Congedo straordinario per assistere il familiare disabile e requisito della convivenza ex post
04 Novembre 2020
Massima
Il Tribunale richiama la decisione con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151/2001 “nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario retribuito ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l'ordine determinato dalla legge”. Il caso
Il lavoratore chiedeva ed otteneva il congedo straordinario retribuito in applicazione dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151/2001 per assistere la propria madre affetta da handicap con connotazione di gravità ex art. 3, comma 3, l. n. 104/1992.
Premesso che nella domanda di congedo straordinario il lavoratore aveva dichiarato di essere figlio convivente, successivamente il datore di lavoro disponeva la conversione del congedo straordinario retribuito a congedo non retribuito disciplinato dall'art. 4, l. n. 53/2000, ritenendo che mancasse il requisito legislativo (del congedo straordinario retribuito) della convivenza tra il lavoratore e la madre in epoca anteriore alla fruizione del congedo medesimo.
In particolare, si evidenziava che il lavoratore fino alla data di inizio del congedo straordinario retribuito, pur essendo formalmente residente allo stesso indirizzo della madre aveva, in realtà, prestato servizio effettivo in altra città, di modo che, attesa la distanza geografica fra le due città, doveva presumersi l'insussistenza – prima della fruizione del congedo straordinario retribuito – di una situazione di coabitazione effettiva tra il lavoratore e la madre.
Ne scaturiva la richiesta rivolta al lavoratore di restituire la somma indebitamente percepita a titolo di indennità per congedo straordinario ex art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151/2001.
Successivamente all'iscrizione a ruolo della causa, interveniva la pronuncia n. 232/2018 con cui la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151/2001 “nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario retribuito ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l'ordine determinato dalla legge”. Le soluzioni giuridiche
Il focus della questione concerne la portata del concetto di convivenza che, come osservato dalla Consulta nella pronuncia n. 232/2018, “non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura”.
Preme rilevare che nell'estendere il congedo straordinario oltre l'originaria cerchia dei genitori, il legislatore aveva attribuito rilievo esclusivo alla preesistente convivenza con il disabile, con la finalità di preservare la continuità di relazioni affettive e di assistenza che scaturisce da una convivenza già in atto.
Sul punto la Corte costituzionale ha evidenziato come tale presupposto possa pregiudicare il disabile quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all'origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare assistenza, poiché in tale circostanza, l'utilizzo del criterio della convivenza preesistente finisce per rendere vana la stessa finalità del congedo straordinario.
Al riguardo la Consulta, rilevando che la convivenza può ristabilirsi in occasione di eventi che richiedono la vicinanza quale presupposto per apprestare la cura al disabile, osserva che “tali situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico”.
Ciò posto, dopo aver affermato che il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per l'identificazione dei beneficiari del congedo, si rivela idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del disabile, la Corte Costituzionale osserva come tale presupposto, non possa, tuttavia, “assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico”.
Si tratta invero di una preclusione che, ponendosi in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost., “sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l'effettività dell'assistenza e dell'integrazione del disabile nell'ambito della famiglia, tutelata dal legislatore mediante una disciplina ispirata a presupposti rigorosi e contraddistinta da obblighi stringenti”.
Ne consegue che il figlio che abbia conseguito il congedo straordinario ha l'obbligo di instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un'assistenza permanente e continuativa (Corte cost., n. 232/2018). Osservazioni
In conclusione, merita osservare come il diritto del disabile di ricevere assistenza, inscindibilmente connesso al diritto alla salute da un lato, ed ai valori della solidarietà familiare, dall'altro, sia finalizzato a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona.
Invero, l'esigenza è quella di salvaguardare “la cura del disabile nell'ambito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene” e così di “tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione” (Corte cost., n. 158/2018).
In proposito mette conto evidenziare che, coerentemente al disegno costituzionale, la Carta sociale europea del 1996, ratificata e resa esecutiva con l. n. 30/1999, garantisce al disabile “l'effettivo esercizio del diritto all'autonomia, all'integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità” (art. 15), mentre la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) tutela “il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità” (art. 26), ed ancora, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità nel preambolo prescrive di assicurare alle famiglie, “nucleo naturale e fondamentale della società”, la protezione e l'assistenza indispensabili per “contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità”. |