Il mutamento della nozione di «atti in frode ai creditori»
12 Aprile 2021
Massima
L'inciso di cui all'art. 14-quinquies della l. 3/2012 deve essere interpretato nel senso che gli «atti in frode», alla luce del mutato panorama normativo, vanno individuati in quelli posti in essere in prossimità od in vista dell'apertura della liquidazione, ovvero in quelli posti in essere successivamente alla data di deposito della relativa domanda (allo stato, da parte del solo debitore), con esclusione quindi di quegli atti che pur non strumentalmente posti in essere in vista della procedura, siano comunque revocabili, rispetto ai quali il legislatore conferisce fin d'ora la legittimazione al curatore per l'azione di cui all'art. 2901 c.c. Il caso
Un imprenditore c.d. sottosoglia, in data 23 novembre 2020, presentava al Tribunale di Monza domanda di ammissione alla procedura di liquidazione del patrimonio a norma dell'art. 14-ter della l. 3/2012. Dalla documentazione acquisita, risultava come il debitore, in data 23 maggio 2017, avesse alienato alla sorella la quota di un mezzo della nuda proprietà di un immobile nonché la quota, sempre di nuda proprietà, di un quarto di autorimessa e ancora di un giardino, per un corrispettivo poi utilizzato per saldare alcuni debiti, tra i quali oltre trentamila euro verso la madre e la sorella. Verificata la sussistenza degli altri requisiti richiesti per l'accesso alla liquidazione del patrimonio, il Tribunale di Monza è stato dunque chiamato a valutare se le operazioni menzionate potessero essere qualificate quali atti in frode ai creditori idonei, ai sensi dell'art.14-quinquies della l. 3/2012, a precludere al debitore l'accesso alla procedura, anche alla luce delle innovazioni che il d.l. 137/2020, conv. in l. 176/2020, ha apportato alla richiamata l. 3/2012. La questione
La questione affrontata dal Tribunale di Monza, essenzialmente già enucleata in conclusione del precedente paragrafo, riguarda la possibilità di qualificare quali «atti in frode ai creditori» - che, come noto, a norma dell'art.14-quinquies precludono la possibilità di accedere alla procedura di liquidazione del patrimonio -, le operazioni compiute dal debitore, alla luce delle innovazioni che il d.l. 137/2020 ha apportato alla l. 3/2012 tra cui, in particolare, il potere espressamente riconosciuto al liquidatore di esercitare l'azione revocatoria all'interno della procedura. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Monza, al termine di un ragionamento che verrà subito illustrato, afferma come le modifiche introdotte dal menzionato d.l. 137/2020, pur se non direttamente incidenti sull'art.14-quinquies, abbiano comportato un mutamento nella nozione di «atti in frode ai creditori» idonea a precludere l'accesso alla procedura; con ciò, il giudice ha escluso, nel caso di specie, la possibilità di qualificare in tal senso le operazioni compiute dal debitore, conseguentemente disponendo l'apertura, nei confronti dello stesso, della procedura di liquidazione del patrimonio. In via preliminare, si ricorda come, a tenore dell'art.14-quinquies della l. 3/2012, «il giudice, se la domanda soddisfa i requisiti di cui all'art. 14-ter, verificata l'assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni, dichiara aperta la procedura di liquidazione». In prima battuta, il Tribunale ha ricordato l'interpretazione dallo stesso seguita, nella definizione della locuzione «atti in frode ai creditori» antecedentemente alle modifiche introdotte dal d.l. 137/2020. A tal proposito l'inciso era inteso nel senso per cui dovessero essere considerati ostativi all'apertura della procedura gli atti revocabili ai sensi dell'art. 2901 c.c., anche in considerazione del fatto che - sempre nella lettura offerta dal Tribunale - il liquidatore era da considerare privo della legittimazione a esperire l'azione revocatoria all'interno della procedura: un'interpretazione, questa, che si fondava, a sua volta sulla circostanza per cui la presenza di atti revocabili escludeva la possibilità stessa di accesso alla liquidazione. Ciò posto, il Tribunale esamina l'impatto che il d.l. 137/2020 ha avuto sulla procedura di liquidazione del patrimonio. Il dato fondamentale viene ravvisato nelle modifiche introdotte nell'art. 14-decies, in particolare tramite l'aggiunta di un 2 comma che oggi prevede che «il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile», evidentemente ammettendo in via espressa il liquidatore all'esercizio dell'azione revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. È evidente come tale modifica sia destinata a incidere sull'impianto argomentativo seguito dal Tribunale di Monza per identificare gli «atti in frode ai creditori» di cui discorre l'art.14-quinquies. E infatti, nel provvedimento in esame si precisa come, con tale nozione, debbano essere intesi gli atti posti in essere in prossimità o in vista dell'apertura della liquidazione stessa, ovvero successivamente alla data di deposito della relativa domanda, con esclusione di quegli atti che, pur non strumentalmente posti in essere in vista della procedura, siano comunque revocabili, rispetto ai quali il legislatore conferisce fin d'ora la legittimazione al curatore per l'azione di cui all'art. 2901 c.c. In sostanza, gli atti revocabili ex art. 2901 c.c., un tempo ritenuti coincidenti con quelli compiuti in frode ai creditori e idonei a precludere l'accesso alla liquidazione del patrimonio, vengono ora - con soluzione diametralmente opposta rispetto a quella precedentemente sposata - esclusi da tale nozione, in virtù della riconosciuta legittimazione del liquidatore a esercitare l'actio pauliana. Osservazioni
In primo luogo, non può non rilevarsi come l'orientamento inizialmente seguito dal Tribunale di Monza per identificare gli atti in frode ai creditori in quelli revocabili ex art. 2901 c.c. fosse affetto da una petizione di principio. Sulla scorta di tale orientamento si sosteneva, infatti, che poiché l'assenza di atti revocabili costituiva requisito di accesso alla liquidazione del patrimonio, all'interno della procedura non si sarebbero mai potuti verificare i requisiti di esercizio dell'actio pauliana, con conseguente privazione del liquidatore della relativa legittimazione: risulta evidente come ciascun capo del ragionamento venisse assunto, al contempo, quale premessa e conclusione dell'altro. Ciò detto, è senz'altro utile ricordare che, con riguardo al tema della legittimazione del liquidatore a esperire l'azione revocatoria all'interno della procedura di liquidazione del patrimonio, vi fossero divisioni in dottrina tra chi si era espresso a favore di detta possibilità (Cesare, Sovraindebitamento: liquidazione del patrimonio, in www.ilfallimentarista.it, § 6) e chi, al contrario, ha escluso detta legittimazione (Giavarrini, Profili della liquidazione del patrimonio nella l. n. 3/2012, Padova, 2018, 207 e 264). A tal riguardo, per la loro idoneità a chiarire detta questione interpretativa, sono sicuramente da salutare con favore sia l'art. 274 del C.C.I.I. (che, nell'ambito della procedura di liquidazione controllata ammette il liquidatore all'esercizio dell'azione revocatoria), sia il già più volte richiamato d.l. 137/2020, che tale novità anticipa già a livello della l. 3/2012. L'altra questione toccata dal provvedimento in commento riguarda l'assenza di atti in frode ai creditori quale requisito di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio. Anche a tal proposito è possibile riscontrare alcune divergenze interpretative, ancorché la giurisprudenza di merito assolutamente maggioritaria abbia configurato l'assenza di atti in frode ai creditori quale presupposto di apertura della procedura di liquidazione (così, Trib. Milano, 18 novembre 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Prato, 28 settembre 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Verona, 9 maggio 2018, in www.ilcaso.it). Il riferimento è a Trib. Lecco, 28 giugno 2018 (in Giur. It., 2019, 574 ss., con nota di Baroncini, Apertura della procedura di liquidazione del patrimonio e atti in frode ai creditori), che ha escluso che la verifica inerente all'assenza di atti in frode ai creditori sia funzionale all'accesso alla procedura, anche in considerazione del fatto che, nei casi di apertura della liquidazione c.d. per conversione, il riscontro di atti in frode ai creditori costituisce proprio un presupposto di accesso alla stessa (in senso differente si è però pronunciato Trib. Lecco, 6 novembre 2018, in esito al reclamo proposto avverso al primo provvedimento pronunciato e reperibile sempre su Giur. It., in calce allo stesso: ivi si è affermato, infatti, che poiché il liquidatore è privo di azioni per reagire al compimento di atti in frode ai creditori, giocoforza l'ammissione alla procedura deve essere subordinata alla previa verifica dell'assenza degli stessi). L'innovazione apportata dal d.l. 137/2020 sicuramente offre un dato interpretativo ulteriore per rispondere agli interrogativi in esame. Con esso, come detto, si riconosce espressamente al liquidatore la legittimazione a esperire l'azione revocatoria. Tale dato - come effettuato dal provvedimento in commento - potrebbe certo essere valorizzato al fine di escludere che gli atti in frode ai creditori di cui parla l'art.14-quinquies coincidano con quelli revocabili, ma a onor del vero non depone inequivocabilmente in tal senso: l'azione revocatoria, invero, ben potrebbe fungere da meccanismo di recupero avverso operazioni sfuggite al controllo giudiziale in sede di apertura della procedura. Una differente e più radicale interpretazione è stata peraltro offerta, di nuovo, da Trib. Lecco, 16 gennaio 2021 (in www.ilcaso.it), dove si è chiarito come il requisito dell'assenza di atti in frode ai creditori non costituisca più requisito di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio, in virtù dell'abrogazione implicita dell'art.14-quinquies avvenuta ad opera del d.l. 137/2020, nella misura in cui ha provveduto a inserire nell'art. 14-decies la facoltà del liquidatore all'esercizio delle azioni revocatorie ai sensi dell'art. 2901 c.c.: ciò, infatti, presupporrebbe implicitamente l'irrilevanza, ai fini dell'accesso alla procedura, degli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori. In altri termini, l'espressa previsione della facoltà del liquidatore all'esercizio dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c., presupporrebbe proprio il compimento di atti pregiudizievoli da parte del debitore che pertanto non può vedersi negato, per ciò solo, l'accesso alla procedura di liquidazione, con conseguente necessità di considerare implicitamente abrogato, in parte qua, l'art.14-quinquies, comma 1, (conf., in dottrina, Cesare, Il nuovo sovraindebitamento modificato dalla legge di conversione del Decreto Ristori, in www.ilfallimentarista.it). Da ultimo, vale la pena rilevare come gli interrogativi sin qui posti perderanno la propria ragion d'essere nell'ambito del C.C.I.I., il cui art. 270, nel disciplinare la fase di apertura della liquidazione controllata, non ripete la necessità per il Tribunale di verificare l'assenza di atti in frode ai creditori: nell'ambito della nuova normativa, dunque, l'accesso alla procedura non sarà più subordinato a tale accertamento, e correlativamente il liquidatore sarà legittimato, a norma dell'art. 274 C.C.I.I.., all'esercizio (tra l'altro) dell'azione revocatoria. Riferimenti
Sulle specifiche questioni si rinvia, oltre alla giurisprudenza e alla dottrina citate nel testo, a:
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