Decreto ingiuntivo di restituzione beni venduti con riserva di proprietà: illegittima l'imposta di registro se è stata scontata l'IVA

06 Aprile 2021

L'Agenzia delle Entrate mi ha notificato un Avviso di Liquidazione con il quale ha proceduto a tassare il Decreto Ingiuntivo emesso dal Tribunale applicando l'imposta di registro in misura proporzionale con aliquota del 3%. Tale Decreto Ingiuntivo, emesso a mio favore, origina da ricorso proposto da me proposto al fine di chiedere la restituzione, ex art. 633 c.p.c., di un impianto. Tale ricorso monitorio da me proposto si era reso necessario a seguito di inadempimento, da parte dell'acquirente (nel frattempo deceduto e, per tal ragione, il Decreto Ingiuntivo è stato emesso nei confronti dei suoi eredi) all' obbligazione assunta con il contratto di vendita con riserva di proprietà ai sensi della Legge 28 novembre 1965, n. 1329 da me stipulato, di pagamento del corrispettivo della cessione di tale impianto. L'Amministrazione ha motivato la tassazione del Decreto Ingiuntivo con imposta di registro in misura proporzionale con aliquota del 3% asserendo che l'atto giudiziario “riguarda, come è noto, un decreto ingiuntivo di restituzione di beni mobili venduti con riserva di proprietà soggetta ad aliquota proporzionale al 3% art. 8 Tar. Parte I allegata al d.P.R. n. 131/1986 e non soggetto ad Iva”. Vorrei chiedervi se vi sono i presupposti per contestare la rettifica operata dall'Amministrazione.

L'Agenzia delle Entrate mi ha notificato un Avviso di Liquidazione con il quale ha proceduto a tassare il Decreto Ingiuntivo emesso dal Tribunale applicando l'imposta di registro in misura proporzionale con aliquota del 3%. Tale Decreto Ingiuntivo, emesso a mio favore, origina da ricorso proposto da me proposto al fine di chiedere la restituzione,

ex

art. 633 c.p.c.

, di un impianto. Tale ricorso monitorio da me proposto si era reso necessario a seguito di inadempimento, da parte dell'acquirente (nel frattempo deceduto e, per tal ragione, il Decreto Ingiuntivo è stato emesso nei confronti dei suoi eredi) all' obbligazione assunta con il contratto di vendita con riserva di proprietà ai sensi della

Legge 28 novembre 1965, n. 1329

da me stipulato, di pagamento del corrispettivo della cessione di tale impianto.

L'Amministrazione ha motivato la tassazione del Decreto Ingiuntivo con imposta di registro in misura proporzionale con aliquota del 3% asserendo che l'atto giudiziario “riguarda, come è noto, un decreto ingiuntivo di restituzione di beni mobili venduti con riserva di proprietà soggetta ad aliquota proporzionale al 3% art. 8 Tar. Parte I allegata al

d.P.R. n. 131/1986

e non soggetto ad Iva”. Vorrei chiedervi se vi sono i presupposti per contestare la rettifica operata dall'Amministrazione.

Al fine di fornire risposta al quesito, diviene imprescindibile soffermarsi sulle caratteristiche dello schema negoziale della vendita con riserva di proprietà.

La vendita rateale con riserva di proprietà o con patto di riservato dominio trova la propria disciplina agli artt. 1523 e ss. c.c., nell'ambito della sezione dedicata alla vendita di cose mobili.

La ratio alla base dello stesso attiene ad una esigenza di finanziamento: attraverso la dilazione (in tutto o in parte) del prezzo, che viene pagato ratealmente, il venditore finanzia, di fatto, l'operazione di acquisto da parte dell'acquirente ed è, al contempo, tutelato contro il rischio di inadempimentodal meccanismo della riserva di proprietà.

La legge prevede che nella vendita a rate con riserva della proprietà il compratore acquisti la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo assumendo, però, i rischi dal momento della consegna(art. 1523 c.c.). Nonostante il patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l'ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzionedel contratto ed il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive (art. 1525 c.c.). Se la risoluzione del contratto ha luogo per l'inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Qualora venga convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta (art. 1526 c.c.).

Dalla lettura del dato normativo emerge, con tutta evidenza, come gli effetti che si manifestano tramite la vendita con riserva di proprietà sono i seguenti:

  1. per il cedente, a fronte di una cessione con incasso del prezzo dilazionato, il pagamento risulta garantito dal mantenimento della proprietà del bene fino all'integrale soddisfazione dello stesso;
  2. per il cessionario, la possibilità di utilizzare il bene fin da subito, beneficiando di un pagamento dilazionato (verosimilmente senza gli oneri imposti da un finanziamento bancario) ai fini dell'acquisto.

Facendo leva sul tenore letterale dell'art. 1523 c.c. (secondo cui “la vendita con riserva di proprietà è quel contratto nel quale il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna”), la giurisprudenza la quale si è occupata dell'argomento (Cassazione, sentenza n. 560 del 29 gennaio 1990), ha ritenuto che, mentre medio tempore si realizza in capo all'acquirente solo il diritto al successivo conseguimento della proprietà, è con il pagamento dell'ultima rata del prezzo che si verifica l'effetto traslativo; sicchè tale vicenda (id est, il pagamento del prezzo) viene a configurarsi quale momento qualificante della vicenda traslativa, producendosi solo in tal caso l'effetto contemplato dall'art. 1523 c.c. (acquisto della proprietà in capo al cessionario).

Esiste una rilevante ed innegabile divergenza tra la norma civilistica e quella tributaria ai fini Iva in quanto, mentre l'art. 1523 c.c. dispone che “nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna”, nell'art. 2 del D.P.R. n. 633 del 1972, il legislatore afferma che “le vendite con riserva di proprietà costituiscono cessioni di beni”, senza indicare alcuna condizione sospensiva o limitativa degli effetti delle stesse (quale è, invece, secondo la disciplina civilistica, il pagamento integrale del prezzo).

Talo dato normativo trova completamento nella previsione di cui all'art. 6, comma primo, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale dispone che “le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili. Tuttavia, le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente, tranne quelle indicate ai nn. 1) e 2) dell'art. 2 [e, quindi, delle vendite con riserva di proprietà], si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque, se riguardano beni mobili, dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione”.

Anche ai fini dell'imposta di registro il legislatore fiscale ha ritenuto che lo schema negoziale in esame produca l'immediato trasferimento del diritto all'acquirente; la norma di riferimento è l'art. 27 d.P.R. n. 131 del 1986, la quale dispone, al comma 1, che gli atti sottoposti la condizione sospensiva sono registrati con il pagamento dell'imposta in misura fissa, ad eccezione, secondo il comma 3 del medesimo articolo, delle vendite con riserva di proprietà, in quanto “non sono considerate sottoposte a condizione sospensiva”.

In esecuzione di quanto innanzi, Lei quale venditore ha emesso regolare fattura soggetta ad Iva.

Stante quanto innanzi, il modo di procedere dell'Ufficio si traduce in un evidente paradosso, in quanto si viene a tassare un atto, il Decreto Ingiuntivo che ha disposto la riconsegna del bene al legittimo proprietario ed il quale, quindi, non presuppone alcun effetto traslativo delle proprietà che, come visto in precedenza, non si è certo trasferita per effetto della stipula del contratto con riserva di proprietà.

Sul punto si è espressa anche la stessa Amministrazione Finanziaria con Risoluzione n. 28/E del 30 gennaio 2009, resa a seguito di interpello del contribuente, il quale aveva chiesto all'Amministrazione di sapere se, in caso di cessione dell'immobile, il calcolo dei cinque anni dalla data di acquisto, ai fini dell'imponibilità o meno della plusvalenza come reddito diverso ai sensi dell'art. 67, comma 1, lettera b), del DPR 917/86, potesse farsi decorrere dall'anno della stipula dell'atto di compravendita con patto di riservato dominio (1992), ovvero dal momento del riscatto.

Sul punto l'Amministrazione ha affermato che, al fine di chiarire quando debba ritenersi acquistato un terreno agricolo di cui si è acquisita la disponibilità attraverso la stipula di un contratto di riservato dominio, si deve ritenere che “il dies a quo, ai fini della decorrenza del quinquennio di cui all'art. 67, comma 1, del TUIR, debba essere individuato nel momento del pagamento dell'ultima rata in considerazione del fatto che è solo in quel momento che il compratore acquista la proprietà della cosa”. Ciò in quanto, prosegue l'Amministrazione, la vendita con riserva di proprietà “consente al compratore di godere fin da subito del bene oggetto della vendita senza l'esborso totale del prezzo pattuito ed al venditore di essere garantito dalla possibilità di recuperare il bene qualora il prezzo non dovesse essere interamente pagato. Conseguentemente è escluso che il c.d. “effetto traslativo” si possa verificare prima del pagamento dell'ultima rata – Sent. Cass. Civ. 19 ottobre 1992, n. 11450 – ancorché il compratore acquisti immediatamente il godimento del bene assumendosi i rischi relativi ad un eventuale perimento o deterioramento dell'oggetto.

In pratica, ne deriva che, verificandosi il trasferimento della proprietà dei beni oggetto di patto di riservato dominio solo con l'integrale pagamento del prezzo, lo scioglimento del rapporto contrattuale a seguito di inadempimento all'obbligo, contrattualmente assunto, di corresponsione del corrispettivo della cessione (id est, il godimento del bene) ed la riassunzione in possesso, in capo alla venditrice, dei beni oggetto del suddetto rapporto, costituisce una circostanza ricognitiva di un effetto già verificatosi in conseguenza dell'inadempimento. La risoluzione del patto di riservato dominio non si configura in termini di un autonomo rapporto contrattuale assimilabile ad un ritrasferimento della proprietà, in quanto è volta, diretta unicamente a produrre un effetto eliminativo di una pattuizione originaria (ciò del resto in applicazione del noto brocardo nemo in aliud transferre potest plus quam ipse habet).

L'interpretazione esposta è perfettamente trasponibile nella questione de qua, laddove la riassunzione in possesso del bene, da Sua parte, è avvenuta proprio a causa dell'inadempimento all'obbligo di integrale pagamento del prezzo da parte dell'acquirente.

Rebus sic stantibus, la cessione del bene, l'inadempimento, da parte della parte acquirente all'obbligo di pagare le rate, lo scioglimento del rapporto contrattuale (ai sensi dell'art. 12 del “Contratto di vendita con riserva di proprietà ai sensi della legge 28 novembre 1965, n. 1329” stipulato dalla Ricorrente e dall'acquirente e dell'art. 1526, comma secondo, c.c.) e l'ingiunzione, disposta dal Tribunale nei confronti degli eredi dell'acquirente, di consegnare a Lei il bene, costituiscono tasselli di un'unica operazione, id est, di un unico rapporto contrattuale, quello della vendita con riserva di proprietà.

La sequenza logico-giuridica che si viene a creare è la seguente:

  • stipulazione del contratto con patto di riservato dominio;
  • cessione (e godimento) del bene dal proprietario venditore alla parte acquirente;
  • omesso pagamento, da parte dell'acquirente, delle restanti rate;
  • emissione di Decreto Ingiuntivo, da parte del Tribunale, su richiesta del cedente il bene a seguito dell'inadempimento dell'acquirente al proprio obbligo di corrispondere le rate del prezzo di vendita della macchina;
  • riconsegna, da parte degli eredi dell'acquirente, nei confronti del venditore, a seguito di detto Decreto Ingiuntivo, del bene.

Come risulta da tale sequenza, la riconsegna del ben, disposta con Decreto Ingiuntivo, è da ricollegare, eziologicamente, all'inadempimento all'obbligo di corrispondere ratealmente il prezzo delle macchine stesse assunto dall'acquirente con la sottoscrizione del patto di riservato dominio. Tale obbligazione pecuniaria si pone in un rapporto sinallagmatico con la cessione (ed il godimento) del bene operata dal proprietario venditore all'atto della stipulazione del contratto in questione, configurandosi quale aspetto di un'unica operazione contrattuale (id est, la vendita con riserva di proprietà) con un proprio oggetto ed una propria causa specifica.

Ne deriva, quindi, che originando la consegna del bene, disposta con Decreto Ingiuntivo, dall'inadempimento a tale obbligazione pecuniaria (il quale elide la pattuizione originaria), obbligazione che si configura quale effetto della cessione, anche detta riconsegna (che si pone quale effetto obbligatorio del contratto sinallagmatico) si inserisce all'interno dell'unica operazione (vendita con riserva di proprietà), la quale costituisce la causa dello schema contrattuale in oggetto.

Pertanto, la riconsegna, disposta con procedura monitoria, del bene da parte degli eredi dell'acquirente nei confronti del proprietario venditore, non si atteggia come un' autonoma prestazione da assoggettare ad imposta di registro con aliquota proporzionale al 3% art. 8 Tariffa Parte I allegata al D.P.R. n. 131/1986, per non avere già scontato l'Iva, come, al contrario, asserito dall'Amministrazione nel proprio atto di rigetto dell'istanza di rettifica dell'Avviso di Liquidazione presentata dalla Società Ricorrente.

Essendosi in presenza di un'unica operazione (vendita con riserva di proprietà) alla quale ricondurre l'effetto obbligatorio della traslazione della proprietà dei beni solo al momento dell'integrale pagamento del prezzo (oltre agli altri effetti obbligatori, quale la consegna delle macchine agricole, che conseguono al verificarsi dell'inadempimento della parte acquirente) è logico che, avendo la cessione di tale bene già scontato l'Iva (per espressa disposizione fiscale derogatoria della normativa civilistica per ovvi motivi di gettito), il Decreto Ingiuntivo di riconsegna del bene emesso dal Tribunale a seguito dell'inadempimento della parte acquirente all'obbligo di pagare il corrispettivo della cessione, deve essere sottoposto ad imposta di registro in misura fissa.

L'art. 8, parte prima, lettera b), della Tariffa di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, il quale dispone che gli atti dell'Autorità Giudiziaria, in materia di controversie civili che definiscono (anche parzialmente) il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi, scontano l'imposta di registro proporzionale, quando recano la condanna al pagamento di somme o valori ed altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura, si pone quale regola generale, cui deroga la nota II dell'art. 8 già richiamato, laddove viene affermato che i predetti atti (decreti ingiuntivi esecutivi) non sono soggetti ad imposta proporzionale di registro per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti ad Iva, ex art. 40 D.P.R. n. 131 del 1986; pertanto, “per gli atti relativi a cessione di beni e prestazioni si servizi soggetti all'imposta sul valore aggiunto, l'imposta si applica in misura fissa”.

Tale disposizione è coerente con il disposto dell'art. 40D.P.R. n. 131 del 1986, il quale pone il principio dell'alternatività tra Iva ed imposta di registro; chiara la ratio che emerge dalla lettura congiunta dell'art. 40 D.P.R. n. 131 del 1986 e della nota II dell'art. 8 del medesimo D.P.R., che è quella di evitare che siano assoggettate all'imposta proporzionale di registro operazioni già colpite da quella sul valore aggiunto, in forza della prevalenza della normativa Iva rispetto a quella sulla imposta di registro.

Tale interpretazione trova riscontro sia nella pronuncia n. 21221 del 19 ottobre 2015 della CTP Roma, sia nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 34/E del 30 marzo 2001.

La CTP Roma, infatti, ha affermato che “gli atti dell'autorità giudiziaria non sono soggetti all'imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto. Ai decreti ingiuntivi originati da fattura, in particolare, è applicabile l'imposta di registro in misura fissa”. La Commissione ha accolto il ricorso della società che aveva impugnato l'avviso di liquidazione derivante da due decreti ingiuntivi, la quale si era difesa deducendo “l'illegittimità degli atti impugnati, in quanto l'art. 8 D.P.R. n. 131 del 1986 stabilisce in pratica (lettera b) che gli atti dell'autorità giudiziaria compresi i decreti ingiuntivi, che recano la condanna al pagamento di somme o valute consegna dei beni di qualsiasi natura scontano l'imposta proporzionale (3%), salvo in cui è disposto il pagamento di corrispettivi o di prestazioni soggetti all'iva predetto, nel qual caso è applicabile l'imposta fissa di Euro 168,00. Poiché i decreti ingiuntivi in questione hanno disposto la consegna dell'acquirente nell'ambito di una operazione (cessione di beni) iva, in tal caso l'imposta di registro è quella fissa”(in senso conforme anche CTP Milano, sentenza n. 3485 del 14 aprile 2015, in allegato n. 12, la quale ha affermato che “pertanto, per l'articolo 40 del D.P.R. n. 917 del 1986 le operazioni soggette ad Iva sono soggette ad imposta di registro in misura fissa per il principio di alternatività Iva- Registro”).

Dello stesso avviso l'Amministrazione Finanziaria la quale, nella Circolare n. 34/E del 30 marzo 2001, ha affermato che “È stata posta la problematica relativa al trattamento tributario, agli effetti dell'imposta di registro, dei decreti ingiuntivi originati da fattura nei quali siano enunciati negozi sottostanti soggetti all'imposta sul valore aggiunto e non registrati.

Prosegue l'Amministrazione affermando che “Deve ritenersi, pertanto, che ai decreti ingiuntivi originati da fattura è applicabile l'imposta di registro nella misura fissa di Lire 250.000 nonché, per il principio dell'alternatività di cui all'art. 40 del testo unico dell'imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, una ulteriore tassa fissa per l'enunciazione del negozio sottostante quando l'atto enunciato, soggetto ad Iva, non sia stato già registrato”.

Ne deriva, quindi, che nel caso di specie il Decreto Ingiuntivo emesso dal Tribunale deve essere assoggettato ad imposta fissa di registro, in quanto la riconsegna del bene si pone quale elemento nell'ambito di un unitario schema contrattuale (quello della vendita con riserva di proprietà) che ha già scontato l'imposta sul valore aggiunto (Iva) nel momento in cui è avvenuta la cessione della stessa.

Sul punto anche la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Catania, sez. X, sentenza n. 2270 pronunciata in data 15 febbraio 2021 e depositata in segreteria in data 10 marzo 2021 la quale, in una fattispecie identica alla precedente, ha accolto il ricorso del contribuente.

Per tutte le ragioni innanzi esposte, l'Avviso di Liquidazione è, pertanto, illegittimo ed infondato per avere tassato il Decreto Ingiuntivo in misura proporzionale, anziché fissa, ai sensi dell'art. 8 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, avendo già scontato l'operazione nella sua unitarietà l'Iva.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.