Condotta antisindacale: illegittimità del recesso unilaterale del datore di lavoro dalla contrattazione collettiva nazionale e da quella integrativa aziendale
05 Aprile 2021
Massima
È antisindacale la condotta del singolo datore di lavoro che recede unilateralmente dal contratto collettivo nazionale di lavoro e dagli accordi di II livello, seppure con congruo preavviso, e anche nel caso in cui lo stesso adduca un'eccessiva onerosità sopravvenuta degli stessi ai sensi dell'art. 1467 c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica.
Il diritto di recesso rimane possibile solo al momento della scadenza contrattuale, a condizione che ricorrano i presupposti di cui all'art. 2069 c.c. per l'applicabilità di un contratto diverso. Peraltro, il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l'ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell'attività sindacale. Il caso
Con decreto immediatamente esecutivo del 24 dicembre 2020, il Tribunale di Rovereto, a conclusione dello speciale rito sommario di cui all'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, dichiarava antisindacale la condotta posta in essere dal datore di lavoro resistente il quale, a fronte di una serie di scioperi ed agitazioni sindacali poste in essere dal personale aziendale aderente ad uno dei sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale, e posti in essere al fine di salvaguardare le retribuzioni acquisite in forza della contrattazione collettiva nazionale e integrativa, aveva provveduto – unilateralmente - alla disdetta degli accordi aziendali e del ccnl, all'invio di talune comunicazioni scritte ai lavoratori, all'indizione di riunioni da parte dell'A.D. e all'effettuazione di indagini tra i lavoratori circa la partecipazione o meno allo sciopero.
Il Giudice del lavoro, ritenendo sussistente il requisito dell'attualità della condotta lesiva, atteso che – pur essendosi esaurita l'azione lesiva del datore di lavoro al momento del deposito del ricorso – permanevano ancora gli effetti negativi di tale condotta, giudicati lesivi dell'immagine del sindacato ricorrente, tanto per la portata intimidatoria della condotta, quanto per la situazione di incertezza che ne conseguiva, ordinava al datore di proseguire nell'applicazione degli accordi aziendali e del ccnl sino al subentrare di valide disdette nonché l'affissione del presente decreto in tutte le sedi aziendali, in luogo accessibile a tutti e in modo visibile, per trenta giorni consecutivi. La questione
Il caso in esame fornisce un valido ed interessante spunto di riflessione in merito all'accertamento delle condotte datoriali suscettibili di rientrare concretamente nell'alveo dell'art. 28 della l. 20 maggio 1970, n. 300, norma che ha introdotto all'interno dell'ordinamento un particolare strumento di tutela del diritto sindacale.
Se, da un lato, la tutela offerta dall'art. 28 st. lav. citata potrebbe apparentemente sembrare unicamente di tipo processuale, attesa l'introduzione di uno procedimento giurisdizionale speciale, a carattere sommario, azionabile unicamente da parte degli organismi locali delle associazioni nazionali radicate a livello nazionale, ad una più attenta lettura emerge, invece, l'introduzione di una norma idonea a costituire la base propulsiva per lo sviluppo dell'intera costruzione di un diritto sindacale statuale (nonché, aderendo alla teoria del prof. Giugni, dell'ordinamento intersindacale).
Il provvedimento in commento si innesta, pertanto, in tale cornice, avendo offerto un accertamento in concreto del tipo di comportamento datoriale passibile di denuncia ex art. 28 Statuto dei lavoratori, con una ulteriore riflessione in ordine al requisito dell'attualità della condotta medesima. Osservazioni
A ben vedere, l'art. 28 Statuto dei lavoratori qualifica come antisindacali tutti quei “comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero”.
Si tratta, come chiarito dalla dottrina, di una definizione strutturalmente aperta e teleologicamente determinata: il legislatore definisce, infatti, come antisindacale qualsiasi comportamento illegittimo (giuridico e/o materia, attivo e/o omissivo) posto in essere dal datore di lavoro (unico soggetto attivo della condotta) idoneo a produrre una lesione i beni giuridici tutelati dalla norma (libertà e attività sindacale nonché il diritto di sciopero).
Di fondamentale importanza, in questo ambito, sono stati proprio gli arresti giurisprudenziali emanati successivamente all'entrata in vigore della norma in esame.
Come sostenuto da autorevole dottrina, ogni pronuncia che dichiara il carattere antisindacale di un comportamento acquisisce terreno alle prerogative sindacali, inverando le previsioni astratte di cui agli artt. 39 e 40 Cost. in specifici diritti. Del pari, a fronte della dichiarazione di legittimità di una condotta datoriale che si palesa in contrasto con gli interessi del sindacato, si delinea il limite all'esercizio dei diritti sindacali ed il punto oltre il quale essi arretrano a mere aspettative (occorre distinguere, infatti, tra opposizione al conflitto – certamente illecita – dall'opposizione nel conflitto, assolutamente lecita).
Di talché, non tutti i comportamenti datoriali, antagonistici rispetto a quelli del sindacato, e posti all'attenzione del Giudice, sono stati antisindacali. In alcuni casi, infatti, i comportamenti di parte datrice non esulano affatto dal normale conflitto tra le parti.
Orbene, la pronuncia in esame prosegue proprio nel solco dei provvedimenti giurisprudenziali che, valutando caso per caso, hanno contribuito a riempire di significato la previsione aperta di cui all'art. 28 Statuto dei lavoratori.
Nel caso affrontato, il Tribunale di Rovereto ha infatti ritenuto che la disdetta degli accordi aziendali e del ccnl da parte del datore di lavoro, l'invio di talune comunicazioni scritte ai lavoratori, l'indizione di riunioni da parte dell'A.D. e l'effettuazione di indagini tra i lavoratori circa la partecipazione o meno allo sciopero, concretizzassero proprio quella lesione all'immagine e all'attività della RSU nonché dell'Organizzazione Sindacale ricorrente che l'art. 28 dello Statuto dei lavoratori intende proteggere e sanzionare.
Particolarmente lesiva e sospetta appariva, secondo quanto emerso dagli atti, anche la modalità temporale prescelta dall'azienda datrice per comunicare il recesso unilaterale dal ccnl applicabile, essendo intervenuta immediatamente dopo avere appreso l'esito delle elezioni dei rappresentanti della RSU che aveva visto l'OS ricorrente prevalere sulle altre OO.SS. con l'ottenimento della maggioranza dei seggi.
Non solo, perché il Tribunale ha anche chiarito che l'adozione del rito di cui all'art. 28 risultasse pienamente ammissibile nel caso di specie, per il fatto che, pur trattandosi di condotte precedentemente poste in esse dal datore, ma ormai esauritesi nel tempo, le stesse, alla stregua di una valutazione globale e non limitata a singoli episodi, risultavano ancora idonee a produrre effetti negativi a svantaggio della RSU e dell'Organizzazione sindacale ricorrente, anche successivamente alla loro cessazione.
Ordinava, pertanto, l'affissione del provvedimento nei locali aziendali, in luogo accessibile a tutti e per un periodo di trenta giorni.
Per completezza espositiva e a conclusione del presente commento, si segnala che il decreto emesso a conclusione della fase sommaria è immediatamente esecutivo e, qualora non venga opposto dalla parte soccombente nel termine di quindici giorni, lo stesso, trattandosi di contenuto a carattere decisorio, passa in giudicato.
Qualora, invece, una delle parti faccia opposizione, nel predetto termine, dinanzi allo stesso Giudice del lavoro mediante l'adozione del rito del lavoro, la controversia verrà decisa con sentenza.
Si badi che il datore di lavoro che non ottempera a quanto stabilito nel decreto o nella sentenza pronunziata nel giudizio di opposizione è punibile ai sensi dell'art. 650 c.p. secondo il quale “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino ad euro 206”.
MINIMI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI - G. Pacchiana Pallavicini, La repressione della condotta antisindacale: significato e apporto di una norma (apparentemente) processuale, Lavoro Diritti Europa. Rivista nuova di Diritto del Lavoro, 20201; - De Marco Cinzia, L'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori tra storia e attualità, E.S.I., Napoli, 2019; - A. Di Stati, Manuale breve diritto del lavoro e della previdenza sociale, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019; - P. Bellocchi, S. Ciucciovino, L. Corazza, A. Maresca , Casi e materiali di diritto sindacale, Giappichelli, Torino, 2008. |