La sindacabilità delle scelte imprenditoriali nel processo penale: BJR e configurabilità della bancarotta fraudolenta per dissipazione
07 Aprile 2021
Massima
La regola della c.d. business judgment rule - canone ermeneutico che preclude ai giudici di esprimere valutazioni sulla diligenza degli amministratori attraverso i parametri dell'opportunità aziendale, limitando il sindacato giurisdizionale alla sola verifica circa l'adozione, da parte del manager, delle cautele necessarie per addivenire in maniera consapevole alla propria decisione - non trova applicazione in ambito penale allorché, ai fini della verifica degli elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta – in special modo dissipativa – il giudice penale è chiamato a valutare non solo la ragionevolezza delle scelte imprenditoriali in termini assoluti, ma anche con specifico riferimento al caso concreto, assumendo come parametro valutativo la garanzia patrimoniale ai creditori e avendo come riferimento le condizioni in cui versava l'azienda al momento di realizzazione della condotta. Il caso
La sentenza in commento giunge a conclusione delle vicende che hanno riguardato la società Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.A. in amministrazione straordinaria. A seguito della dichiarazione dello stato di insolvenza del settembre 2008 sono state contestate ai soggetti che avevano rivestito ruoli apicali nella società negli anni 2001-2007 plurime condotte di bancarotta fraudolenta per dissipazione e per distrazione ai sensi degli artt. 223, comma 1, 216, comma 1 n. 1, 219 legge fallimentare. I capi di imputazione hanno ad oggetto una serie di operazioni di gestione, acquisizione, cessione di partecipazioni, scorporo di rami di azienda, nonché il conferimento di una consulenza professionale, secondo la contestazione connotati da irragionevolezza rispetto agli interessi di Alitalia, alla luce della situazione di crisi in cui versava all'epoca di tali scelte imprenditoriali. Sia il Tribunale sia la Corte d'Appello di Roma, hanno condannato gli imputati, affermando la pienezza del proprio sindacato in ordine alla valutazione delle operazioni imprenditoriali sottese alle contestazioni di bancarotta fraudolenta loro ascritte. In particolare le corti di merito hanno ritenuto che al giudice penale è sempre consentito effettuare una valutazione, in prospettiva ex ante,dell'operato dell'imprenditore nei limiti e secondo i parametri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e, come noto, rappresentati (a) dall'oggetto della tutela, costituito dall'interesse dei creditori alla conservazione della garanzia, e (b) dalle modalità di aggressione di tale bene giuridico normativamente tipizzate dalle fattispecie di bancarotta semplice, fraudolenta e societaria (cfr. ex multis Cass. pen. sez. V., 20 maggio 2019, n. 34812; Cass. pen. sez. V, 27 giugno 2016, n. 44103; Cass. pen. sez. V, 22 febbraio 2018, n. 18517; Cass. pen. sez. V, 23 giugno 2017, n. 28296). Gli imputati ricorrevano per Cassazione denunciando, inter alia, violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., in quanto, a loro dire, i giudizi ex ante formulati dai giudici di merito in riferimento alle decisioni assunte dall'amministratore delegato erano stati, a ben vedere, condizionati da inammissibili valutazioni a posteriori, concretatesi in un sindacato di opportunità aziendale. Le questioni
La questione principale, tra le molte prospettate nei motivi di ricorso, attiene alla definizione dell'esatto perimetro entro il quale il giudice penale - ai fini dell'affermazione di responsabilità in relazione alle fattispecie di bancarotta fraudolenta - possa sindacare le scelte imprenditoriali compiute dagli amministratori di una società poi posta in liquidazione, in un momento in cui risultavano peraltro già evidenti le condizioni di crisi finanziaria in cui versava la stessa, e ciò con particolare riguardo alla fattispecie di bancarotta fraudolenta per dissipazione, in cui la valutazione in ordine alla ragionevolezza o meno della scelta imprenditoriale ben può incidere sulla configurabilità del reato. Secondo i ricorrenti le corti di merito avrebbero erroneamente disapplicato la regola, di derivazione statunitense, della c.d. “business judgment rule” (“BJR”) canone ermeneutico che preclude ai giudici di esprimere valutazioni sulla diligenza degli amministratori attraverso i parametri dell'opportunità aziendale, e che limita pertanto il sindacato giurisdizionale alla sola verifica circa l'adozione, da parte del manager, delle cautele necessarie per addivenire in maniera consapevole alla propria decisione. Infine, tra le altre questioni giuridiche trattate dalla sentenza in commento – e che nel prosieguo verranno richiamate solo cursoriamente – v'è da segnalare quella relativa all'esatta individuazione del criterio discretivo (i) tra la condotta distrattiva e quella dissipativa ex art. 216 l. fall., nonché (ii) tra quest'ultima e la bancarotta semplice per “operazioni manifestamente imprudenti” ex art. 217 l. fall. Osservazioni
La Corte di Cassazione nel prendere posizione in merito al perimetro di applicabilità della business judgment rule alla fattispecie di bancarotta dissipativa principia dall'analisi della regola civilistica. Secondo la BJR, una volta verificato l'adempimento, da parte del management, delle cautele necessarie per addivenire in maniera consapevole alla propria decisione - inerente un'operazione societaria dalla quale siano poi derivati danni per la società - ogni ulteriore valutazione di ragionevolezza della scelta resta preclusa. Come noto, sotto il profilo storico, la regola c.d. business judgment rule discende dall'elaborazione della dottrina statunitense del diciottesimo e diciannovesimo secolo e dalla coeva giurisprudenza degli Stati della Louisiana e del Delaware in seguito alle prime azioni di responsabilità contro gli amministratori di società di capitali intese a contestare le valutazioni, effettuate dal CdA, di assets societari durante operazioni di fusione societaria. Nel verificare se i danni occorsi alla società fossero addebitabili a carenze da parte del CdA nell'adempimento dei propri compiti, le corti statunitensi elaborarono dunque la regola secondo cui, nell'effettuare le proprie valutazioni il giudice (civile) deve presumere che gli amministratori agiscono sempre su base informata, in buona fede e nell'interesse della società, “con la conseguenza di esonerare da responsabilità il board of directors purché abbia assunto decisioni corrette, valutate attraverso una serie di fiduciary duties quali: the duty of care; the duty to monitor; the duty to inquiry; the duty of loyalty”. Pertanto, nei casi in cui gli amministratori abbiano assunto una decisione nel rispetto dei suddetti fiduciary duties, essi saranno affrancati da eventuali responsabilità, poiché titolari di una certa discrezionalità nel decidere sull'opportunità di ciascuna scelta imprenditoriale. Si tratta, nella sua forma originaria, di una presunzione “relativa”: la bjr infatti non opera, ad esempio, se gli amministratori hanno agito in conflitto di interessi e in tal caso è loro onere dimostrare l'assenza di responsabilità, perché l'operazione contestata è “entirely fair”, ossia non ha causato alcun danno, nemmeno in termini di lucro cessante. Semplificando, si può quindi dire che per via della bjr i giudici si astengono dal valutare il merito delle scelte gestionali degli amministratori, a meno che non vi sia prova, ad esempio, della mala fede degli amministratori. Ben si comprende come tale elaborazione giurisprudenziale statunitense sia fondata sulla consapevolezza che la gestione dell'attività di impresa comporta dei rischi tipici, appunto, dell'imprenditore e che, pertanto, estendere ex post la cognizione del giudice anche al merito della decisione potrebbe produrre quale effetto in capo all'impresa il rallentamento se non la compromissione del processo decisionale. D'altra parte, come osservato in dottrina, “in termini di regole sostanziali, e almeno in teoria, lo standard per la responsabilità degli amministratori è, negli Usa e in Delaware in particolare, più protettivo di quanto sia in Italia, dove il teorema del “non poteva non sapere”, applicato con il senno del poi, può condurre a un eccesso di rigore, ingenerare eccessiva prudenza negli amministratori, se non addirittura determinare una selezione avversa nelle cariche di sindaco e amministratore. Ancora una volta, tuttavia, per completezza si deve anche ricordare che gli azionisti americani, a differenza di quelli europei, hanno a disposizione potentissimi strumenti processuali, dalla discovery (ossia il potere di ordinare alla controparte di fornire tutte le informazioni rilevanti per la controversia), alle class action, per agire contro gli amministratori” (M. Ventoruzzo, Regole sulle parti correlate, in America sono un'altra cosa, 2.12.14, in www.lavoce.info). Venendo al nostro ordinamento, la business judgment rule è sin qui venuta in rilievo in tema di responsabilità dell'amministratore ex art. 2932 c.c. Nella giurisprudenza in materia è infatti risalente il principio secondo cui «all'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità, ex art. 2392 c.c., di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte), ma solo l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità» (Cass. civ., Sez. 1, 28 aprile 1997, n. 3652). La sentenza in esame riconosce, in campo civilistico, la valenza di questo principio e la sua diffusa, anche recentemente, applicazione, sottolineando con chiarezza la distinzione tra vaglio del profilo sostanziale delle scelte imprenditoriali e vaglio del profilo più strettamente “procedurale”: “seppure il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, né le modalità e le circostanze di tali scelte, anche se di rilevante alea economica, è pur vero che, in tale giudizio, può ben sindacarsi l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità, il che implica la valutazione della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere”. Nondimeno, la sentenza è allo stesso modo tranchant nell'escludere l'immediata, analoga, applicazione di tale regola di giudizio anche in ambito penale. In primo luogo, la Corte evidenzia come la business judgment rule sia stata applicata, sin dalla sua prima elaborazione, in relazione a contesti risarcitori, come si è visto appunto tipicamente civilistici. Tale applicazione, dunque, non legittima alcuna automatica estensione al campo del diritto penale in cui l'accertamento degli elementi costitutivi del reato, non ultimo anche l'elemento soggettivo, consente (e anzi richiede) un ben più approfondito vaglio delle scelte imprenditoriali. Inoltre, anche considerate le peculiarità della fattispecie dissipativa, la Corte di Cassazione ha evidenziato come il sindacato giurisdizionale non può prescindere dalla struttura del reato in esame. In proposito, si richiamano schematicamente, alcune considerazioni connesse alla natura del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale dissipativa prefallimentare. Quanto anzitutto al nesso di causalità tra la condotta dissipativa ed il dissesto dell'impresa, la Corte ricorda come – eccezion fatta per la nota e isolata sentenza Sez. 5, 24 settembre 2012, n. 47502, Corvetta, non vi è alcun dubbio che, in tema di bancarotta per distrazione, la condotta sanzionata non è quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento, bensì quella di depauperamento dell'impresa. Secondo la Corte, trattandosi di un reato di pericolo - e, peraltro di pericolo concreto -, il giudice deve pertanto, “porsi nell'ottica del soggetto agente nella fase in cui egli aveva operato la scelta imprenditoriale, ma deve, altresì, considerare l'effetto che tale scelta ha, in concreto, determinato sull'assetto patrimoniale una volta intervenuto il fallimento (o la dichiarazione di stato di insolvenza)”. In tale contesto, inoltre, posto che si tratta di fattispecie punita non a titolo di colpa, bensì a titolo di dolo, non si tratta, sempre secondo i giudici di legittimità, semplicemente di valutare le scelte discrezionali dell'imprenditore (e di tutte le conseguenti disquisizioni sui criteri ed i limiti di tale possibile valutazione). Al contrario, allorquando si è già determinata una vicenda dannosa per la garanzia dei creditori, la verifica consiste nell'accertare se l'agente avesse previsto come possibili determinati esiti e conseguenze della propria scelta e della propria conseguente condotta, accettando la loro verificazione, anche nella eventuale consapevolezza del danno che le stesse avrebbero potuto arrecare alla garanzia dei creditori e abbia, ciò nondimeno, agito. La Corte precisa altresì che per individuare quali siano i confini del sindacato sulla gestione dell'impresa si deve guardare all'oggetto di tutela della norma incriminatrice. Partendo da tale premessa, la Corte sostiene che, considerato come nella bancarotta fraudolenta per dissipazione il bene tutelato sia l'interesse dei creditori a che il patrimonio sociale assolva alla funzione di garanzia cui è preposto, le condotte dissipative sono sia quelle del tutto incoerenti con l'oggetto sociale (com'è invece nel caso di bancarotta patrimoniale fraudolenta distrattiva), sia quelle che si dimostrino irragionevoli rispetto alle esigenze economiche dell'impresa e che dunque mettano a rischio il patrimonio sociale ingiustificatamente. Posto che si tratta di un reato di pericolo concreto, allora, se in una situazione sostanzialmente prefallimentare si pongono in essere delle operazioni che pur coerenti in astratto con l'oggetto sociale siano - alla luce delle condizioni economiche in cui di fatto versa l'impresa - strutturate ed intraprese in modo di per sé antieconomico, tali operazioni non potranno che essere valutate come contrarie agli interessi della società e dunque dissipative. In altri termini, posto che nel giudizio penale l'affermazione di responsabilità presuppone l'accertamento del pericolo concreto cui è stato esposto il patrimonio sociale in dipendenza di una specifica scelta imprenditoriale, ciò che rileva per il giudice penale, secondo la Corte di Cassazione, “non è una scelta irragionevole, ma una scelta del tutto macroscopica ed abnorme, ossia manifestamente configgente ed incoerente con la tutela del ceto creditorio e con la logica di impresa, tenuto conto del concreto contesto di riferimento sottoposto al giudicante”. Da ciò deriva che ogniqualvolta dal punto di vista della garanzia patrimoniale la scelta si riveli irragionevole, sia in termini assoluti che relativi rispetto alla concreta situazione in cui versava la società, la business judgment rule non può costituire un valido limite al sindacato del giudice penale. Conclusioni
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte ha ritenuto che, limitatamente alle condotte dissipative, la situazione patrimoniale e finanziaria della società avrebbe dovuto indurre i suoi vertici a escludere le scelte imprenditoriali di fatto assunte in quanto era ragionevole prefigurarsi la messa in pericolo del patrimonio sociale e quindi delle garanzie creditorie. Il principio espresso dalla sentenza, ancorché sia l'esito di un complesso apparato argomentativo, appare sul punto condivisibile. L'estensione dell'applicabilità della business judgment rule ad un contesto differente da quello in cui tale regola è stata elaborata, costituirebbe, infatti, una scelta ermeneutica suscettibile di determinare inevitabili problemi esegetici, anche, e soprattutto, rispetto alla fattispecie di bancarotta patrimoniale fraudolenta dissipativa. La condotta tipica del reato, infatti, si pone (per definizione) in irrimediabile conflitto con la funzione di garanzia patrimoniale dei beni dell'impresa e rispetto ad essa, pertanto, al giudice penale non è richiesta alcuna valutazione (rectius: ingerenza) sul piano tecnico-economico. È fondamentale, tuttavia, che il giudice penale non prescinda da un'attenta valutazione del profilo soggettivo. In tale ottica dovrà quindi sempre verificare, nella prospettiva ex ante, che l'agente abbia ponderato tutte le possibili conseguenze delle proprie scelte nel contesto di una specifica condizione economica e, ciò nondimeno, abbia comunque accettato di attuare la condotta prescelta nonostante fosse prevedibile il conseguente pericolo per le garanzie patrimoniali dell'impresa. |