Giudicato implicito sulla giurisdizione e conflitto di giudicati
09 Aprile 2021
Massima
Il giudicato implicito sulla giurisdizione, contenuto in una statuizione di merito del giudice ordinario o amministrativo, spiega effetti al di fuori del processo in cui la decisione è resa, sicché, in caso di conflitto di giudicati, la risoluzione è affidata alla regola di prevalenza del giudicato successivo. Il caso
La Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata per Cassazione, aveva rigettato il gravame contro la sentenza pronunciata dal Tribunale che aveva respinto la domanda di alcuni dipendenti Istat con cui essi avevano chiesto la dichiarazione del loro diritto a partecipare alle selezioni per la stabilizzazione previste dall'art. 1, comma 519, della l. 296/2006. Tutti i ricorrenti avevano svolto più di un triennio di lavoro a tempo determinato in livello III e IV ed erano poi stati assunti a tempo indeterminato, dopo concorso, ad un livello inferiore, ossia il VI, prima dell'intervento della normativa sopra ricordata. Poiché questa legge prevedeva l'assunzione per stabilizzazione anche di chi, nei cinque anni precedenti, fosse stato in servizio per almeno tre anni, ritenevano non rilevante il fatto di essere già stati assunti prima dell'entrata in vigore della norma ad un livello inferiore. Il processo veniva inizialmente incardinato dinanzi al TAR Lazio che declinava la giurisdizione in favore del giudice ordinario; veniva poi riassunto innanzi al Tribunale di Roma, giudice indicato come munito di giurisdizione. Nelle more la sentenza del TAR Lazio che declinava la propria giurisdizione veniva impugnata da due ricorrenti in contraddittorio con gli altri davanti al Consiglio di Stato che conseguentemente la riformava affermando la giurisdizione amministrativa e rimettendo la decisione al TAR in primo grado. La Corte di appello di Roma, nella sentenza impugnata per Cassazione, decide nel merito il ricorso rigettando la domanda. Ciò fa valorizzando il senso letterale della norma richiamata che prevedeva come requisito la necessità di aver prestato servizio. Pertanto, il candidato non doveva in alcun modo essere in servizio al momento dell'entrata in vigore della legge, atteso che la ratio della disposizione era quella di assumere chi non avesse un lavoro fisso, nell'ottica, appunto, della «stabilizzazione». La norma veniva poi considerata «eccezionale» e in quanto tale non estensibile a casi da essa non previsti. Contro questa sentenza i lavoratori proponevano ricorso per Cassazione affidato a due motivi, uno relativo alla giurisdizione e l'altro alla questione di merito. All'udienza di discussione davanti alla Corte compariva solo il difensore dei ricorrenti che dichiarava in via preliminare di rinunciare al primo motivo di ricorso e allegava copia della sentenza del Consiglio di Stato del 7 luglio 2005 con cui aveva respinto l'appello contro la sentenza del TAR di reiezione nel merito della domanda dei ricorrenti. La questione
La Corte di cassazione precisa innanzitutto che la controversia, rispetto al rapporto tra le giurisdizioni, si situa in epoca antecedente rispetto all'entrata in vigore della prima norma regolativa della translatio iudicii, ossia l'art. 59 della legge 69/2009. Tuttavia, anche prima dell'entrata in vigore di tale norma vi era un principio generale di «unicità processuale» e di translatio iudicii, susseguente alla dichiarazione di incostituzionalità di Corte Cost. n. 77/2007. Nel caso di specie, precisa la Corte, in ordine si è avuta: - la declinatoria di giurisdizione del TAR in favore del giudice ordinario; - l'inizio del processo davanti al Tribunale di Roma che respingeva nel merito le domande dei ricorrenti, sentenza poi confermata dalla Corte d'appello; - la riforma della sentenza del TAR che declinava la giurisdizione da parte del Consiglio di Stato sul ricorso di due lavoratori con affermazione della giurisdizione amministrativa; - il rigetto nel merito della domanda di tutti i lavoratori da parte del TAR e poi del Consiglio di Stato. Pertanto, nel caso in questione si è formato un giudicato esplicito del giudice amministrativo sulla ricorrenza della propria giurisdizione rispetto ai due lavoratori che impugnarono la declinatoria, ma anche un giudicato implicito nei confronti degli altri lavoratori perché dopo la riforma della sentenza del TAR declinatoria della giurisdizione essi diedero corso comunque al giudizio in sede amministrativa. Tuttavia, all'esito della pronuncia di merito di primo grado del giudice ordinario, non impugnata sotto il profilo della giurisdizione, si è formato giudicato implicito, sullo stesso tema, anche in favore del giudice ordinario. (fino a qui la questione) La questione è quindi relativa alla valutazione del se possa ritenersi avere efficacia esterna anche il giudicato del giudice ordinario o amministrativo formatosi sulla giurisdizione; le sentenze dei giudici di merito così come quelle dei giudici amministrativi, che statuiscano sulla sola giurisdizione, non sono, infatti, normalmente idonee ad acquistare autorità di cosa giudicata in senso sostanziale e a spiegare, di conseguenza, effetti anche al di fuori del processo in cui siano state adottate; mentre tale efficacia esterna può rispetto ad esse predicarsi solo quando la decisione, sia pure implicita, sulla giurisdizione, si rapporti ad essa collegandosi con una statuizione di merito. Le soluzioni giuridiche
La Corte ricorda come sia consolidato il principio secondo cui le pronunce sulla sola giurisdizione hanno efficacia pan-processuale se derivano dalla Suprema Corte, sia in sede di regolamento di giurisdizione sia in sede di ricorso ordinario, e hanno effetto, invece, soltanto in relazione al processo de quo, se provengono dal giudice di merito. Le Sezioni Unite hanno infatti anche recentemente ribadito che, per il principio del ne bis in idem, secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, ossia anche ciò che poteva essere dedotto in quanto relativo all'identica causa petendi, l'efficacia pan-processuale delle pronunce della Suprema Corte sulla giurisdizione non si realizza solo quando la nuova domanda sia proposta negli stessi termini sotto tutti i profili dell'azione, dato che non conta tanto il modo in cui essa è presentata, sicché laddove la Suprema Corte abbia già statuito sulla giurisdizione in un altro e precedente giudizio, è inammissibile il regolamento preventivo proposto in un successivo giudizio, instaurato dallo stesso attore sulla base degli stessi fatti posti a fondamento del primo, anche se l'atto introduttivo del secondo giudizio abbia chiamato in giudizio solo il convenuto principale nel primo, con lo stesso petitum e la stessa causa petendi, pur se diversamente qualificata (così Cass. civ., sez. un., 23 aprile 2019, n. 11161; conforme Cass. civ., sez. un., 22 ottobre 2018, n. 26595). A questo principio fa eccezione l'ipotesi in cui l'affermazione della giurisdizione derivi da una sentenza di merito passata in giudicato che contiene il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del giudice che la ha emessa. Tale regola ha infatti l'intento di contenere il rischio di conflitti positivi di giurisdizione quando una delle autorità giudiziarie sia arrivata alla decisione di merito. Osservazioni
Al principio consolidato secondo cui le pronunce della Corte di cassazione sulla sola giurisdizione godono dell'effetto c.d. pan-processuale, sia se pronunciate in sede di regolamento preventivo sia in sede di ricorso ordinario per motivi attinenti alla giurisdizione, e hanno effetto solo rispetto al singolo processo se provengono dal giudice di merito del rispettivo ambito, fa eccezione un'altra ipotesi, puntualmente richiamata nella motivazione della sentenza in commento. Ai sensi di tale, altrettanto consolidato, orientamento, le sentenze dei giudici di merito così come quelle dei giudici amministrativi, che statuiscano sulla sola giurisdizione, sono idonee ad acquistare autorità di cosa giudicata in senso sostanziale e a spiegare, di conseguenza effetti anche al di fuori del processo in cui siano state adottate, solo quando in esse la decisione, sia pure implicita, sulla giurisdizione, si rapporti ad essa collegandosicon una statuizione di merito (tra le moltissime Cass. civ., sez. un., 30 luglio 2020, n. 16458; Cass. civ., sez. un., 21 luglio 2015, n. 15208; Cass. civ., sez. un., 10 agosto 2005, n. 16779; Cass. civ., sez. un., 19 novembre 1999, n. 802; Cass. civ., sez. un., 5 febbraio 1999, n. 45). Dato per assodato il principio sono corrette, a mio parere, le conseguenze che la Corte ne trae nella pronuncia in commento. Infatti, sostiene la Corte che senza dubbio il giudicato implicito maturato presso il TAR per i lavoratori che non impugnarono l'originaria pronuncia declinatoria della giurisdizione, rientra nell'ipotesi di cui alle sentenze ora citate e così anche quello maturato presso il giudice ordinario. Entrambi i giudicati in questione sono quindi muniti dell'efficacia pan-processuale. Nemmeno può diversamente opinarsi rispetto ai due lavoratori che hanno impugnato l'originaria pronuncia declinatoria della giurisdizione, per i quali il giudice amministrativo ha poi affermato la giurisdizione, con pronuncia passata in giudicato e, successivamente, dopo la rimessione in primo grado, con pronuncia sul merito. Anche in questa ipotesi infatti la decisione sulla giurisdizione si unisce a quella sul merito, senza che si possa distinguere per il fatto che ciò si verifica sulla base di una duplicità di sentenze tra loro consequenziali. La soluzione al problema dei giudicati contrastanti si può risolvere, a parere della Corte soltanto ritenendo che in caso di conflitti di giudicati la risoluzione, anche nell'ipotesi di giudicato implicito sulla giurisdizione contenuto in una statuizione di merito del G.O. o del G.A., è affidata alla regola della prevalenza del giudicato successivo su quello precedente. In questo caso, la sentenza di primo grado del G.O. è del 2009 e l'appello del 2010, mentre la pronuncia del Consiglio di Stato affermativa della giurisdizione del G.A. è del 2013 e successive sono le pronunce del giudice amministrativo. Pertanto, per la regola cronologica della prevalenza del giudicato successivo, bisogna riconoscere la sussistenza della giurisdizione amministrativa con conseguente inammissibilità del ricorso sia perché il giudice adito è privo di giurisdizione e conseguentemente non ha il potere di decidere sul motivo di merito cui le parti non hanno rinunciato, sia perché i ricorrenti non hanno interesse alla pronuncia atteso che in sede di giurisdizione amministrativa sullo stesso oggetto e nei confronti delle stesse parti vi è stata decisione di merito sfavorevole passata in giudicato. Per una fattispecie analoga, in una ipotesi di contrasto tra pronunce implicite ed esplicite sulla giurisdizione si veda Cass. civ., sez. un., 22 settembre 2015, n. 23538, secondo cui il rilievo dell'esistenza del precedente giudicato implicito, derivante dalla mancata impugnativa del lodo per ragioni di giurisdizione e, per tale via, precedente al giudicato esterno, formatosi nel corso del giudizio di appello, è superabile sulla base del principio secondo cui, laddove sulla stessa questione si siano formati due giudicati contrastanti, per stabilire quale dei due prevalga bisogna far riferimento al criterio temporale. Pertanto, il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, purché la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione. |