Assoluta autonomia fra impugnazione dell'ente e della persona fisica imputata

Ciro Santoriello
13 Aprile 2021

Nell'ambito del procedimento nei confronti delle persone giuridiche, l'art. 587, comma 1, c.p.p., che consente al coimputato non impugnante di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest'ultimo, non attribuisce all'imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per Cassazione, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall'imputato ritualmente appellante...
Massima

Nell'ambito del procedimento nei confronti delle persone giuridiche, l'art. 587, comma 1, c.p.p., che consente al coimputato non impugnante (o che abbia proposto impugnazione inammissibile) di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest'ultimo, non attribuisce all'imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall'imputato ritualmente appellante.

Inoltre, in caso di condanna dell'imputato nel giudizio di appello che non abbia visto anche l'ente farsi appellante, questo non può proporre ricorso per cassazione, giacché l'art. 72 d.lgs. n. 231/2001 permette di estendere all'ente non impugnante gli effetti favorevoli conseguiti dall'impugnazione presentata dall'imputato, ma non gli riconosce un autonomo diritto al ricorso per cassazione, con eversione della catena devolutiva.

Il caso

In sede di merito, tanto in primo che in secondo grado, una società era giudicata responsabile per l'illecito di cui agli artt. 590 c.p. e 25-septies d.lgs. n. 231/2001.

La vicenda riguardava l'infortunio di un dipendente verificatosi durante le operazioni di riparazione di un camion, quando veniva colpito dalla cabina dell'automezzo che era stata sollevata con modalità non conformi a quanto previsto dal manuale operativo del produttore del mezzo.

Al legale rappresentante della società presso cui lavorava l'infortunato era stato ascritto di non aver eseguito la valutazione dei rischi connessi alle operazioni lavorative consistenti nella riparazione della pompa idraulica di sollevamento della cabina dei camion e di non aver emanato disposizioni circa gli obblighi degli operai di attenersi ai manuali operativi delle macchine oggetto di intervento; ed ancora, di aver omesso di vietare l'accesso di terzi all'officina e di aver omesso di somministrare la necessaria formazione all'operaio che utilizzava la pompa di sollevamento. All'altro imputato, soggetto preposto, era stato rimproverato di aver disposto che la riparazione avvenisse con modalità difformi da quanto previsto dal manuale operativo e di aver permesso la presenza del cliente nell'area delle operazioni. Alla società veniva ascritto l'illecito di cui all'art. 25-septies perché dal reato presupposto essa aveva tratto vantaggio, consistito nel risparmio del denaro necessario allo svolgimento dell'attività di formazione e alla esecuzione della valutazione dei rischi.

In sede di ricorso per cassazione, le difese degli imputati avanzavano censure di vario genere, mentre la difesa dell'ente – che attiene alla parte di interesse in questa sede – censurava la circostanza che i giudici di merito avessero rinvenuto nella vicenda un vantaggio per la società, posto che la semplice consultazione del manuale di officina da parte degli operai sarebbe stata sufficiente ad evitare l'evento.

La questione

La disciplina delle impugnazioni nell'ambito del processo avverso gli enti collettivi è contenuta negli artt. 71, 72 e 73, oltre che, giusto quanto dispone il più volte citato art. 34 c.p.p. – alle cui disposizioni deve farsi riferimento per quanto attiene all'individuazione del giudice competente, la definizione delle modalità di presentazione ed il contenuto dell'atto di impugnazione.

La normativa in commento si apre con una disposizione dedicata alla impugnazione di sentenze che decidano sul merito della imputazione mossa alla persona giuridica; in particolare, l'art. 71, commi 1 e 2, d.lgs. n. 231/2001 concerne l'impugnazione della società dichiarata responsabile per i fatti attribuitigli, prescrivendo che laddove all'ente sia stata comminata una sanzione pecuniaria ovvero la pena della pubblicazione della sentenza e della confisca, la società può proporre impugnazione nei casi e nei modi consentiti all'imputato del reato da cui discenda l'illecito amministrativo contestato. Tale disposizione – che si applica tanto in caso di procedimento cumulativo verso l'ente e verso il singolo imputato che nell'ipotesi di trattazione della sola responsabilità della società - viene valutata criticamente da quanti sostengono che in tal modo i poteri di impugnazione dell'ente potrebbero essere condizionati da scelte processuali di soggetti diversi, ma il problema non pare aver ragione di porsi nella misura in cui l'art. 71 d.lgs. n. 231/2001 opera solo con riferimento a sentenze pronunciate nei confronti dell'ente in esito al giudizio ordinario mentre in caso di ricorso a riti speciali la disciplina per l'impugnazione della decisione è quella contenuta nel codice di procedura penale agli artt. 443 e 448 c.p.p., con la conseguenza che “l'eventuale diverso mezzo di impugnazione ammesso per l'imputato che sia stato giudicato con il rito ordinario non produce effetto sul differente regime connesso ai riti alternativi” (BASSI – D'ARCANGELO, Il sistema della responsabilità da reato dell'enti, Milano 2020, 740); detto altrimenti, la previsione di cui all'art. 71, comma 1,d.lgs. n. 231/2001 in commento deve essere letta, nel caso in cui non vi sia un procedimento unitario in fase di impugnazione, solo come equiparazione fra i mezzi di gravame azionabili dalla persona fisica nei confronti della decisione che la riguarda rispetto ad analoghi strumenti di impugnazione attribuiti all'ente contro la sentenza che, sempre nel rito ordinario, ne abbia accertata la responsabilità.

Laddove invece vi sia condanna a pena interdittiva, all'ente è sempre concesso di proporre appello anche se questo non è ammesso per l'imputato del reato dal quale dipende l'illecito amministrativo, venendo in tal caso meno il principio generale dello stretto collegamento tra imputato ed ente richiamato dal legislatore al fine di evitare difformi soluzioni giudiziarie: la ragione di tale particolare previsione va rinvenuta nell'intento di apprestare maggiori garanzie a favore della persona giuridica in presenza di provvedimenti giudiziari che irrogano sanzioni gravi e rilevanti. Nel caso, infine, di applicazione di sole sanzioni pecuniarie non risulta riconosciuta all'ente la facoltà di proporre appello – analogamente a quanto previsto per la posizione dell'imputato -, ma la decisione, ai sensi dell'art. 568, comma 2, c.p.p., può essere comunque oggetto di ricorso per cassazione.

L'art. 71, comma 3, d.lgs. n. 231/2001, invece, concerne l'impugnazione del Pubblico Ministero, il quale può proporre avverso la decisione in ordine alla responsabilità dell'ente le stesse impugnazioni consentite per il reato da cui dipende l'illecito amministrativo. La norma nulla prevede circa la possibilità per il Pubblico Ministero di impugnare una sola delle due decisioni relative alla colpevolezza del singolo autore dell'illecito ed della società; che tale facoltà sussista allorquando venga riconosciuta la responsabilità penale della persona fisica ed esclusa ogni implicazione dell'ente è pacifico, mentre dubbi possono porsi laddove il pubblico ministero decida di non appellare la sentenza di assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto e ricorra invece contro la decisione che escluda la sussistenza dell'illecito dell'ente.

Ai sensi dell'art. 72 d.lgs. n. 231/2001, le impugnazioni formulate dall'imputato e dall'ente si estendono reciprocamente anche alla parte non proponente, fatta eccezione per quelle fondate su motivi esclusivamente personali (si pensi, ad esempio, all'ammontare della pena, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nei confronti dell'imputato o all'impugnazione dell'ente in cui ci si dolga dell'erronea imputazione del reato).

Affinché operi l'effetto estensivo è comunque necessario che l'altra parte non abbia presentato impugnazione o che la stessa non sia stata dichiarata inammissibile; parimenti non si produrrà alcun effetto estensivo nel caso in cui sia stata proposta impugnazione e questa sia stata decisa nel merito con passaggio in giudicato della pronuncia. Si ricorda, inoltre, che l'eventuale effetto estensivo dell'impugnazione proposta da uno dei coimputati non può dar luogo a sospensione dell'esecuzione a carico degli altri coimputati non impugnanti in relazione alla medesima sentenza passata in giudicato: il principio opera anche con riferimento al procedimento de quo laddove l'impugnazione – in caso di processo simultaneo – sia stata proposta dal solo imputato persona fisica e quale che sia la sanzione applicata alla persona giuridica.

La volontà del legislatore di evitare ogni possibile situazione di conflitto tra giudicati trova espressa codificazione nella previsione dell'art. 73 d.lgs. n. 231/2001, il quale, richiamando l'art. 630 c.p.p., prevede la possibilità che venga richiesta la revisione del processo allorché "fatti stabiliti a fondamento della sentenza e del decreto penale di condanna non possano conciliarsi con quelli stabiliti in altra sentenza penale di condanna" (nonostante la norma parli di “sentenza” si ritiene che l'istituto della revisione possa operare anche in caso di pronuncia del decreto penale di condanna. Nel senso che, in sede di processo verso gli enti, l'impugnazione straordinaria sembra essere finalizzata esclusivamente alla risoluzione dei contrasti prodotti dalla coesistenza di sentenze pronunciate nei confronti di soggetti diversi e non solo del medesimo soggetto, diversamente nel codice di procedura penale: GAITO, La procedura per accertare la responsabilità degli enti, in AA.VV., Manuale di procedura penale, Bologna 2008, 674).

Le soluzioni giuridiche

La questione affrontata dalla decisione in commento è, in ragione delle particolarità del caso, complessa e, come vedremo, non risolubile solo considerando il disposto di cui agli artt. 71 ss. d.lgs. n. 231/2001.

In questo caso, il ricorso delle persone fisiche è stato dichiarato inammissibile, essenzialmente perché le censure consistevano nella mera riproposizione dei rilievi già posti in sede di appello e che la Corte di appello aveva considerato replicando con motivazione non manifestamente illogica – e, peraltro, tale inammissibilità del ricorso non ha consentito alla Cassazione di rilevare la estinzione del reato per decorrenza del termine massimo di prescrizione.

Analoga conclusione di inammissibilità è stata riservata al ricorso dell'ente il quale, pur condannato in primo grado, non aveva proposto appello avverso la sentenza, che fu impugnata unicamente dagli imputati. In realtà, in sede di appello, uno degli imputati aveva sollevato anche un motivo che atteneva alla responsabilità dell'ente, contestando che esso avesse ricavato un vantaggio dalla condotta concretante il reato presupposto, ma tale circostanza – secondo la Cassazione – non basta a considerare l'impugnazione come proveniente dalla società e l'aver omesso di impugnare la sentenza di secondo grado preclude all'ente di proporre ricorso per cassazione avverso la medesima: è questo il punto di interesse della decisione, giacché la Cassazione riesamina il tema dell'autonomia processuale della posizione dell'ente rispetto a quella della persona fisica autrice del reato presupposto.

Come accennato, l'autonomia fra i due soggetti secondo i giudici di legittimità è senz'altro in primo luogo di carattere sostanziale ma opera anche sul piano processuale ed in particolare si riflette sul diritto di impugnazione, riconosciuto autonomamente all'uno e all'altra. Ciò rende valevole anche nell'ambito dei procedimenti nei confronti di enti collettivi il principio, più volte formulato in sede di legittimità con riferimento al giudizio nei confronti di persone fisiche, secondo il quale l'art. 587 comma 1,c.p.p., che consente al coimputato [in questo caso la società] non impugnante (o che abbia proposto impugnazione inammissibile) di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato [ovvero la persona fisica], giovandosi della impugnazione di quest'ultimo, non attribuisce all'imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall'imputato ritualmente appellante (con riferimento al processo nei confronti di più imputati persone fisiche, si è sempre affermato che l'effetto estensivo della impugnazione tende semplicemente ad assicurare la par condicio degli imputati che si trovino in situazioni identiche, ma non determina una riammissione nei termini prescritti per la impugnazione: da ultimo, Cass. pen., sez. II, 19 gennaio 2006, n. 2349).

Secondo la Cassazione, le conclusioni devono essere le medesime alla luce delle previsioni degli artt. 71 e 72 d.lgs. n. 231/2001. A mente dell'art. 71, come detto sopra, contro la sentenza che applica sanzioni amministrative diverse da quelle interdittive l'ente può proporre impugnazione nei casi e nei modi stabiliti per l'imputato del reato dal quale dipende l'illecito amministrativo, mentre contro la sentenza che applica una o più sanzioni interdittive, l'ente può sempre proporre appello anche se questo non è ammesso per l'imputato del reato dal quale dipende l'illecito amministrativo; questa disposizione evidenzia l'autonomo diritto dell'ente ad impugnare la sentenza che gli applica sanzioni. L'art. 72 d.lgs. n. 231/2001, dal canto suo, dispone che le impugnazioni proposte dall'imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo e dall'ente, giovano, rispettivamente, all'ente e all'imputato, purché non fondate su motivi esclusivamente personali: si tratta di una disposizione analoga a quella recata dall'art. 587 c.p.p. e che sostiene il principio secondo il quale, in caso di condanna dell'imputato nel giudizio di appello che non abbia visto anche l'ente farsi appellante, questo non può proporre ricorso per Cassazione, giacché l'art. 72 d.lgs. n. 231/2001 permette di estendere all'ente non impugnante gli effetti favorevoli conseguiti dall'impugnazione presentata dall'imputato, ma non gli riconosce un autonomo diritto al ricorso per cassazione, con eversione della catena devolutiva.

Alla luce di tale dato normativo, la Corte di legittimità evidenzia come già la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare la mancanza di interesse della persona fisica a proporre motivi che attenevano unicamente all'ente giacché non investivano la sussistenza e l'attribuibilità alla persona fisica del reato presupposto. D'altronde, “l'imputato persona fisica autore del reato presupposto, anche quando sia rappresentante legale e socio della persona giuridica, non è legittimato, né ha interesse ad impugnare il capo della sentenza relativo all'affermazione di responsabilità amministrativa dell'ente, per effetto della limitazione soggettiva a proporre impugnazione prevista dall'art. 71 d.lgs. n. 231/2001 nonché, contestualmente, del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione” (Cass. pen., sez. V, 22 settembre 2015, n. 50102); in particolare, un più ampio interesse giuridicamente apprezzabile per l'imputato persona fisica nelle ipotesi di sentenza di prescrizione e contestuale dichiarazione di responsabilità dell'ente non può farsi discendere da considerazioni concernenti le conseguenze economiche indirette o riflesse per la sua posizione di socio o di amministratore a seguito dell'irrogazione delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 231/2001.

Va considerato, in effetti, che da un canto l'ente è soggetto distinto dal socio o dall'amministratore, e, quando vanta personalità giuridica, è anche dotato di piena autonomia patrimoniale; dall'altro, le conseguenze indirette derivanti all'imputato persona fisica dall'irrogazione delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 231/2001, in quanto appartenenti ad un ambito patrimoniale o comunque extra-penale, non integrano il fatto costitutivo di un interesse idoneo a determinare una riapertura del tema penale (Cass. pen.,Sez. Un., 27 novembre 2013, n. 40109). Né va trascurato che a ritenere inapplicabile il principio di cui all'art. 587 c.p.p. valevole per il caso di imputato persona fisica autore di un reato dichiarato prescritto con sentenza priva di conseguenze civili, solo perché il fatto è presupposto della responsabilità amministrativa di un ente, si determinerebbe una disparità di trattamento a favore di tale imputato persona fisica, rispetto a quella riconosciuta, sempre in sede penale, all'imputato persona fisica autore di un reato dichiarato prescritto con sentenza implicante conseguenze civili, ma non concernente un reato presupposto, nonostante anche il primo faccia valere interessi di natura patrimoniale e comunque non sia legittimato ad impugnare per conto dell'ente.

Questa impostazione si pone assolutamente n linea con quanto già affermato in altre precedenti occasioni, secondo cui l'art. 71 d.lgs. n. 231/2001, nonché del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, l'unico soggetto legittimato ad impugnare il capo della sentenza relativo all'affermazione di responsabilità amministrativa dell'ente, è solo quest'ultimo, anche quando l'imputato persona fisica autore del reato sia anche rappresentante legale e, insieme, socio della persona giuridica (Cass. pen., sez. V, 22 settembre 2015, n. 50102; Cass. pen., sez. II, 23 maggio 2019, n. 35442).

Tale conclusione non può essere superata richiamando il disposto di cui all'art. 72 d.lgs. n. 231/2001 in tema di estensione delle impugnazioni. Secondo la decisione in esame, infatti, anche nell'ambito del procedimento di cui al d.lgs. n. 231/2001, opera la regola generale in materia di impugnazioni, dettata dall'art. 587 c.p.p., secondo cui l'estensione, all'imputato non impugnante sul punto, degli effetti favorevoli derivanti dall'accoglimento del motivo dedotto dal coimputato opera solo nel caso in cui la decisione favorevole si fondi su argomenti di natura oggettiva, non essendo, invece, prevista l'estensione da un coimputato all'altro di tutti i motivi di impugnazione, con conseguente dovere da parte del giudice di esaminarli, quando gli stessi avevano natura soggettiva (Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 21739; Cass. pen., sez. I, 30 settembre 2014, n. 44319).

In conclusione, le impugnazioni dell'imputato persona fisica e dell'ente sono e restano tra di loro indipendenti e la previsione di cui all'art. 73 d.lgs. n. 231/2001 che prevede l'estensione dell'eventuale risultato positivo dell'impugnazione si giustifica solo alla luce della necessità di evitare giudicati contrastanti che potrebbero imporre la revisione della sentenza dichiarativa di responsabilità nei confronti dell'ente. In ogni caso, comunque, appare “eccentrico, da un punto di vista del sistema normativo, ipotizzare che il legislatore abbia prefigurato l'ammissibilità degli esiti dell'impugnazione proposta da un soggetto in funzione dell'interesse di un distinto soggetto, dotato di propri ed autonomi poteri di impugnazione. Resta quindi confermato che nel caso di specie l'ente ricorrente, non avendo proposto appello avverso la sentenza di condanna, non può giovarsi a tal fine dell'impugnazione proposta dall'imputato, poiché effetti estensivi si sarebbero prodotti solo nel caso di accoglimento dell'appello e sul piano della comunicazione degli esiti della pronuncia, non già su quello del recupero della impugnabilità di una pronuncia ormai esitata nel giudicato, essendo stati definiti tutti i punti della re iudicanda”.

Osservazioni

La complessa argomentazione della decisione in commento può sintetizzarsi nel senso che in caso di condanna dell'imputato nel giudizio di appello che non abbia visto anche l'ente farsi appellante, questo non può proporre ricorso per Cassazione, giacché l'art. 72 d.lgs. n. 231/2001 permette di estendere all'ente non impugnante gli effetti favorevoli conseguiti dall'impugnazione presentata dall'imputato, ma non gli riconosce un autonomo diritto al ricorso per Cassazione, con “eversione della catena devolutiva”- come si esprime la Cassazione.

Come detto sopra, questa conclusione si fonda su una valorizzazione della (sia pur parziale) autonomia della posizione processuale dell'ente rispetto a quella della persona fisica responsabile del reato presupposto. Questo argomento è stato affrontato già in una precedente pronuncia (Cass. pen., sez. VI, 22 giugno 2017, n. 41768) allorquando la Cassazione, interrogandosi intorno alla identificabilità di un interesse ad impugnare dell'imputato nei confronti del quale è stato dichiarato non doversi procedere per estinzione di un reato presupposto della responsabilità dell'ente e nei confronti del quale non siano state emesse statuizioni civili, affermò che "la regola della prevalenza del rilievo della causa estintiva del reato su quello concernente un vizio di motivazione o una nullità, salvo che non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, resta ferma nei confronti degli imputati persone fisiche anche per le ipotesi in cui i reati dichiarati estinti per prescrizione costituiscano il presupposto della responsabilità amministrativa di un ente a norma del d.lgs. n. 231/2001, almeno quando a carico di detti imputati non vi siano statuizioni civili". Nell'argomentare questa conclusione, si sostenne che "la disciplina in materia di impugnazioni di cui al d.lgs. n. 231/2001 non mira a creare assoluta identità di posizioni tra imputato persona fisica ed ente, bensì, come rileva la Relazione ministeriale, ad «evitare, fin dove possibile, l'insorgere di un possibile contrasto di giudicati tra l'accertamento penale e quello relativo all'illecito amministrativo dipendente dal medesimo reato», nonché a garantire alla persona giuridica «la più ampia possibilità di impugnare pronunce applicative delle sanzioni interdittive»”.

A tali considerazioni si è evidentemente richiamata in questa occasione la Suprema Corte, laddove ha evidenziato come l'autonomia giuridica fra le posizioni della società e dell'imputato persona fisica non possa venir messa nel nulla nemmeno facendo riferimento alle conseguenze economiche – peraltro solo eventuali – che in capo alla seconda possano derivare da una condanna dell'ente collettivo.

Guida all'approfondimento

GENNAI – TRAVERSI, La responsabilità degli enti, Milano 2000, 306;

TRAVERSI, Commento all'art. 72, in AA.VV., a cura di LEVIS – PERINI, La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Bologna 2014, 1291;

BASSI – D'ARCANGELO, Il sistema della responsabilità da reato dell'enti, Milano 2020, 740;

GALLUCCI, Le impugnazioni, in Aa.Vv., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI, Padova, 2002 609;

SPANGHER, Le impugnazioni, in Aa.Vv., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI, Padova, 2002, 377;

VARRASO, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano 2012, 416;

BELLUTA, Le impugnazioni, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, 381;

GAITO, La procedura per accertare la responsabilità degli enti, in AA.VV., Manuale di procedura penale, Bologna 2008, 674.

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