Mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo

Roberto Masoni
16 Aprile 2021

Il tema viene esaminato alla luce dei più recenti interventi giurisprudenziali ed, in particolare, della pronuncia delle Sezioni Unite del 2020 che ha individuato come onerato all'introduzione del procedimento di mediazione, in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte opposta.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Il comma 4 dell'art. 5, d.lgs. 28/2010 individua le esclusioni dalla mediazione in riferimento alla natura speciale di taluni procedimenti regolati dal IV libro della procedura, alcuni dei quali dotati di una struttura tendenzialmente bifasica.

Anzitutto, l'esclusione (dalla procedura compositiva) riguarda la fase sommaria del procedimento monitorio e di quello per convalida di licenza o di sfratto.

L'esclusione dalla procedura conciliativa non è priva di giustificazione. In materia di lavoro, la Corte costituzionale (C. Cost., 13 luglio 2000, n. 276) aveva escluso l'applicabilità del tentativo di conciliazione (colà previsto) al procedimento monitorio.

Per entrambi i procedimenti speciali (monitorio e per convalida di sfratto), la Relazione Illustrativa ha precisato che l'esclusione si giustifica «per il fatto che in essi ci troviamo di fronte a forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva». Conclude la Relazione sul punto evidenziando che: «la mediazione può trovare spazio all'esito della fase sommaria, quando le esigenze di celerità sono cessate».

L'affermazione è coerente col dettato normativo con riguardo alla struttura del procedimento per convalida di sfratto e, seppur in misura minore, con quella del procedimento monitorio.

Il procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione a decreto ingiuntivo ed i procedimenti possessori, accomunati da una struttura processuale (eventualmente) bifasica, sono parzialmente esentati dalla mediazione.

È congruente al significato complessivo della disciplina normativa dettata in materia, in funzione deflativa rispetto al giudizio, escludere il previo esperimento della mediazione finalizzata alla conciliazione per quei procedimenti (tra cui il procedimento per convalida di licenza o di sfratto ex artt. 657 e ss. c.p.c., come pure quello monitorio ex artt. 633 e segg. c.p.c.) che potrebbero concludersi senza insorgenza di contrasto alcuno tra le parti, in modo quasi consensuale. Ciò è agevolmente verificabile nel procedimento per convalida di sfratto, il quale può terminare con pronunzia di ordinanza di convalida, laddove il convenuto non compaia in udienza o comparendo non si opponga (art. 663 c.p.c.), come pure nel procedimento per decreto ingiuntivo, laddove il monito non venga opposto, passando in giudicato.

Gli istituti menzionati nel comma 4 dell'art. 5 del d.lgs. 28/2010 possono rimanere «procedimenti» senza trasformarsi in processi e senza insorgenza di «controversia» ai sensi dell'art. 2 del decreto stesso. Laddove il mutamento di rito si verifichi, invece, in funzione deflattiva del contenzioso, appare giustificata la previsione dell'obbligatoria introduzione della procedura compositiva.

Identica considerazione va ripetuta con riferimento al procedimento monitorio. Laddove il decreto ingiuntivo non venga accettato dal debitore e venga opposto, il procedimento non si conclude, ma si trasforma in processo a cognizione piena con intervento (ed impegno) della giurisdizione.

Opposizione a decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo può essere opposto dal debitore, con inversione dell'iniziativa processuale delle parti.

L'opposizione impedisce la celere formazione del titolo esecutivo, determinando, per converso, l'apertura di un processo ordinario di cognizione avente ad oggetto l'accertamento del rapporto creditorio.

Con riferimento alla mediazione, dispone l'art. 5, comma 4, lett. a), del d.lgs. 28 che: la mediazione non è necessaria «nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione». Soluzione opposta, invece, è stata seguita in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo nelle materie nelle quali sussiste l'obbligo di tentare la negoziazione assistita (art. 3, comma 3, d.l. 132/2014: «la disposizione di cui al comma 1 non si applica nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione»).

Questo significa che, risoltasi senza esito la fase sommaria volta alla formazione del titolo esecutivo, e, dovendo proseguire il processo ad iniziativa del debitore che ritiene di avere argomenti da spendere avverso il monito, in linea teorica, diviene necessario l'esperimento della procedura di componimento.

L'accesso alla procedura alternativa è ammissibile in presenza di duplice espressa limitazione che è segnata dall'ambito applicativo (oggetto), oltre che dalla natura del credito dedotto in monitorio, che deve essere liquido (condizione dell'azione speciale).

Anzitutto, l'ambito applicativo delle controversie suscettibili di mediazione è determinato dall'elencazione tassativa delle materie di cui al comma 1-bis dell'art. 5.

Sono poi in concreto ipotizzabili esclusivamente procedimenti compositivi susseguenti a decreti ingiuntivi pronunziati nelle materie per le quali sia stato dedotto un credito certo, liquido ed esigibile (art. 633 c.p.c.).

Si può, ad es., ipotizzare un decreto ingiuntivo pronunziato per omesso pagamento di oneri condominiali, ovvero, per mancato versamento del canone locatizio, ovvero, per quanto dovuto per affitto dell'azienda. Non scontano invece la procedura di mediazione la pretesa creditoria dell'appaltatore nei confronti del committente, del professionista, o del prestatore d'opera verso il cliente, o, ancora, quella del venditore nei confronti del compratore per pagamento del prezzo di vendita.

Neppure la mediazione entra in gioco laddove il credito agito non sia liquido, com'è il credito risarcitorio per danni susseguenti a sinistro stradale o per responsabilità medica, ovvero, derivante da diffamazione a mezzo di stampa.

Una volta individuate le materie per le quali la mediazione è obbligatoria a fronte di monito, va chiarito in quale fase processuale il tentativo stragiudiziale di componimento si collochi.

Diversamente dall'opposizione alla convalida di sfratto, per l'opposizione a decreto ingiuntivo l'instaurazione della procedura di risoluzione alternativa della controversia è obbligatoria in seguito a pronunzia «sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione», espressamente escludendo che tale tentativo sia esperibile antecedentemente il dispiegarsi dell'opposizione.

Ciò significa che il procedimento va esperito in corso di processo, endoprocessualmente, pronunziati i provvedimenti interinali di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. ed a condizione che tale richiesta sia stata avanzata dalle parti e su di essa il giudice abbia provveduto.

La scelta di tecnica legislativa di posticipare la mediazione (quantomeno) successivamente alla prima udienza di trattazione del processo di opposizione a decreto ingiuntivo nel corso della quale è ipotizzabile che il giudice abbia deciso sulle istanze preliminari, appare comprensibile (per quanto non sia l'unica ipotizzabile). L'affermazione si giustifica se solo si considera la struttura biascia del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo caratterizzato dalla perentorietà del termine (di quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo; art. 641 c.p.c.) di opposizione. La struttura del giudizio oppositorio avrebbe, altrimenti, reso problematico l'esperimento del tentativo compositivo.

Se la scelta tecnica compiuta dal legislatore appare plausibile, la stessa però ne dimostra la sostanziale inadeguatezza, dato che il legislatore non ha, evidentemente, mostrato di credere alle virtù conciliative della mediazione. In tal caso, infatti, la procedura di componimento va introdotta a processo pendente, quando l'esito della lite appare già orientato per effetto della pronunzia interinale provvisoria assunta dal giudice sulla provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo (o sulla sospensione di essa). Con essa il giudice (in modo embrionale e provvisorio) ha espresso il suo convincimento, seppur in un provvedimento reso allo stato degli atti, con riguardo all'esito della controversia, in tal modo orientandone lo sviluppo successivo.

Individuazione dell'onerato all'instaurazione della procedura compositiva

Una questione assai pregna di effetti pratici, oltre che di assai concreta rilevanza pratica, da tempo agita la materia.

Ci riferiamo alla corretta individuazione del soggetto onerato dell'instaurazione del procedimento di mediazione, a fronte dell'introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ed alla conseguente pronunzia dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c.

La questione, alimentata dalla scarsa chiarezza del dato positivo, ha determinato l'insorgenza di un contrasto interpretativo. La giurisprudenza di merito (e con essa gli studiosi) ha evidenziato un palese conflitto interpretativo.

Un primo orientamento (primo anche in ordine cronologico) ha affermato che l'onere di instaurazione della procedura compositiva faccia carico al creditore opposto, attore in senso sostanziale (non sul debitore), ovvero colui che «intende esercitare in giudizio un'azione», a norma dell'art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010 (Trib. Varese 18 maggio 2012, in Giur. it., 2012, 2620, con nota di Tedoldi). Laddove non venga instaurata la procedura compositiva, il giudizio dovrebbe chiudersi con una pronunzia in rito e, in particolare, con sentenza che, dichiarando l'improcedibilità della domanda monitoria, revochi il decreto ingiuntivo, condannando la parte opposta al rimborso delle spese processuali.

Viceversa, secondo un'opposta, maggioritaria, impostazione dogmatica, l'onere di instaurazione della mediazione graverebbe sulla parte opponente ed il mancato esperimento della procedura determinerebbe la pronunzia di improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo, con susseguente passaggio in cosa giudicata dello stesso.

In tal caso, la domanda che diviene improcedibile ex art. 5, comma 1 bis, d.lgs. 28 sarebbe quella formulata con l'atto di citazione in opposizione (Trib. Rimini 14 luglio 2014, in www.mondoadr; Trib. Nola, 24 febbraio 2015, in DeG, 2015), non già quella monitoria; in forza del considerazione secondo cui la condizione di procedibilità opera unicamente nella fase di opposizione (Trib. Firenze, 30 ottobre 2014).

Struttura del giudizio oppositorio

La difficoltà incontrate dagli interpreti di fornire risposta univoca alla questio iuris appare conseguenziale alla disagevole opera di coordinamento interpretativo che la nuova normativa pone; ovvero tra principi generali del processo di opposizione a decreto ingiuntivo ed il contemporaneo silenzio normativo emergente dalla disciplina delegata sul procedimento di componimento stragiudiziale.

Dal primo punto di vista, la tecnica utilizzata dal codice di rito civile per l'introduzione del processo di opposizione a decreto ingiuntivo è imperniata sull'inversione dell'onere dell'iniziativa processuale, che si concreta nell'introduzione di un processo ordinario di cognizione ad iniziativa del debitore. In esso restano immutate le posizioni delle parti, sotto il profilo sostanziale, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l'opponente quella di convenuto, anche sotto il profilo probatorio (Cass. civ., 27 gennaio 1999, n. 807). Questo rappresenta effetto logico della constatazione secondo cui il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo verte sull'esistenza e sull'accertamento del credito fatto valere monitoriamente, ovvero, più propriamente, sulla sussistenza del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio. Dato che l'opposizione, come si insegna tralaticiamente, non consiste in un'impugnazione del decreto pronunciato dal giudice (Cass. civ., 22 febbraio 2002, n. 2573).

Ancora, è stato osservato come il meccanismo introduttivo di questa tipologia processuale rispecchi il meccanismo introduttivo di un'impugnazione. L'opponente, se vuole evitare la decadenza ed il passaggio in giudicato del monito, è tenuto a rispettare il termine perentorio di opposizione fissato in quaranta giorni, con l'ulteriore onere di costituirsi in giudizio tempestivamente (art. 647 c.p.c.). Su di lui grava pure l'onere di dare impulso al processo, pena altrimenti la sua conclusione anticipata, mercè pronuncia di estinzione con passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto (art. 653 c.p.c.).

In sostanza, in forza dei principi processuali, l'onere di coltivare il giudizio oppositorio grava sull'opponente.

Il soggetto interessato a che il giudizio oppositorio si concluda con pronunzia di merito sul rapporto obbligatorio dedotto in giudizio non è il creditore opposto, che resta salvaguardato dal monito conseguito (eventualmente dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice ex art. 642 o ex art. 648 c.p.c.), ma la parte opponente. Quest'ultima ha interesse ad evitare di subire una pronunzia di improcedibilità per effetto del mancato esperimento della mediazione; pronunzia che risulta assimilabile a quella di estinzione del processo, a norma dell'art. 653 c.p.c. Entrambe sono pronunzie in rito che concludono ante tempus il giudizio senza accertamento di merito.

La soluzione offerta da Cass. 24629/2015

Il contrasto riguardante l'individuazione dell'onerato all'introduzione del procedimento di mediazione aveva trovato soluzione a livello nomofilattico grazie ad una pronunzia che aveva affermato il seguente principio di diritto: «l'onere di esperire il tentativo di mediazione di cui all'art. 5 d.lgs. 28/2010 grava sulla parte che ha interesse al processo e ad introdurre il giudizio di merito, parte che, in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, è individuabile nell'opponente» (Cass. civ., 3 dicembre 2015, n. 24629, in Giustizia civile. com, 2015,con nota adesiva di MASONI; in Guida dir., 2016, 3, 14, con nota di MARINARO; in Foro it., 2016, I, 1319, con nota contraria di BRUNIALTI; con nota di DALFINO; in Giusto proc. civ., 2016, 2016, 111, con nota adesiva di TRISORIO LIUZZI; in Riv. dir. proc., 2016, 1283, con nota contraria di BALENA).

La Corte aveva ritenuto di onerare l'opponente dell'instaurazione del procedimento di mediazione.

L'interpretazione cui la nomofilachia era pervenuta traeva fondamento nella ratio legis sottesa al d.lgs. 28/2010, di trasparente significato deflattivo, e da intendere alla luce del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.). Cosicchè la stessa affermava che l'onere di esperire il tentativo di obbligatorio componimento di cui all'art. 5 d.lgs. 28/2010 andava «allocato presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziarlo»; è infatti l'opponente ad avere «il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè (a percorrere) la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore».

Mentre l'attore-opposto, avendo perseguito la strada del procedimento monitorio (artt. 633 e ss. c.p.c.), ha «scelto la linea deflattiva, coerente con la logica dell'efficienza processuale e della ragionevole durata del processo», ovvero, la «via più breve», come precisava la pronunzia.

La soluzione prescelta dalla nomofilachia, di far gravare sul debitore opponente l'onere di attivazione della procedura di a.d.r., si coordinava con i principi emergenti dal rito monitorio, dalla disciplina processuale dettata in tema di estinzione del giudizio di opposizione, oltre che con la finalità deflattiva assegnata dal legislatore delegato all'istituto della mediazione delle controversie civili e commerciali.

L'intervento delle Sezioni Unite

La pronunzia nomofilattica del 2015 richiamata in precedenza, che aveva onerato parte opponente di introdurre il procedimento di mediazione, non ha completamente convinto gli interpreti, dissipando l'incertezza.

Dato che parte della dottrina e della giurisprudenza non aveva condiviso gli esiti cui era pervenuto l'approdo.

Indizio significativo di questa situazione, non del tutto stabilizzata, si percepisce nell'ordinanza di remissione al Primo Presidente per l'esame delle Sezioni Unite della «questione di massima di particolare importanza» concernente, appunto, l'individuazione del soggetto onerato alla mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. civ., 12 luglio 2019, n. 18741, in DeG, con nota di SUMMA).

Ebbene, il rovello è stato di recente risolto dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596, in Guida dir., 2020, 41, 119; Giust. Civ., 2021, con nota di ESPOSITO; in Il Processo civile, con nota di CAPUTO), che hanno ritenuto di non potere confermare l'arresto del 2015.

La Corte afferma claris verbis il seguente, antitetico, principio di diritto: «nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo».

La pronunzia afferma che una triplice serie di argomenti corroborerebbero l'assunto; di natura testuale, sistematica e costituzionale.

Dal primo punto di vista, la nomofilachia richiama taluni dati testuali. In particolare, l'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010, che onera della mediazione «chi intende esercitare in giudizio un'azione», soggetto che la Corte individua senza esitazione nell'attore c.d. sostanziale; poi, il comma 6 della medesima norma, che dispone: «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale», come pure determina un effetto impeditivo alla decadenza. Secondo la Corte, tali effetti si collegherebbero ad un'iniziativa assunta dal creditore.

Ancora, si richiama l'art. 4, comma 2, del d.lgs. cit., che individua il contenuto dell'istanza di mediazione («l'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto, le ragioni della pretesa»).

Nel pensiero nomofilattico, le tre norme in oggetto avrebbero un significato univoco nel senso di onerare il creditore opposto di introdurre il procedimento compositivo.

La Corte richiama, ancora, l'argomento sistematico, e pure quello costituzionale, ed in particolare i principi dettati in materia di c.d. giurisdizione condizionata (enunciati da Corte cost. 18 aprile 2014, n. 98). Secondo quest'ultimo arresto, l'accesso alla giurisdizione che sia condizionato al previo adempimento di taluni oneri è illegittimo laddove l'esperimento di rimedi amministrativi si ricolleghi alla decadenza dall'azione giudiziaria.

Infine, le Sezioni Unite ritengono che la finalità deflattiva della mediazione, volta a garantire la ragionevole durata del processo (art. 111, 2 comma, Cost.), non possa andare a discapito della garanzia del diritto di difesa (art. 24 Cost.), che «ultima deve prevalere».

Rilievi critici

La soluzione interpretativa raggiunta dalla pronunzia non va esente da rilievi critici.

Si rifletta sul fatto che chi interrompe la quiete giuridica, introduce il contenzioso, instaurando il processo è la parte che si oppone al decreto ingiuntivo. E' costui che inaugura quel contenzioso che la mediazione, introdotta nel 2010 per la «composizione di una controversia» (come testualmente si esprime l'art. 1, lett. a), d.lgs. 28, in ottica deflattiva), deve cercare di spegnere ed abbattere, appunto mediante la tecnica della conciliazione.

Si consideri, inoltre, che la soluzione ermeneutica cui è pervenuta la pronunzia delle Sezioni Unite incide su un orientamento (se non ancora consolidato), tuttavia ormai «sedimentato» nella prassi giudiziaria, a seguito di Cass. civ., n. 24629/15 (a cui era seguita, in modo conforme, Cass. civ., 16 settembre 2019, n. 23003, in Foro it., 2019, I, 3515). Nell'ultimo lustro, in seguito a tali pronunzie, non avevano fatto seguito prese di posizioni nomofilattiche in senso contrario (se si esclude il dubbio da ultimo manifestato da Cass. civ., 18741/19, che ha giustificato la remissione della questione alle Sezioni Unite); cosichè nella prassi si era sedimentata appunto l'interpretazione nomofilattica che, in modo tranquillizzante, riteneva l'opponente la parte onerata alla mediazione, confidando sul dictum di Cass. civ., n. 24629/15 (e di Cass. civ., n. 23003/19).

Ebbene, il mutamento giurisprudenziale innescato dalla pronunzia delle Sezioni Unite rischia ora, di porsi in controtendenza rispetto alla dichiarata finalità del d.lgs. 28 (avente ad oggetto introduzione della «mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», come recita il titolo del d.lgs. 28) e perciò di determinare un effetto inflattivo, moltiplicativo del contenzioso.

Si pensi alla pronunzia di improcedibilità resa prime cure susseguente a mancata attivazione della mediazione da parte dell'opponente il quale non abbia adempiuto alla condizione di procedibilità; pronunzia suscettibile di riforma seconde cure, essendo ora gravata dell'incombente la parte opposta, che non vi aveva in precedenza provveduto, legittimamente confidando sul principio di diritto enunciato da Cass. civ., n. 24629/15 (e da Cass. civ., n. 23003/19).

In questa situazione, parte opposta potrebbe invocare la rimessione in termine ex art. 153, comma 2, c.p.c., in quanto la stessa è incorsa in decadenza per causa a sé non imputabile, in riferimento all'overruling delle Sezioni Unite.

Per quanto, la soluzione possa sembrare logica, la stessa assume connotazione di marcata problematicità, tenuto conto che l'orientamento processuale sul quale parte opposta faceva legittimo affidamento non poteva ritenersi (ancora) «consolidato» («si configura overruling solo quando venga smentito un consolidato orientamento di legittimità, mentre l'istituto non è evocabile rispetto a pronunce dei giudici di merito, non suscettibili di assurgere al rango di diritto vivente»: Cass. civ., 12 febbraio 2019, n. 4135, in Foro it., 2019, I, 1623, nota CAPASSO; Cass. civ., 14 maggio 2012, n. 6801; Cass. civ., 2 luglio 2010, n. 15811, in Deg).

Come emerge da questi rapidi e sommari rilievi, la pronunzia delle Sezioni Unite, se risulta conforme allo stretto diritto, rischia tuttavia di scontrarsi con profili pratici di non secondario momento, che, si pongono in senso antagonista rispetto alla dichiarata finalità deflattiva delle controversie assegnata al procedimento di mediazione dalla legge del 2010.

La decisione potrebbe contribuire a far lievitare (se non esplodere) il contenzioso in materia, oltre ad incidere, in modo forse iniquo, sulla posizione processuale del creditore-opposto.

Riferimenti
  • Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, Torno, 2019, XXVII° ed., III, 43 e 492.
  • Cuomo Ulloa, La nuova mediazione, Bologna 2013;
  • Garbagnati, Il procedimento d'ingiunzione, Milano, 1991;
  • Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, VI° ed.;
  • Masoni, in Giordano, Vaccari, Masoni, Arbitrato deflattivo, negoziazione assistita e mediazione, Milano, 2016, 280 e segg.;
  • Tedoldi, Mediazione obbligatoria e opposizione a decreto ingiuntivo, in Giur. it., 2012, 2623;
  • Valitutti, De Stefano, Il decreto ingiuntivo e l'opposizione, Padova, 2013.
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