Redazione scientifica
09 Aprile 2021

Nella valutazione del giudice di merito in relazione ai presupposti per la concessione della protezione umanitaria, assume particolare rilevanza la minore età del richiedente e il fatto che esso sia giunto in Italia come minore non accompagnato.

Sul tema è intervenuta la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 9247/21, depositata il 6 aprile, accogliendo in parte il ricorso avvero la pronuncia con cui la Corte d'appello di Bari aveva confermato il rigetto della domanda di protezione internazionale del ricorrente.

Dalla ricostruzione della vicenda, emerge che egli era giunto in Italia dalla Guinea Bissau come minore non accompagnato, analfabeta, orfano di madre e costretto a lavorare nei campi fin dalla tenera età per le precarie condizioni di salute del padre. Era stato costretto a fuggire dal proprio paese perché accusato di furto da un politico locale.

Dopo il rigetto della richiesta di protezione internazionale, nelle diverse forme, ha proposto ricorso in sede di legittimità dolendosi della mancata considerazione della particolare condizione di vulnerabilità dei minori non accompagnati e dello sfruttamento del lavoro minorile in patria.

I Giudici del terzo grado hanno in primo luogo ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all'omessa audizione personale da parte del giudice. Il ricorrente infatti è stato ascoltato davanti alla Commissione territoriale e il verbale con le sue dichiarazioni è stato messo poi esaminato dall'autorità giudiziaria.
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 12 della Convenzione di News York sui diritti del fanciullo, che impone l'ascolto del minore di almeno 12 anni o anche di età minore se capace di discernimento, la pronuncia sottolinea che nel corso del giudizio di primo grado il ricorrente era divenuto maggiorenne e che esso non aveva effettivamente richiesto all'autorità giudiziaria di essere ascoltato personalmente.

Risulta invece fondata la censura relativa alla mancata concessione della protezione umanitaria e alla violazione degli artt. 5, 6, 19 del d.lgs. 286/1998 e dell'art. 32, comma 3, del d.lgs. 25/2008.

Partendo dal presupposto che in tal caso la valutazione dei presupposti è autonoma rispetto a quella per altre forme di protezione maggiori, deve essere ricordato come la protezione umanitaria costituisca una misura atipica e residuale che copre le situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per lo status di rifugiato o per la protezione sussidiaria, non possa comunque disporsi l'espulsione del richiedente.

L'applicazione della misura in parole richiede infatti una valutazione personale del livello di integrazione sociale e lavorativa in Italia, comparato con la situazione personale in cui versava nel proprio Paese di origine e alla quale sarebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio. In tale contesto, deve assumere particolare rilevanza la minore età del richiedente, oggetto di specifica attenzione da parte della disciplina in materia di immigrazione che infatti esclude la possibilità di emettere decreto di espulsione (art. 19, comma 2, lett. a), del d.lgs. 286/1998) e giustifica l'applicazione di particolari misure di cautela (artt. 28, 31, 33 del d.lgs. 286/1998). Infine, come si legge nella pronuncia, l'art. 2, comma 1, lett. h)-bis, del d.lgs. 142/2015 include tra i soggetti «vulnerabili» anche i minori e i minori non accompagnati.

Per questi motivi, la pronuncia impugnata viene cassata con rinvio alla Corte d'appello di Bari.

*fonte: www.dirittoegiustizia.it

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