Redazione scientifica
16 Aprile 2021

Le Sezioni unite esaminano i rapporti tra le cause di incompatibilità e la sospensione dell'esercizio della professione forense, istituti disciplinati dagli artt. 18 e 20 della l. 247/2012, nonché ulteriori questioni processuali riguardanti il contenzioso disciplinare avvocati.

Nel caso di specie, Il COA di Torino aveva disposto la cancellazione dall'Albo dell'avvocato R.C., in ragione dell'accertata sussistenza della causa di incompatibilità tra l'iscrizione all'Albo e il rapporto di pubblico impiego part-time. La delibera era stata confermata dal C.N.F. e il ricorso proposto dall'avvocato rigettato.

Successivamente, il COA di Torino aveva accolto la domanda dell'avvocato di sospensione volontaria dall'esercizio dell'attività forense. Con delibera dell'8 aprile 2015 lo stesso COA ha, poi, comunicato all'avvocato il preavviso di cancellazione dall'albo per la mancanza del requisito previsto dall'art. 17, comma 1, della l. 247/2012 e, con provvedimento del 12 ottobre 2016, ha ordinato la cancellazione del ricorrente dall'Albo.

Il ricorso proposto nei confronti del predetto provvedimento veniva rigettato con sentenza dal C.N.F, avverso la quale l'avvocato proponeva ricorso per Cassazione.

In particolare, il ricorrente denunciava violazione di legge e/o eccesso e/o sviamento di potere: falsa o errata applicazione dell'art. 18 l. 247/2012 al caso particolare di iscrizione all'Albo senza esercizio della professione forense per sospensione temporanea volontaria ex art. 20, comma 2, l. 247/2012 (primo motivo) e violazione di legge (art. 3 Cost.) per mancata applicazione, in via di interpretazione analogica costituzionalmente orientata, dell'art. 20 comma 1 della l. 247/2012 ai dipendenti pubblici part – time attualmente iscritti all'albo (secondo motivo).

L'infondatezza dei motivi di ricorso

La Corte esamina congiuntamente il primo e il secondo motivo di ricorso, avuto riguardo alla loro stretta connessione, ritenendoli entrambi infondati.

Si evidenzia che: l'art. 17, comma 1, lett. e), della l. 247/2012 indica, tra i requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo, l'insussistenza «di una delle condizioni di incompatibilità di cui all'art. 18» disposizione, questa, che al comma 1 lett. d), prevede in modo espresso ed inequivoco che la professione di avvocato è incompatibile «con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato»; l'art. 20 comma 2 della medesima legge prevede che «l'avvocato iscritto albo può sempre chiedere la sospensione dall'esercizio della professione forense». Secondo i Giudici, dunque, è' chiaro «che la predetta disposizione incide sull'attività del professionista iscritto all'Albo, il quale, si priva volontariamente della possibilità di esercitare la professione forense», così come è altrettanto innegabile che «la disposizione non contiene alcun elemento letterale che consenta di ritenere che al professionista, che abbia deciso volontariamente di sospendere l'esercizio professionale, non si applichino le disposizioni che disciplinino la sua iscrizione all'Albo professionale e che la sospensione volontaria eviti la cancellazione dall'Albo ove i requisiti previsti dalla medesima legge più non sussistano ovvero siano in origine mancanti». Del resto, il dato letterale contenuto nell'art. 20 comma 2, che fa riferimento all'Avvocato, e la sua ratio, che è quella di consentire al professionista iscritto all'Albo di scegliere di sospendere temporaneamente l'esercizio dell'attività professionale, e la lettura sistematica della norma con le disposizioni, contenute negli artt. 17 e 18 della stessa legge, che regolano l'iscrizione all'albo professionale, attestano in modo chiaro ed inequivoco che l'istituto della sospensione opera soltanto sul piano dell'esercizio dell'attività professionale, che può, come detto, a scelta dell'interessato, essere sospesa temporaneamente, e, ad un tempo escludono che la sospensione volontaria possa incidere sulle cause di incompatibilità previste dall'art. 17, comma 1, lett. e), e dall'art. 18, comma 1, lett. d).

Da ultimo, i Giudici colgono l'occasione per esamina le argomentazioni difensive che prospettano il contrasto dell'art. 20, comma 2, della l. 247/2012 con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Cost., facendo leva sulla supposta irragionevole diversità di trattamento tra l'avvocato che, chiamato a svolgere una delle funzioni previste dal comma 1 dell'art. 20, è sospeso di diritto dall'esercizio professionale durante il periodo della carica (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati..) e l'avvocato che, come il ricorrente, non ricopra nessuna di dette cariche ma scelga volontariamente di sospendere l'esercizio dell'attività professionale. Ebbene, le predette censure sono manifestamente infondate, atteso che «la disposizione contenuta nel comma 1 del citato art. 20, mira a rafforzare, attraverso l'obbligatoria imposizione della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale, l'autonomia, l'indipendenza, la terzietà e la lealtà dell'avvocato iscritto all'Albo nell'assolvimento delle funzioni correlate ai ruoli propri delle figure istituzionali indicate. Essa regola, quindi, fattispecie del tutto incomparabili con quella disciplinata dal comma 2 relativa all'avvocato che, avendo i requisiti per l'iscrizione all'Albo, decida volontariamente di sospendere l'esercizio della sua attività professionale.

La disamina delle ulteriori argomentazioni difensive incentrate sull'incompatibilità con la Costituzione

De pari infondate sono le argomentazioni difensive esposte nella memoria depositata dal ricorrente, il quale pone la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 del d.lgs. 382/1944 per violazione degli artt. 3 e 111 della Cost. nella parte in cui «al fine di garantire, quanto meno nelle specifiche materie dell'accesso e dell'espulsione dall'esercizio della professione, l'imparzialità del giudice, non prevede che la composizione del C.N.F., in funzione di giudicante, sia integrata da membri non appartenenti alla categoria dell'Avvocatura». Secondo i giudici le argomentazioni difensive «non apportano elementi di novità rispetto alle analoghe questioni già affrontate dalle SS.UU. (sent. n. 9097/2005 e successive conformi n. 11833/2013; n. 777/2014)», dovendosi ribadire che «Il Consiglio Nazionale Forense, allorchè pronuncia in materia disciplinare, è un giudice speciale istituito con d.lgs. 382/1944 e tuttora legittimamente operante giusta la previsione della sesta disposizione transitoria della Costituzione; le norme che lo concernono, nel disciplinare, rispettivamente, la nomina dei componenti del Consiglio Nazionale ed il procedimento che davanti al medesimo si svolge, assicurano – per il metodo elettivo della prima e per la prescrizione, quanto al secondo, dell'osservanza delle comuni regole processuali e dell'intervento del P.M. – il corretto esercizio della funzione giurisdizionale affidata al suddetto organo in tale materia, con riguardo alla garanzia del diritto di difesa, all'indipendenza del giudice ed all'imparzialità dei giudizi».

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.