ritenendo erronea la precedente valutazione poiché a detta del ricorrente, il reddito o il volume d'affari, potevano essere accertati e ricostruiti altrimenti, come riportato nella memoria del consulente di parte, sulla base, di altra documentazione conservata dall'imprenditore. Così opinando, a parere della difesa, verrebbero a mancare gli elementi costitutivi del reato nonché l'offensività della condotta al bene giuridico tutelato dalla norma costituito dal corretto esercizio della funzione accertativa e dalla trasparenza fiscale. La questione
La questione di diritto rimessa alla Suprema Corte di cassazione è la seguente: quando la condotta del contribuente sottoposto a controllo fiscale integra gli estremi del delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili previsto e punito all'art. 10 d.lgs. n. 74/2000? Le soluzioni giuridiche
Punto di partenza per la risoluzione della questione dedotta è il tenore dell'art. 10 d.lgs. n. 74/2000, che punisce colui che, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire a terzi l'evasione, distrugge o occulta totalmente o parzialmente le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d'affari. Ne discende che la norma individua due condotte punibili che consistono, alternativamente, nella distruzione o nell'occultamento: per distruzione deve intendersi l'eliminazione fisica, totale o parziale, delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, che può essere ottenuta o con l'annientamento in qualsiasi modo del supporto cartaceo o magnetico, ovvero con il rendere intellegibile il contenuto (abrasioni o cancellature); mentre per occultamento deve intendersi, secondo il suo preciso significato filologico, il nascondimento materiale, in tutto o in parte, delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, rendendoli indisponibili agli organi verificatori. Denominatore comune di entrambe le condotte è, dunque, quello di non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d'affari, oltre alla finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero consentire a terzi l'evasione. Una tale esegesi è stata avallata dalla Corte di cassazione nel rigettare il ricorso in questione. Ai fini della risoluzione della questione devoluta occorre, innanzitutto, individuare il “luogo” di conservazione delle scritture contabili: ai sensi dell'articolo 35, comma 2, lettera d), d.P.R. n. 633/1972, tale è la sede ove il contribuente svolge la propria attività ovvero altro luogo diverso, previa apposita dichiarazione. Non solo, se il contribuente dichiara che le scritture contabili o alcune di esse si trovano presso altri soggetti deve esibire un'attestazione dei soggetti stessi recante la specificazione delle scritture in loro possesso (art.52, comma 10, d.P.R. n. 633/1972). Tuttavia, mette conto osservare come dottrina (MUSCO-ARDITO, Diritto penale Tributario, Zanichelli, Bologna, 2020,273) e giurisprudenza pacifica (Cass. pen.,sez. III, 26 giugno 2014, n. 11479) sono concordi nell'escludere che la conservazione dei documenti in luogo diverso da quello comunicato all'ufficio competente, ai sensi dell'art. 35, comma 2, lettera d), d.P.R. n. 633/1972, possa integrare la fattispecie di occultamento, ogni qualvolta il contribuente abbia indicato, al momento dell'accesso, il luogo di effettiva collocazione delle scritture contabili. In tal caso opererebbe una mera sanzione amministrativa prevista dal d.lgs. n.471/1997. In secondo luogo, la risoluzione della questione dedotta passa attraverso la corretta precisazione dei termini tenuta e conservazione dei documenti contabili che, seppur talvolta (erroneamente) utilizzati in modo promiscuo, devono essere mantenuti distinti, in quanto ineriscono a diverse fasi della gestione delle scritture contabili e, conseguentemente, sono oggetto di specifiche discipline normative. Con il termine tenuta si intende lo statuto giuridico delle scritture contabili, ovverosia quel complesso di regole che sovrintende alla loro ordinata, regolare e veritiera predisposizione, redazione ed emissione e che ne stabilisce l'obbligatorietà; con il lemma conservazione, invece, si fa riferimento alla fase successiva alla tenuta consistente nella corretta archiviazione e stampa (qualora conservate in formato cartaceo, tradizionale) delle scritture e nella determinazione dei termini entro i quali deve essere garantita. A fronte di tale precisazioni va osservato come, nel caso di specie, il Collegio ha avvalorato la tesi dei giudici della Corte territoriale ritenendo che, la mancata volontà di esibire le scritture contabili agli organi accertatori, insieme al mancato ritrovamento delle stesse presso la sede della società rappresentata dall'imputato costituiscono condotte idonee ad integrare il reato di occultamento di cui all'art. 10 d.lgs. n. 74/2000. La soluzione prescelta poggia sul fatto che per aversi occultamento è sufficiente la semplice assenza della documentazione dal luogo ove dovrebbe essere custodita e la sua omessa presentazione in sede di verifica fiscale, a nulla rilevando che la stessa possa essere detenuta presso un terzo professionista, come nel caso di specie in quanto, precisa la Suprema Corte – aderendo ad un suo costante orientamento – “l'impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d'affari derivante dalla distruzione o dall'occultamente di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all'acquisizione presso terzi di documentazione mancante” (Cass. pen., sez. III, 15 gennaio 2019, n. 7051). In altri termini, i Giudici della terza sezione innestandosi nel solco tracciato da precedente giurisprudenza di legittimità hanno ritenuto che anche “un'impossibilità relativa”, consistente nella semplice difficoltà di ricostruzione del reddito o del volume d'affari, può integrare la fattispecie di cui all'articolo 10 citato, a nulla rilevando che gli uffici accertatori possano procedere alla ricostruzione della situazione economica avvalendosi di elementi desunti aliunde ovvero acquisiti presso terzi. Dunque, la Corte territoriale ha correttamente motivato la sussistenza del reato, sia sotto il profilo dell'incidenza sulla ricostruzione dei redditi o del volume d'affari, sia sotto quello psicologico del dolo specifico di evadere le imposte sui redditio sul valore aggiunto e di consentire l'evasione a terzi. Nel precisare gli elementi costitutivi del reato in esame i Giudici di legittimità si sono soffermati, altresì, sulla sua natura giuridica, che varia a seconda della condotta posta in essere dal soggetto agente. In conformità alle sue precedenti decisioni, la Sezione terza ha affermato che la condotta di distruzione configura un reato istantaneo che si realizza al momento dell'eliminazione della documentazione; mentre la condotta di occultamento dà luogo ad un reato di natura permanente, perché l'obbligo di esibizione perdura fino a quando è consentito il controllo fiscale e il soggetto può far cessare la propria condotta antigiuridica mettendo a disposizione degli accertatori la documentazione contabile ( Cass. pen., sez. III, 28 marzo 2018, n. 46049; Cass. pen.,sez. III, 25 maggio 2016, n. 14461; Cass. pen., sez. F., 18 agosto 2015, n. 35665; Cass. pen., sez. III, 9 luglio 2015, n. 38376; Cass. pen., sez. III, 5 dicembre 2012, n. 5974; Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2006, n. 13716). La Cassazione è dunque giunta, come anticipato, a ritenere infondati i motivi di ricorso e a rigettare lo stesso, ritenendo sussistente la penale responsabilità del legale rappresentante H.H. per il reato di occultamento di documenti contabili ex art. 10 d.lgs. n. 74/2000, rideterminando la pena (con i doppi benefici di legge) ad anni uno di reclusione. Osservazioni
Come noto, il reato di occultamento e distruzione di documenti contabili è un reato di pericolo concreto e configura un'ipotesi di falso per soppressione che il legislatore ha previsto a tutela dei documenti e delle scritture contabili. La tutela dell'integrità e la conservazione delle scritture contabili e della documentazione fiscale si giustifica in quanto servente al sistema tributario il cui accertamento, principalmente, deve essere effettuato su base “analitico-contabile” essendo, invece, possibile un “accertamento extracontabile” solo allorché le scritture risultino mancanti o caratterizzate da omissioni, falsità o inesatte indicazioni tali da renderle inattendibili. Pertanto, presupposto indispensabile della condotta (penalmente rilevante), sia dal punto di vista ontologico che giuridico, è che la documentazione esista o, nell'ipotesi di avvenuta distruzione, sia stata istituita. Infatti, l'art. 10, d.lgs. n. 74/2000 punisce la sola mancata conservazione e non la omessa istituzione che, invece, viene sanzionata, al pari del rifiuto, solo come illecito amministrativo ex art. 9, comma 1, d.lgs. n. 471/1997. Ne consegue che le condotte punite dal d.lgs.n. 74/2000 sono solo quelle relative all'occultamento o alla distruzione di natura commissiva dolosa. In altri termini, la condotta punita non ha natura omissiva e non consiste nel non aver tenuto i documenti o le scritture contabili in modo tale da rendere obbiettivamente difficoltosa la ricostruzione della situazione economica ai fini fiscali. Ai fini dell'integrazione della fattispecie penale occorre quindi un quid pluris a contenuto commissivo consistente nell'occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture. Una diversa interpretazione sarebbe contraria al principio di tassatività e al divieto di analogia in malam partem. Altresì, non rientra nel novero delle condotte idonee ad integrare il reato in parola il mero rifiuto di esibizione dei documenti e delle scritture contabili. Il rifiuto costituisce ex art. 9 d.lgs. n. 471/1997 un illecito per il quale il legislatore ha previsto una sanzione pecuniaria amministrativa, oltre alla sanzione indiretta che i documenti, di cui si rifiuta l'evasione, non possono essere considerati a favore del contribuente ai fini dell'accertamento (art. 52, comma 5,d.P.R. n. 633/1972). Tuttavia, il rifiuto può costituire un indizio dell'avvenuto occultamento e come tale, ai sensi dell'art. 192 c.p.p., deve essere corroborato da altri elementi gravi, precisi e concordanti dal quale desumere l'effettiva impossibilità per gli organi accertatori di prendere in esame quei documenti. Va, peraltro, evidenziato come il tipo di condotta tenuta dal soggetto agente - occultamento o distruzione - rileva ai fini del momento consumativo del reato, ergo dell'individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione. Non a caso, infatti, la Suprema Corte con la sentenza in commento specifica, come premesso, che la distruzione “si configura come condotta delittuosa di natura istantanea che si realizza al momento di eliminazione della documentazione”; diversamente l'occultamento “si realizza mediante il nascondimento materiale del documento , dando luogo ad un reato permanente, perché l'obbligo di esibizione perdura finché è consentito il controllo e il reo può far cessare la propria condotta antigiuridica mettendo a disposizione degli accertatori la documentazione contabile”. Tuttavia, un ruolo fondamentale, sul piano del momento consumativo e in via riflessa sul piano della prescrizione, è svolto dalla qualificazione che si attribuisce “all' impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d'affari” intesa ora come evento (così in dottrina BELLAGAMBA-CARITI, I nuovi reati tributari, Giuffrè, Milano, 2000, 165; SOANA, I reati Tributari, Giuffrè, Milano 2008, 266; MUSCO-ARDITO, Diritto penale Tributario, Zanichelli, Bologna, 2020, 278; CERQUA, sub art. 10, Occultamento e distruzione di scritture contabili, in Aa.Vv., Diritto e procedura penale tributaria, a cura di Caraccioli – Giarda – Lanzi, Cedam, 2001, 306; NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Ipsoa, Milano, 2000, 179; TRAVERSI-GENNAI, I nuovi delitti tributari, Giuffrè, Milano, 2000, 282; in giurisprudenza Cass. pen., sez. III, 2 marzo 2016, n. 15900) ora come “condizione obbiettiva di punibilità” del reato (Cass. pen., sez. III,7 marzo 2006, n. 13716, Cass. pen., sez. III,17 gennaio 2006, n. 4871; Cass. pen., sez. III, 6 ottobre 2001,n. 39343; Cass. pen., sez. III, 6 marzo 1998, n. 4200). Qualora il suddetto elemento lo si intende come “condizione obbiettiva di punibilità” trova rilievo quella giurisprudenza ormai costante che individua il momento consumativo del reato e dunque il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione nella distinzione tra reato istantaneo (distruzione della documentazione) e reato permanente ( occultamento della documentazione); diversamente, ove “l'impossibilità” fosse qualificata come “evento” del reato, il momento consumativo e quindi il dies a quo della prescrizione dovrebbe individuarsi proprio nel momento in cui essa si verifica e, dunque, ben prima ed indipendentemente da un concreto accertamento. In conclusione, la decisione assunta dai giudici di legittimità, con riferimento, alla sussistenza del reato in capo al legale rappresentante della società appare condivisibile perché, quest'ultimo, non conservando nella sede della società la contabilità e i documenti fiscali ha impedito agli organi verificatori, dell'amministrazione finanziaria, di procedere alle ordinarie azioni di controllo e, dunque, di verificare e ricostruire il suo reddito o il suo volume d'affari. Qualche perplessità suscita, invece, l'aspetto riguardante la natura giuridica del reato e conseguentemente il suo momento consumativo. Invero, giurisprudenza consolidata insegna che al fine di individuare l'inizio della decorrenza del termine di prescrizione del reato, la distinzione tra la natura istantanea o permanente del delitto ha rilevanza teorica perché, anche ove si considerasse il reato istantaneo (dunque la condotta di distruzione delle scritture) la consumazione ai fini della decorrenza del termine prescrizionale non potrebbe comunque essere collocata in data anteriore a quella della verifica fiscale. Infatti, in assenza di prove certe dell'avvenuta distruzione dei documenti in un determinato momento, la condotta dell'occultamento della documentazione, in questa materia, diventa rilevante per il diritto nel momento in cui l'interessato non adempie all'obbligo di esibirla agli accertatori fiscali o allegarla alla propria dichiarazione contributiva (Cass. pen., sez. F., 18 agosto 2015, n. 35665). Quindi, dimostrare la data esatta di distruzione della documentazione sarà molto complesso e, conseguentemente, sarà allungato il termine di prescrizione del reato. Una tale configurazione, però, a parere di chi scrive confliggerebbe con il fondamentale principio del favor rei poiché nell'incertezza si dovrebbe propendere, sempre, per l'interpretazione più favorevole per l'imputato ovvero, in alternativa, si dovrebbe consolidare quella giurisprudenza che qualifica “l'impossibilità della ricostruzione dei redditi o del volume di affari” come “evento” del reato così da individuare un unico momento consumativo per entrambe le condotte (occultamento e distruzione). Vi è, comunque, da dire che ad agevolare una ricognizione siffatta sovviene il recente avvento della fatturazione elettronica, per cui occultare o distruggere le scritture contabili sarà più arduo, in quanto l'amministrazione finanziaria avrà a propria disposizione in tempo reale i dati delle fatture emesse e ricevute, oltre che dei corrispettivi. |