Presupposti del reato di tardiva esibizione della contabilità

12 Aprile 2021

In tema di reati tributari, il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'art. 10 del Dlgs. n. 74 del 2000, costituisce un reato di pericolo concreto, che è integrato, nel caso della distruzione, dall'eliminazione della documentazione o dalla sua alterazione con cancellature o abrasioni, e, nel caso dell'occultamento, dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti...
Massima

In tema di reati tributari, il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'art. 10 del Dlgs. n. 74 del 2000, costituisce un reato di pericolo concreto, che è integrato, nel caso della distruzione, dall'eliminazione della documentazione o dalla sua alterazione con cancellature o abrasioni, e, nel caso dell'occultamento, dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti, realizzata mediante il loro materiale nascondimento, configurandosi, in tale ultima ipotesi, un reato permanente. Basta, quindi, anche la temporanea indisponibilità della documentazione per la consumazione del reato e la eventuale, successiva, produzione della documentazione fa solo cessare la permanenza del reato stesso.

Il caso

La Cassazione, Sez. Penale, con la sentenza in commento, ha affermato rilevanti principi in tema di presupposti del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000.

Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva confermato la decisione del Tribunale, che aveva condannato l'imputato alla pena di anni 1 di reclusione per il reato di cui all'art. 10 d.lgs. 74 del2000, perché, in qualità di amministratore unico, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, occultava e/o distruggeva tutti i documenti contabili della società, in modo da non consentire la ricostruzione degli affari o del loro volume.

L'imputato proponeva quindi ricorso per cassazione, deducendo la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, sulla responsabilità e sul mancato accertamento del ravvedimento operoso.

Secondo il ricorrente, il verbale dell'Agenzia delle Entrate (prodotto dalla difesa) evidenziava infatti l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato.

Al momento dell'attività di ispezione della Guardia di Finanza non veniva fornita la documentazione contabile, non avendone a tale data il ricorrente la disponibilità; tuttavia, in seguito, recuperata la documentazione, la stessa veniva consegnata all'Agenzia delle Entrate, prima della definizione dell'accertamento tributario.

Tale dato era stato ritenuto irrilevante dalla Corte di Appello, con motivazione apodittica.

Il ricorrente, infatti, come detto, aveva recuperato la documentazione solo in un secondo momento, consegnandola poi all'Agenzia, con successiva definizione dell'accertamento in adesione, e redditi ricostruiti esattamente in base alla stessa documentazione consegnata, come espressamente riconosciuto anche dall'Agenzia delle Entrate.

L'Amministrazione finanziaria, quindi, rilevava il ricorrente, non era stata impedita nella ricostruzione dei redditi; e, conseguentemente, nessun evento pregiudizievole si era in realtà verificato, laddove, per la configurabilità del reato, la norma richiede il dolo specifico e l'impossibilità o difficoltà della ricostruzione dei redditi.

La questione

Il reato di pericolo si configura al rifiuto di esibire la documentazione tributaria richiesta per la ricostruzione dei redditi e l'occultamento della documentazione contabile risulta un reato permanente.

Infatti, "In tema di reati tributari, il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 costituisce un reato di pericolo concreto, che è integrato, nel caso della distruzione, dall'eliminazione della documentazione o dalla sua alterazione con cancellature o abrasioni, e, nel caso dell'occultamento, dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti, realizzata mediante il loro materiale nascondimento, configurandosi, in tale ultima ipotesi, un reato permanente" (Cass., Sez. 3, n. 46049 del 11/10/2018).

Basta, quindi, anche la temporanea indisponibilità della documentazione per la consumazione del reato.

La successiva, eventuale, produzione della documentazione fa solo cessare la permanenza del reato.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso, secondo la Suprema Corte era infondato.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, la decisione della Corte di Appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) conteneva adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente per il reato contestatogli, rilevando la sussistenza del dolo e dell'elemento oggettivo del reato, laddove, al momento del controllo della Guardia di Finanza, non erano state esibite le scritture contabili obbligatorie (fatto incontestato), senza che peraltro l'imputato fornisse alcun elemento di giustificazione.

La desistenza volontaria ex art 56, comma 3, c.p., rileva la Cassazione, si può del resto configurare solo nel tentativo, ovvero il delitto non deve essere consumato. Infatti, "In tema di tentativo, ricorre l'ipotesi di desistenza volontaria solo qualora l'agente abbia ancora l'oggettiva possibilità di consumare il reato in quanto ancora nel pieno dominio dell'azione in atto" (Cass., Sez. VI, n. 40678 del 09/11/2011).

E nella specie, evidenziano i giudici, la Corte di Appello aveva anche valutato che la tardiva consegna era solo una strategia per la definizione della controversia in sede tributaria (poi effettivamente definita con l'accertamento con adesione).

Osservazioni

Tanto premesso quanto all'aspetto penalistico, sotto il profilo amministrativo giova anche evidenziare quanto segue, in termini di utilizzabilità processuale di documenti non forniti in sede di controllo.

L'art. 32, comma 3, d.P.R. n. 600/73 prevede espressamente che le notizie ed i dati non addotti ed i documenti non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'Amministrazione finanziaria non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa.

L'inottemperanza del contribuente alla richiesta di esibizione di dati e documenti cagiona quindi una «preclusione probatoria» (cfr., Cass., 10 gennaio 2013, n. 453), che si sostanzia in una preclusione ad una successiva produzione in fase giudiziaria (come sorta di sanzione indiretta alle tecniche di ostacolo dell'azione accertativa).

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7232 del 10 aprile 2015, ha inoltre anche affermato la rilevabilità d'ufficio dell'eccezione. I documenti prodotti dal contribuente nel giudizio tributario, dei quali abbia in precedenza rifiutato, in sede amministrativa, l'esibizione all'Amministrazione finanziaria, non possono dunque essere presi in considerazione ai fini del decidere, anche in assenza di una eccezione in tal senso dell'amministrazione resistente.

E le giustificazioni eventualmente poi addotte in contenzioso devono essere considerate mere circostanze soggettive, non potute conoscere dall'Ufficio.

Secondo giurisprudenza della medesima Corte, infatti, il comportamento omissivo del contribuente, che non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti, impedendo, o ostacolando, la verifica da parte dell'ufficio, vale, di per sé, ad ingenerare un più che giustificato sospetto sull'attendibilità delle scritture, rendendo "grave" la presunzione di attività non dichiarate.

Oltre a ciò, se il contribuente non risponde, l'ufficio è legittimato anche a ricorrere all'accertamento induttivo.

In definitiva, la preclusione all'utilizzabilità delle prove documentali non esibite ai verificatori è subordinata alle seguenti condizioni:

- la non veridicità della dichiarazione, o, più in generale, il suo essere diretta ad impedire l'ispezione del documento;

- la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa;

- il dolo, costituito dalla volontà di impedire che possa essere effettuata l'ispezione del documento.

Pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell'indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione (cfr., Cass., Ordinanza n. 11908 del 16/05/2018).

Si è infatti in questi casi al di fuori delle ipotesi "dolose" del volontario "rifiuto" di esibizione, o della volontaria "sottrazione alla ispezione", che presuppongono, al contrario, proprio il possesso o comunque la materiale disponibilità del documento.

La perdita incolpevole del documento non esenta comunque l'interessato dall'onere della prova, né lo sposta sulla controparte.

Incombe quindi sul contribuente non solo l'onere di dimostrare di essersi trovato nell'incolpevole impossibilità di produrre tali documenti, ma anche quello di dimostrare di non essere in grado di acquisire copia della documentazione mancante.

In ogni caso, il contribuente, per incorrere nella “sanzione” della inutilizzabilità, deve comunque avere espressamente rifiutato l'esibizione, dichiarando di non possedere i documenti, o comunque sottraendoli al controllo, con uno specifico comportamento doloso volto ad eludere la verifica.

Il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa costituisce infatti un limite all'esercizio dei diritti di difesa e dunque si giustifica solo in quanto vi sia stato un rifiuto di documentazione specificamente richiesta dagli accertatori (cfr. Cass., Ord., n. 19938 del 27/07/2018).

Il divieto di utilizzo presuppone dunque che vi sia stata una specifica richiesta da parte degli agenti accertatori, non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non è stato richiesto.

In conclusione va evidenziata l'importanza dell'obbligo di conservazione della documentazione contabile e dell'obbligo di custodia diligente delle scritture aziendali.

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