Fondi pensione: decesso dell'iscritto e diritto al riscatto dell'erede solo se ha accettato l'eredità? La Cassazione irrigidisce lo scenario
12 Aprile 2021
Abstract
Con decisione del 2019 la Cassazione si è pronunciata sull'art. 14 d.lgs. n. 252 del 2005 che – in caso di decesso dell'iscritto a fondo di previdenza complementare prima di aver maturato la pensione – riconosce il diritto al riscatto del montante maturato (fra gli altri) agli eredi.
Mentre orientamenti Covip del 2008 avevano evidenziato che la locuzione “eredi” individua coloro che hanno la qualità di “chiamati all'eredità”, a prescindere dalla accettazione della stessa, la Cassazione prospetta una lettura più rigida della norma: eredi sono solo coloro che hanno accettato l'eredità.
La questione non è priva di incertezze (anche per l'operatività dei fondi pensione) e successive verifiche giudiziali potranno favorire ulteriori riflessioni e approfondimenti. La normativa di riferimento
L'art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005 (1) disciplina la fattispecie in cui l'iscritto a un fondo di previdenza complementare venga a mancare prima di aver maturato i requisiti per il diritto al relativo trattamento pensionistico (2). Al riguardo la norma introduce un apposito diritto al riscatto della posizione maturata in favore degli eredi o dei diversi soggetti (persone fisiche o giuridiche) designati dall'iscritto deceduto. In assenza di eredi o di designazione effettuata, entrano in gioco (quale extrema ratio) criteri di devoluzione esogeni alla sfera giuridica del soggetto deceduto: nel caso di partecipazione a forme pensionistiche collettive la posizione è acquisita dal fondo pensione, mentre nel caso di forme pensionistiche individuali, la devoluzione è indirizzato in favore di imprecisate finalità sociali (che avrebbero dovuto - e dovranno - essere specificate con Decreto ministeriale).
Un profilo della norma sul quale, da ultimo, si registrano divergenze interpretative e applicative attiene all'esatto inquadramento dei presupposti di spettanza del diritto al riscatto in favore degli eredi (mentre sembra pacifico che il rapporto fra “eredi” e “designati” si atteggi nel senso della prevalenza “ad excludendum” di questi ultimi sui primi, in una sorta di favor della volontà espressamente manifestata, al riguardo, dal titolare della posizione pensionistica). La posizione assunta dalla Corte di cassazione
In materia si è espressa la Cassazione con ordinanza n. 19751 del 2019 la quale rappresenta, a quanto consta, il primo pronunciamento del giudice di legittimità sulla tematica e che, di per sé stessa, è valsa a mettere in discussione quelle che, per gli operatori del settore della previdenza complementare, erano certezze “bollinate” dagli orientamenti applicativi resi dalla Commissione di vigilanza già nel 2008.
Al riguardo, va anzitutto detto che non risulta controversa la configurazione del diritto al riscatto, di cui all'art. 14 c.c. cit., quale prerogativa spettante, in via autonoma e originaria, ai soggetti ivi indicati e non già acquisita in via derivativa dall'iscritto al Fondo pensione; ciò sia nel caso che in cui i beneficiari del diritto al riscatto siano i soggetti designati dall'iscritto, sia nel caso in cui siano gli eredi. Il diritto al riscatto, infatti, ha fonte nella considerata norma di legge (art. 14) che lo attribuisce in via diretta e immediata a designati o eredi (3).
Ciononostante, nel caso in cui siano gli eredi a trovarsi nella condizione di esercitare tale diritto (al riscatto), emergono dubbi sulla loro corretta identificazione, nel senso che risulta controverso se la norma chiami o meno in causa, ai considerati effetti, i criteri di cui al Libro II del Codice civile. Più specificamente, ci si chiede se l'individuazione degli eredi vada effettuata in concreto (con riguardo a chi effettivamente subentra nel patrimonio dell'iscritto a titolo ereditario per effetto di accettazione anche beneficiata), ovvero se la norma utilizzi il termine “eredi” in maniera aspecifica, giusto per indicare i soggetti verso cui si indirizza la delazione ereditaria, quindi i chiamati all'eredità (artt. 457-460 c.c.). Gli orientamenti della Covip
Quest'ultima impostazione è stata avvalorata dalla Covip già in fase di prima applicazione della riforma del d.lgs. n. 252 del 2005 (entrata in vigore nel 2007) e confermata anche in pareri resi dalla stessa in risposta a quesiti indirizzati dai fondi pensione vigilati. In tal senso, nel 2009 la Commissione ha affermato che “L'indicazione, contenuta nell'art.14, comma 3 del d.lgs. n. 252/2005, degli eredi quali soggetti legittimati a riscattare la posizione dell'iscritto, in mancanza di designati, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, atteso che tale norma concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte dell'iscritto, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi”.
A tali indicazioni si sono sostanzialmente uniformati i fondi pensione in tutte le situazioni di esercizio del riscatto esercitato, ex art. 14 cit., dagli eredi dell'iscritto deceduto.
Tale prospettazione è però ora sconfessata dalla menzionata ordinanza della Corte di cassazione (n. 19751, cit.), nella quale, fra l'altro, viene evidenziato come “non possono essere considerate cogenti le indicazioni fornite dal presidente dell'autorità di vigilanza (Covip) riportate dal ricorrente Fondo a sostegno del proprio assunto”, trattandosi di interpretazione della materia, che sebbene autorevole, non condiziona lo “ius dicere”. Gli argomenti alla base della decisione della Corte di cassazione
Con la decisione in commento la Cassazione conferma il pronunciamento del giudice di merito ritenendo che, nella fattispecie, il termine “eredi”, quale criterio per la individuazione dei titolari del diritto di riscatto, va inteso con riguardo a coloro che, chiamati all'eredità, hanno acquisito la qualità di eredi per averla accettata.
Risulta quindi rigettata la prospettazione del Fondo, controparte nel giudizio di opposizione, il quale, secondo quanto risulta dalla motivazione del pronunciamento, riallacciandosi agli orientamenti Covip, aveva contestato l'applicazione delle norme proprie della successione ereditaria a diritti che non si sono trasferiti “iure haereditatis” (e non potevano esserlo in quanto non rientranti nel patrimonio del de cuius al momento dell'apertura della successione) (4).
Eredi ai sensi dell'art. 14 d.lgs. n. 252/2005 e eredi nel caso di assicurazione a favore di terzi (art. 1920 c.c.). Va evidenziato che, nel confermare la decisione di merito, il Giudice di legittimità effettua un parallelo con la situazione, confrontabile (anche se, ad avviso del Giudice stesso, non assimilabile), del contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo di cui all'art. 1920 c.c. in riferimento al quale giurisprudenza costante ritiene che “la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto” (il richiamo è a Cass. n. 26606 del 2016 e alle altre sentenze ivi richiamate).
Al riguardo, Cassazione n. 19571 osserva che, alla fattispecie sottoposta al suo esame, “non è pedissequamente estensibile il principio di diritto in tema di assicurazione in favore di un terzo (art. 1920 c.c.), in quanto la fonte del diritto riconosciuto iure proprio è nella legge (appunto art. 14, comma 3, cit.) e non in un contratto di assicurazione di cui devono essere interpretate le clausole relative all'ipotesi di morte dell'assicurato ove individuino i terzi beneficiari del contratto mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari”.
Come dire che, mentre in sede di interpretazione della volontà negoziale si può coerentemente ritenere che le parti abbiano adoperato il termine eredi in un significato ampio e generale (quale mero parametro per richiamare una categoria di soggetti a prescindere dalle successive implicazione ai sensi della disciplina del Libro II del codice civile), non altrettanto può ritenersi quando è il legislatore a utilizzare tale locuzione: ciò, evidentemente, sul presupposto (implicito) che il legislatore quando utilizza un termine avente pregnanza giuridica lo utilizza nella sua accezione più puntuale.
In definitiva, ad avviso della Corte, ai sensi dell'art. 14, comma 3, cit. “per eredi deve intendersi coloro che, chiamati all'eredità l'abbiano accettata. Con la conseguenza che, in caso di più chiamati, il diritto di riscatto non va ripartito in parti uguali per ciascun chiamato, ma solo tra coloro che, con l'accettazione dell'eredità, sono diventati eredi ed in parti uguali non essendo applicabili le norme relative alla successione ereditaria. Che la norma intenda riferirsi a coloro che hanno acquistato la qualifica di eredi è dimostrato dalla previsione in essa contenuta secondo cui solo nell'ipotesi in cui l'aderente non abbia indicato dei beneficiari e non vi siano eredi è prevista la devoluzione dell'intera posizione individuale maturata – e non di una parte – a finalità sociali”. Al fine di svolgere talune riflessioni sulla questione, può essere utile anzitutto rammentare che, nel d.lgs. n. 124 del 1993 (a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 47 del2000), antesignano del d.lgs. n. 205 cit., la fattispecie del riscatto della posizione dell'iscritto deceduto era disciplinata in maniera differenziata a seconda si trattasse di fondi pensione collettivi e fondi pensione individuali: nel primo caso il diritto al riscatto era riconosciuto “al coniuge ovvero ai figli, ovvero, se già viventi a carico dell'iscritto, ai genitori”; nel secondo, tout-court, “agli eredi” (art. 10, commi 3-ter e quater). In entrambe i casi, comunque, era la norma a determinare i titolari del diritto (non assumendo rilievo eventuali indicazioni dell'iscritto).
Il legislatore del 2005, in proposito, segue una impostazione differente (da quella del legislatore del 1993) volta, tendenzialmente, a privilegiare, rispetto a un criterio legale, la volontà effettiva dell'interessato, quindi la designazione dallo stesso effettuata (cioè i diversi soggetti dall'iscritto designati di cui all'art. 14). In mancanza di questa, peraltro, il legislatore, nel proporre un criterio legale, supera la (non giustificata) distinzione, di cui alla normativa del 1993, a seconda del tipo dei fondi e sembra voler ricercare un criterio, per così dire, “di sintesi” fra i due precedenti, che nel contempo tenga nel dovuto conto, anche qui, la volontà (presunta o presumibile) dell'interessato. Dubbi e incertezze applicative: alla ricerca di un criterio unitario
Nella legislazione del 2005 l'utilizzo della locuzione erede, se da una parte intende valorizzare la posizione di coloro che, in linea di massima, sono i congiunti più prossimi (prossimi anche quanto a presunta sfera volitiva dell'iscritto), d'altra parte, intende tener conto della volontà diretta dell'interessato quante volte l'erede sia individuato in testamento.
Se quindi il legislatore incentra e focalizza l'attenzione sulla voluntas reale o presumibile dell'iscritto, può argomentarsi che resta sullo sfondo, priva di reale incidenza nel considerato contesto, la volontà del terzo erede.
In tal modo, si preserverebbe un criterio di attribuzione e regolamentazione unitario (fondato sulla volontà dell'iscritto), rispetto a soluzioni interpretative che, altrimenti, risulterebbero frammentarie e destinate a produrre effetti contraddittori.
Si considerino, al riguardo, per esempio, i diversi effetti fra l'ipotesi in cui l'iscritto designi espressamente il coniuge e i figli ex art. 14, comma 3, cit., o questi stessi (in assenza di designazione) intervengano in quanto eredi legittimi: nel primo caso tali soggetti acquisirebbero la posizione a prescindere da quelli che sono i profili della parallela vicenda ereditaria, mentre nel secondo caso gli indicati soggetti vanterebbero il diritto al riscatto solo nel caso in cui risultino eredi accettanti.
Ancora, nella ricostruzione avvalorata dalla Cassazione, si dà rilevanza alla disciplina di cui al Libro II limitatamente al profilo della accettazione dell'eredità (quindi in un'ottica di valorizzazione della volontà del destinatario dell'attribuzione ereditaria), mentre tutti gli altri profili della materia (quali, fra l'altro, in particolare, i criteri di riparto fra gli eredi) restano esclusi.
Inoltre, si consideri che nel caso di mancata accettazione della eredità da parte di tutti i chiamati alla medesima si verificherebbe la devoluzione della posizione dell'iscritto al fondo pensione (o alle finalità sociale per le forme pensionistiche individuali) con un ampliamento di casistica in cui verrebbe in essere quest'ultima situazione e un'incidenza, sebbene indiretta, su un actus legitimus (qual è l'accettazione di eredità) delle vicende afferenti un emolumento che non viene comunque a comporre l'asse ereditario.
Effetti contraddittori della soluzione volta a dar rilievo alla volontà espressa dagli eredi designati, emergono anche dalla circostanza che la liquidazione della somma effettuata dal fondo pensione può essere messa in discussione ove si accertino vizi, incertezze, dilazioni nella manifestazione della volontà stessa.
Alla luce di quanto sopra – e considerando che la questione potrà anche interessare situazioni pregresse per le quali non siano decorsi i termini di prescrizione – è da auspicare che la materia possa formare oggetto di ulteriori verifiche giudiziali, le quali potranno far emergere altre riflessioni in materia, per una più completa e meditata valutazione dei vari profili di rilievo. Note
(1) Il testo dell'art. 14, comma 3, d.lgs. n. 252/2005 che disciplinava la fattispecie al momento del radicamento della controversia giudiziale in argomento recitava “in caso di morte dell'aderente ad una forma pensionistica complementare prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica l'intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi beneficiari dallo stesso designati, siano essi persone fisiche o giuridiche”. La norma è stata parzialmente modificata con il d.lgs. n. 147/2018 per effetto del quale il riferimento ai “diversi beneficiari designati” è ora sostituito dal richiamo dei “diversi soggetti designati”: tale modifica non incide sulla sostanza delle problematiche oggetto del Focus.
(2) Se l'iscritto, al momento del decesso, ha maturato il diritto al trattamento pensionistico, ma non lo ha ancora esercitato (v. art. 11, comma 2, d.lgs. n. 252 del 2005 “Il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari”), è da ritenersi che gli subentrino, nelle relative prerogative, gli eredi secondo le ordinarie regole del Libro II del codice civile.
(3) In effetti, secondo la ricostruzione accolta da Cassazione, l'iscritto non risulta vantare, sulla posizione maturata, un diritto sino alla maturazione dei requisiti pensionistici (salve le prerogative spettanti al medesimo a titolo di anticipazione e riscatto della posizione, che però sono condizionate al verificarsi di dati presupposti di legge e operano nei limiti indicati).
(4) Diritti che essendo sorti direttamente in capo ai beneficiari, non necessitavano di un'accettazione, rilevando unicamente, ai fini del loro acquisto, che tra il beneficiario ed il de cuius sussistesse il rapporto di chiamato alla eredità, a prescindere dalla effettiva accettazione.
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