Cram down fiscale nel concordato, nell'accordo di ristrutturazione ed in quello del sovraindebitato tra leggi di fine anno e CCI

19 Aprile 2021

Due leggi di fine anno hanno profondamente inciso sul trattamento dei crediti fiscali e previdenziali in caso di procedure concorsuali concordatarie. Si tratta come noto dell'art. 3 D.L. 125/20 e dell'art. 4 D.L. 137/20. Entrambe sono da inquadrarsi in ipotesi di concordato coattivo.
Premessa

Due leggi di fine anno hanno profondamente inciso sul trattamento dei crediti fiscali e previdenziali in caso di procedure concorsuali concordatarie.

Si tratta come noto dell'art. 3 D.L. 125/20 e dell'art.4 D.L. 137/20. Entrambe sono da inquadrarsi in ipotesi di concordato coattivo.

Il nostro ordinamento concorsuale già conosce ipotesi di ristrutturazione “coattiva” del debito, ovvero modalita' di composizione della crisi, alternativa al fallimento (e alla liquidazione del patrimonio) ora, ed alla liquidazione giudiziale (e alla liquidazione controllata) poi, che passano attraverso la obliterazione del voto negativo di un creditore o ne prescindono, come accade nel caso del piano del consumatore (più complesso l'inquadramento delle procedure amministrative, in particolare quella prevista dall'art. 258 TUEL).

La nuova normativa

La nuova normativa è tesa evidentemente ad anticipare il contenuto sul punto del Codice della crisi.

In particolare l'art. 48 CCI che al comma 5 ( cosi' come modificato dal D.lgs. 147/2020, c.d. decreto correttivo), prevede che “il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'articolo 57, comma 1, 60 comma 1, e 109, comma 1, e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”. Disposizione di senso sovrapponibile e' prevista all'art. 80 CCI nell'ambito della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento costituita dal concordato minore.

La norma di cui all'art. 48 sopra citato e' stata adottata, stando alla lettura del breve passo sul punto della Relazione illustrativa, per fare fronte all'atteggiamento spesso di rigidita' immotivata della amministrazione pubblica .

Rigidita' che molto spesso trova la sua motivazione, come rilevato da alcuni autori, nel timore dei funzionari di ripercussioni in tema di responsabilita' erariale (M. Ferro, L. 159/2020: il giudizio di convenienza supplisce nei concordati al mancato voto dell'ente pubblico per debiti tributari e previdenziali, in www.quotidianogiuridico.it, 7 dicembre 2020; M. Monteleone e S. Pacchi, Il nuovo cram down del Tribunale nella transazione fiscale, in ilcaso.it, 9 febbraio 2021).

Tale atteggiamento da un lato pregiudica la stessa amministrazione, giacche' alle volte la proposta puo' essere conveniente per la Pubblica Amministrazione in luogo delle prospettive liquidatorie sia in termini di quantum di soddisfacimento che di tempistica di pagamento; ma dall'altro lato pregiudica lo stesso debitore, impedendogli l'accesso alla procedura, pur se conveniente per il ceto creditorio.

Va infatti considerato che la composizione del debito delle nostre imprese spesso vede l'amministrazione avere la parte preponderante e percio' essere decisiva per la approvazione.

Nata in tale contesto e per tali motivazioni, la norma, attese le sue indubbie ricadute in tema di agevolazione degli strumenti di composizione della crisi in rapporto alla procedura fallimentare, e' stata valorizzata, ed anticipata anche se non letteralmente, dal legislatore in un momento di assoluta ed eccezionale emergenza come quello attuale, idoneo per straordinarieta' a squadernare ogni certezza prima acquisita.

E cosi' la L. 159/2020 ha introdotto il meccanismo in commento modificando la legge fallimentare agli artt. 180, 182 bis e 183 ter. Analogamente ha fatto la l. n.176 con l'art.12 della L. 3/2012.

Con riferimento al concordato preventivo, è stato modificato l'art. 180, comma 4, l. fall., al quale è stata aggiunta la seguente disposizione: “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all'articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”.

Con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, l'art. 182 bis, comma 4, l.fall. è stato integrato con il seguente periodo: “Il tribunale omologa l'accordo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”.

Le nuove norme consentono quindi di omologare un accordo o un piano concordatario pur in assenza di voto positivo della amministrazione (con cio' intendendosi in senso abbreviato la Agenzia delle entrate e gli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie), quando il voto della amministrazione sia decisivo per l'ottenimento della maggioranza necessaria a omologare la proposta, e quando, sulla base anche della attestazione prevista all'art. 161, comma 3, l. fall., sia possibile affermare che la proposta sia piu' conveniente per la stessa amministrazione rispetto alla liquidazione fallimentare.

Quanto all'art. 182 ter si e' previsto che sia credito chirografario, ai fini della applicazione della norma, anche quello declassato a chirografario a causa della incapienza del bene su cui insiste il privilegio ( ovviamente a seguito del meccanismo ex art. 160, comma 2).

La legge di conversione ha poi, opportunamente, fatto "cessare l'applicazione" del D.M. 4 agosto 2019 adottato ai sensi dell'art. 32, comma 6, D.L. 185/2008, che regola la transazione da parte degli enti previdenziali nell'ambito di accordi di ristrutturazione e concordati preventivi, facendo venire meno l'obbligo dell'INPS di rifiutare le transazioni previdenziali in caso di mancato soddisfacimento integrale dei crediti di sua titolarità.

In questo contesto l' Agenzia delle Entrate ha emanato la circolare 34/2020 con cui ha dettato i criteri cui debbono attenersi gli uffici nel redigere il parere alle proposte di accordo o concordatarie, sottolineando la esigenza di una puntuale motivazione del voto espresso, soprattutto nella ipotesi in cui ci si voglia discostare dalle risultanze della relazione dell'attestatore: viene specificato che ci si potra' discostare da tali risultanze solo allorquando si ritengano manifestamente non attendibili ovvero non sostenibili e ciò risulti da una puntuale motivazione, idonea a individuare in maniera analitica i dati ritenuti infondati. Vale la pena di sottolineare che al momento di esprimere il voto il creditore dispone di un ulteriore e fondamentale strumento informativo, costituito dalla relazione del Commissario Giudiziale , che a sua volta avra' scandagliato non solo la proposta ed il piano che la sostiene ma anche la relazione di attestazione del professionista.

Le nuove norme hanno indubbiamente il primo scopo di responsabilizzare la pubblica amministrazione al fine di ottenere delle dichiarazioni di voto sempre piu' informate, motivate e puntuali in riferimento al caso concreto, e non frutto di una aprioristica presa di posizione, come sovente accaduto in passato

Dubbi applicativi e prime interpretazioni

Il primo dubbio applicativo che e' sorto tra i commentatori che si sono cimentati nella lettura delle norme e' quello generato dalle diverse espressioni utilizzate in caso di accordo di ristrutturazione ed in caso di concordato ( “mancata adesione” e “mancanza di voto”), ed in ogni caso dalla loro interpretazione: ci si chiede se il meccanismo della norma operi solo in caso di silenzio della amministrazione o anche in ipotesi di voto espresso, diversificandosi poi all'interno di tale ultima ipotesi quelle del voto espresso immotivato e del voto espresso motivato.

A favore della tesi estensiva si sostiene che essa consentirebbe il coordinamento sistematico con la disciplina del concordato minore di cui all'art. 80 CCI (dove il silenzio vale assenso e pertanto la dizione della norma non puo' che indicare il voto negativo espresso) evitando un trattamento diverso fra procedure concorsuali maggiori e procedure concorsuali tese a porre rimedio al sovraindebitamento ( trattamento impari gia' sanzionato dalla Corte Costituzionale con riferimento alla falcidibilita' dell'IVA; cfr. Corte Cost. sent. 29.11.19, n. 245); che in ogni caso nel concordato la mancata espressione del voto produce il medesimo effetto, ai fini del calcolo della maggioranza, del voto negativo e conduce nel medesimo modo al rigetto della proposta; che in tale modo trova infine tutela giurisdizionale adeguata (G. Andreani e F. Cesare, Il voto espressamente negativo come presupposto del cram down fiscale., ilcaso.it, 2.3.21) il contribuente di fronte alla posizione illegittima dell'Erario.

Sotto quest'ultimo profilo si rammenta che, quanto alla individuazione del giudice competente a conoscere della legittimità del diniego della amministrazione, la questione è giunta ad un approdo finale con la affermazione della competenza esclusiva del giudice tributario (Cass. S.U. 14.12.16 n. 25632). Certamente pero' la via della impugnazione innanzi a un diverso giudice del diniego della amministrazione appare ben difficilmente compatibile con i tempi della procedura di accordo o di concordato e non e' idoneo a evitare la pronuncia di inammissibilita' per mancato raggiungimento della maggioranza.

Chi sostiene la tesi estensiva attribuisce alle nuove norme anche l'effetto positivo di fare rientrare la cognizione circa la legittimita' del diniego della amministrazione nell'alveo del giudice fallimentare, nel contesto della fase della omologa.

L'omologa diviene quindi la sede in cui il giudice fallimentare conosce e valuta anche della correttezza del voto della amministrazione in rapporto alla convenienza della proposta ed al corretto perseguimento dei pubblici interessi.

Non manca chi ha parlato di una valutazione dell'interesse c.d. fiscale in sede suppletiva e giurisdizionale che si sostituisce alla valutazione mancante (in caso di silenzio) o errata (nel caso di voto espresso) della amministrazione (E. De Mita, Con la nuova transazione al centro l'interesse fiscale, in Sole 24ore, 23.2.21).

Per contro a favore della tesi restrittiva si sostiene (L. De Bernardin, Brevi note a prima lettura sull'omologa dei piani di ristrutturazione con trattamento dei crediti tributari e contributivi (o anche: “del cram down del tribunale nella transazione fiscale”), in www.ilcaso.it, 2 gennaio 2021), con particolare riguardo agli accordi di ristrutturazione, che essa sola sarebbe compatibile con i principi dettati dalla Direttiva UE Insolvency 2019/1023 con speciale riguardo alla ipotesi di ristrutturazione trasversale, ovvero che comporta l'efficacia vincolante nei confronti di classi dissenzienti che non hanno interessi omogenei a quelle consenzienti, e per la quale e' doveroso il rispetto della regola della c.d. “relative priority rule” (“RPR”), secondo la quale è possibile il pagamento di creditori di rango inferiore anche in assenza di pagamento integrale dei creditori di rango superiore, a condizione che il primo sia di misura inferiore.

Si sostiene ancora che la tesi estensiva sarebbe incompatibile con il principio di negozialita' che governa il concordato ed ancora di piu' l'accordo di ristrutturazione (Monteleone e Pacchi, op. cit., 7 ss.; gli autori differenziano: a) la ipotesi del ipotesi del mero silenzio o inerzia della amministrazione, che, in presenza dell'obbligo della P.A. di motivare i propri atti e provvedimenti, costituisce una condotta illegittima e quindi puo' essere disapplicata dal giudice ordinario ex art. 5 L.A.C., b) la ipotesi del voto motivato della amministrazione finanziaria, al quale il giudice concorsuale non puo' sovrapporre una valutazione di segno contrario): in ipotesi di voto motivato della amministrazione, dove il creditore abbia spiegato le proprie ragioni contestando le risultanze della attestazione o comunque esprimendole ragioni a sostegno della propria posizione, l'applicazione della norma porterebbe a una sorta di ammissione di ufficio di una procedura che non ha ricevuto il consenso della maggioranza dei creditori, trasformando il concordato preventivo in una tipologia, di concordato coattivo, al pari di quello fallimentare.

A parere di chi scrive la tesi estensiva pare poi, e prima di tutto, incontrare l'ostacolo della stessa espressione normativa: “mancata adesione” (nel contesto dell'accordo dove chi non aderisce espressamente viene pagato integralmente) e “mancanza di voto” richiamano letteralmente condotte negative, omissive, sostanzialmente di inerzia, di chi, cioe', evita di prendere posizione circa la proposta del debitore.

E questa sarebbe infatti la condotta - di mancata risposta al contribuente- che il legislatore intende arginare con la novella; ben diversa la ipotesi del voto espresso dalla amministrazione ed espresso in modo negativo. Non si puo' certo rimproverare alla amministrazione che voti negativamente di essere inerte o di non dare risposta; rimproverarle poi, in riferimento al voto espresso, di ostacolare la procedura e di assumere atteggiamenti di eccessiva rigidita', significa imputarle il fatto stesso di avere votato negativamente, il che pare eccessivo a meno che non si voglia privare la amministrazione, diversamente da quanto accade per tutti gli altri creditori, del diritto di esprimere il proprio voto.

In altri termini, anche in base ad un'interpretazione letterale, la norma fa chiaro riferimento nel caso del concordato alla mancanza di voto, che invece in caso di voto negativo è chiaramente presente.

Certamente, di fronte ad un significato letterale diversificato per due ipotesi diverse e di chiara lettura laddove fa riferimento (nel concordato) alla mancanza di espressione del voto, non vale il richiamo alla voluntas legis, che sicuramente è sempre quella di favorire la composizione della crisi, superando “resistenze ingiustificate” (come si esprime la Relazione Illustrativa al Codice della crisi), ma ovviamente entro limiti stabiliti dal legislatore (peraltro vedremo che nel caso del Codice della crisi la soluzione è differente).

Anche la soluzione, indubbiamente degna di nota, di recuperare il voto negativo immotivato ad un sindacato basato sulla illegittimità del diniego appare invero ardua.

In effetti è evidente che l'amministrazione erariale risponde, come tutte le altre pubbliche amministrazioni, al principio di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost. D'altronde la citata circolare dell'Agenzia delle Entrate imporrà d'ora innanzi una attenta motivazione del voto contrario, confutando “analiticamente, in base ad elementi chiari, oggettivi e verificabili, le argomentazioni e le conclusioni del commissario” allorché la proposta ottenga il suo parere positivo in seno alla relazione preveduta dall'art. 172 l. fall., e dei dati contenuti nell'attestazione del professionista indipendente.

L'eventuale infondatezza della motivazione, o peggio la sua assenza, determinerebbero dunque senz'altro un'ipotesi di illegittimità della condotta della P.A. per eccesso di potere per violazione di circolare.

Tuttavia appare difficile affidare tale controllo al tribunale fallimentare in sede di disapplicazione a mente dell'art. 5 L.A.C., posto fra l'altro che tale potere presuppone che la pubblica amministrazione in questione non sia parte del giudizio (Cass. 4 luglio 2018, n. 17485; Cass. 5 marzo 2020, n. 6329), laddove in questo caso appare evidente come il giudizio debba essere assimilato all'ipotesi di opposizione all'omologazione e quindi l'amministrazione debba essere considerata parte processuale, anche ove non eventualmente costituita.

Conseguentemente la possibilita' del tribunale di sostituirsi alla amministrazione, ovvero di svolgere un ruolo suppletivo deve dunque intendersi limitata all'ipotesi di inerzia della stessa: gia' questo approdo comporterebbe un deteriore trattamento rispetto al resto del ceto creditorio, cui si lascia pacificamente e senza questioni la possibilita' di non esprimere alcun voto; l'intervento del tribunale potrebbe essere in questo caso pero' giustificato, e con esso la nuova previsione normativa, in forza del richiamato 97 Cost.

La mera inerzia, oltre che ostacolare la ristrutturazione proposta dal contribuente, e' potenzialmente idonea a ledere gli stessi interessi della amministrazione. E comunque dal creditore pubblico, proprio in quanto titolare di interessi della collettivita', ci si attende legittimamente un atteggiamento dialogante e trasparente nei confronti del contribuente, atteggiamento non congruente con la mera inerzia.

Diversamente il voto, sia pure negativo ma argomentato, non impedisce la prosecuzione della procedura, non la rallenta né la ostacola immotivatamente: il voto negativo é l'esercizio del potere discrezionale della amministrazione di tutelare, nel modo che ritiene piu' opportuno, gli interessi pubblici che rappresenta.

Non spetterebbe dunque al giudice fallimentare verificare se il voto espresso, e magari ampiamente motivato ( come vuole per il futuro la circolare Agenzia delle Entrate citata, n. 34 del 2020), dall'amministrazione sia o meno congruo rispetto al perseguimento degli interessi pubblici ed in generale idoneo a garantire il buon andamento dell'amministrazione.

E del resto le motivazioni che l'amministrazione puo' addurre a sostegno di un proprio voto negativo possono risiedere in ambiti affatto diversi da quello della convenienza economica della proposta: si pensi ad esempio a un voto negativo motivato in riferimento alle plurime condotte fraudolente di evasione del fisco della impresa in concordato.

A tale proposito va rammentato che lo scenario fallimentare –specialmente in alternativa a quello dell'accordo di ristrutturazione ma anche a quello concordatario - consente di aprire la possibilita' di estensioni del fallimento a soggetti collegati ( si pensi al socio o alla societa' di fatto, spesso aventi la capienza patrimoniale che il socio palese non ha), di esperimento di azioni di responsabilita' verso organi amministrativi e di controllo che sovente il debitore in concordato, per ovvi motivi fatica a promuovere, di accertamento di gravi responsabilita' penali per reati fallimentari e fiscali che in sede di accordo di ristrutturazione non emergerebbero e che il concordato stenta a mettere in rilievo.

Rispetto a queste eventualita', non ultima delle quali quella di ottenere una sanzione penale nei confronti del debitore che gli impedisca - grazie alle relative pene accessorie - di porre in essere nuovamente analoghe condotte, cosa affatto infrequente in concreto.

I termini della questione non sono altrettanto agevoli nel caso della nuova disposizione di cui al Codice della crisi, poiché in tal caso come visto (art. 48 CCII) si usa per entrambi i procedimenti, cioè quello di accordo di ristrutturazione e quello concordatario, la locuzione “mancata adesione”.

Orbene l'espressione in parola - rimasta invariata nel passaggio dalla prima versione a quella del correttivo - è assolutamente compatibile tanto con il mancato voto quanto con il voto negativo, mentre logicamente ben s'attaglia in maniera inequivoca al caso dell'erario che non stipula il singolo accordo con il debitore. Anzi appunto l'espressione era stata studiata allorché, nella prima versione, essa era riferita al solo accordo, rispetto al quale appunto si attaglia maggiormente.

Porta ad una lettura estensiva nel caso del Codice della crisi anche l'identica espressione adottata dall'art. 80 dello stesso come discendente dal correttivo. Orbene, come noto, mentre nel caso del concordato preventivo (tanto in quello previsto dalla legge fallimentare tuttora vigente, quanto in quello disciplinato dal Codice della crisi) si prevede che le maggioranze siano calcolate sulla base del voto favorevolmente espresso (mentre l'astensione è equiparata a voto contrario), nel caso del concordato minore di cui appunto all'art. 80 CCII si applica (come attualmente avviene a proposito dell'accordo di cui all'art.7 l. n. 3/2012) l'istituto del silenzio-assenso. Dunque l'espressione “mancata adesione” significa indubbiamente in tal caso esclusivamente voto negativo (posto che il silenzio appunto equivarrà ad adesione), e pare ben difficile che un medesimo contesto normativo possa attribuire alla medesima espressione un significato opposto.

Certamente in caso di voto negativo immotivato la sostituzione della verifica di convenienza da parte del Tribunale non desta grande perplessità, poiché anche in tal caso si individuerebbe un comportamento non rispondente ai criteri di cui all'art. 97 Cost., né si potrebbe ritenere vulnerato il principio “contrattualistico” del concordato (al quale fa riferimento Cass. SS.UU. 28 giugno 2018, n. 17186, in Foro It., 2018, I, 4020, che peraltro si richiama più propriamente ai “profili contrattualistici”, tra cui l'approvazione della proposta, cioè il voto), dal momento che è difficile vedere il concordato come un contratto. Esso, infatti, espressione di una maggioranza, è piuttosto un istituto processuale (i cui effetti obbligatori passano attraverso un ineliminabile vaglio giudiziale dato dal giudizio d'omologazione) in cui confluisce come presupposto un atto negoziale qual è il voto, ma né ciò elimina la sua natura suddetta, né appunto l'ordinamento (che nella sua stessa disciplina ammette l'imposizione della proposta anche ai dissenzienti) sconosce altre ipotesi in cui dalla volontà dei creditori si prescinde. Più complessa l'ipotesi del voto negativo motivato adeguatamente, ma intanto la questione neppur si pone se il diniego dipenda dall'assenza di presupposti di ammissibilità, che in ogni caso il Tribunale dovrà vagliare, così come verificherà la convenienza negata.

Se peraltro i motivi di diniego fossero altri, del pari la questione dovrebbe risultare tutto sommato di minor rilievo, posto che, come visto, la circolare (che ben s'attaglia sotto il profilo del contenuto della motivazione anche al Codice della crisi) è incentrata su valutazioni di convenienza agganciate a dati ed elementi contestati rinvenienti dall'attestazione o addirittura dal parere del commissario.

Ove invece la motivazione fosse fatta risalire ad altri interessi pubblici, sarà la norma ad aver autorizzato il Tribunale a incentrare il proprio giudizio solo sulla convenienza economica, e così a superare l'eventuale ostacolo derivante dal divieto di compiere valutazioni di interessi pubblici in contrasto con l'organo esecutivo che ne sia portatore.

Ovviamente non si può escludere che in tal caso il diniego, ancorché vi sia una convenienza economica, sia comunque rispondente ai principi di cui all'art. 97 Cost., ma si tratta di una scelta legislativa.

Gli ulteriori presupposti delle nuove norme

Gli altri presupposti delle nuove norme sono la decisività del voto della amministrazione e la convenienza della proposta rispetto alla alternativa liquidatoria.

Quanto al primo elemento, esso si traduce in una mera operazione aritmetica e non pare porre seri problemi interpretativi. Con la precisazione che, quando si parla di voto in riferimento ai crediti pubblici, ci si riferisce o a crediti pubblici originariamente chirografari o a crediti privilegiati , ma assistiti da cause di prelazione incapienti.

In effetti la disposizione di cui all'art. 182 ter l. fall. è stata modificata proprio in tal senso, per cui anche a tal caso si estenderà il giudizio del tribunale. In propositooccorrera' che della attestazione specifica prevista dalle nuove norme faccia parte anche la relazione giurata ex art. 160, comma 2. Questo il senso del riferimento inserito all'art. 182 ter l. fall.

E con l'ulteriore precisazione che la decisività allude alle maggioranze di cui all'art. 177 l. fall., pertanto non solo quella meramente numerica, ma anche quella di classi se ricorre la fattispecie.

Il requisito della decisività pertanto distingue la presente ipotesi dall'altro caso in cui il credito erariale può essere sottoposto al giudizio del cram down ai sensi dell'art.180 l.f., cioè allorché il relativo voto sia non decisivo, ma sia proposta dallo stesso opposizione all'omologazione per asserita non convenienza e purché il creditore stesso sia appartenente ad una classe dissenziente ovvero, in assenza di classi, i voti negativi abbiano raggiunto la percentuale del per cento.

Con specifico riguardo poi all'accordo di ristrutturazione, che rappresenta la prova più evidente della strumentalità della libertà negoziale della pubblica amministrazione al perseguimento di fini di pubblica convenienza (ed infatti la mancata adesione all'accordo non è meno significativa del voto negativo), va ricordato che prima di procedere al cram down, il tribunale dovrà di necessità verificare se l'ente sia stato opportunamente compulsato dal debitore, problema non ricorrente nel caso del concordato in cui è disciplinata la procedura di voto. Solo un esame positivo di tale presupposto consentirà infatti poi di scendere al merito della mancata adesione.

Quanto alla convenienza, essa deve risultare “anche” dalla relazione dell'attestatore di cui all'art. 161 comma 3 l. fall., ma anche dal resto della documentazione allegata al piano e proposta, e dal piano e proposta stessi, nonche' dalla relazione del Commissario Giudiziale.

Ma è ovvio che anche qui, prima di procedersi al giudizio vero e proprio di convenienza occorre che il tribunale faccia uso dei suoi poteri, anche officiosi, di verifica dei presupposti di ammissibilità del concordato, che come noto devono essere esercitati anche in sede di omologazione. In particolare occorrerà la preliminare verifica circa l'idoneità della proposta a superare lo stato di insolvenza (giudizio di fattibilità) e solo in caso di esito positivo si potrà procedere oltre.

Diversamente da quanto accade per l'ipotesi di cui all'art. 180 comma 4 secondo periodo (in cui il parametro e' quello di un trattamento non deteriore rispetto alle alternative, e quindi la proposta puo' essere omologata se consenta un trattamento almeno pari a quello delle alternative percorribili), nel caso de quo la proposta sara' approvata quando e' conveniente, e quindi migliorativa, rispetto all'alternativa liquidatoria

e non solo non deteriore

-

rispetto a quanto potrebbe pervenire da un fallimento/liquidazione.

La convenienza puo' essere declinata non solo in tema di quantum ma anche di quando del pagamento, ben potendo la tempistica giocare un ruolo chiave.

Il parametro della convenienza non e' poi rapportato all'interesse generale del ceto creditorio (come accade per il giudizio sulla ammissione del concordato in continuita' ove si evoca il paradigma della migliore soddisfazione dei creditori) ma al solo interesse della amministrazione.

La sede delle verifica della ricorrenza dei presupposti per la operativita' delle norme e' per legge quella della omologa della proposta o dell'accordo, come del resto si è già sopra anticipato.

E' vero, come è stato efficacemente sottolineato, che l'art. 179 l. fall., in tema di mancata approvazione, è rimasto invariato (MONTELEONE e PACCHI, Il nuovo “cram down”, cit., 109), ma è altrettanto vero che ad essere modificato è stato il seguente art.180, con l'inserimento di un ulteriore periodo al quarto comma, disposizione che regola appunto il giudizio di omologazione e nel particolare l'ipotesi dell'opposizione alla stessa.

Dunque deve ritenersi che, una volta esaurite le operazioni di voto, il tribunale dovrà emettere il decreto di convocazione laddove il voto dell'amministrazione rimasta silente sia da considerarsi decisivo nel senso sopra illustrato, verosimilmente a prescindere da un'eventuale istanza del creditore in tal senso.

Evitera' quindi il giudizio solo l'eventuale mancata costituzione del debitore ai sensi dell'art.180, comma 2, l.fall.

In caso contrario, il tribunale procederà al giudizio, mentre ovviamente l'amministrazione potrebbe costituirsi per opporsi oppure non costituirsi. In ogni caso, come pure anticipato, le forme non potranno che essere quelle dell'omologazione in presenza di opposizione, e quindi propriamente contenziose, non solo perché si procede al cram down in presenza di un comportamento ex lege equiparato al dissenso, ma perché manca il presupposto stesso per procedersi senz'altro all'omologazione ai sensi dell'art.180, 3° co., che infatti prevede la verifica dell'esito (evidentemente positivo) della votazione, che qui non c'è.

Il Tribunale potrà quindi procedere all'istruttoria ivi prevista, anche d'ufficio, che si incentrerà appunto essenzialmente anzitutto sulla sussistenza dei presupposti di ammissibilità, e poi sulla convenienza per il creditore erariale o previdenziale della proposta rispetto all'alternativa liquidatoria.

Parametro di riferimento per la determinazione della convenienza è come sempre la relazione del professionista indipendente, che però nel caso dell'opposizione andrà sottoposta ad un giudizio più penetrante attenendo ai profili di valutazione della convenienza appunto, e di ciò è indice il fatto che la disposizione in commento stabilisce che il giudizio di convenienza si baserà anche sulla suddetta relazione. La quale però dovrebbe contenere uno specifico riferimento alla convenienza anche per il creditore erariale e previdenziale fin dall'inizio, cioè dal suo deposito originario, visto che la norma si riferisce all'art.161, comma 3, l.fall., e del resto si tratta di una scelta oculata da parte dello stesso attestatore, visto il contenuto nella riportata circolare dell'Agenzia.

Per quel che si riferisce alla procedura di accordo di ristrutturazione, se l'inserimento del giudizio di convenienza nell'ambito di quello di omologazione non solleva questioni, dal momento che quest'ultimo è l'unico della procedura, mancando la fase dell'apertura, appare anche qui evidente come il giudizio che ne occupa debba essere trattato nelle forme dell'opposizione, tra l'altro anch'esso essendo stato inserito come ulteriore periodo proprio all'art.182 bis, comma 4, l. fall., appunto in tema di opposizioni.

E' peraltro da ritenersi che, nella prospettiva del nuovo comma 4, della disposizione così come modificata, si avranno gli effetti di cui ai commi 2° e 3° (ed in particolare l'automatic stay) anche in caso di pubblicazione di accordo che non abbia ricevuto l'adesione decisiva dell'amministrazione.

Difficile invece ritenere che per effetto della mancata adesione si possa applicare la speciale procedura di cui al 6° co., che invece presuppone trattative in corso, o che al contrario non si possa fruire degli effetti di cui ai commi 2 e 3, sebbene sia sicuramente rilevante la questione relativa al concreto inoltro della proposta. Forse la soluzione potrebbe essere quella di sottoporre a pubblicazione non solo gli accordi raggiunti, ma anche la proposta notificata tempestivamente agli enti, rispetto alla quale gli stessi non abbiano aderito.

Residua poi l'interrogativo in ordine al significato della potestà di omologazione anche in caso di dissenso se il voto dell'amministrazione e' decisivo

.

Secondo qualcuno con ciò s'intende che il voto viene neutralizzato nel senso che non entra a fare parte del calcolo (G.D'Attorre, La ristrutturazione coattiva dei debiti fiscali e contributivi negli adr e nel concordato preventivo, Il Fallimento, 2021, 153 ss.), ma secondo la tesi maggioritaria il voto si considera positivo: il dato letterale infatti sembra orientare maggiormente verso la seconda soluzione, in quanto qualifica la “adesione” dell'amministrazione come determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze.

Numerose sono le posizioni assunte in ordine all'applicabilità o meno della disposizione in commento alle procedure in corso, e soprattutto alla sua applicabilità solo se la procedura si trovi in una determinata fase (Cecchinato, L'immediata applicabilità delle nuove disposizioni su concordato preventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti, in www.dirittobancario.it, 7 dicembre 2020; Monteleone e Pacchi, op. cit., ivi 22 ss.).

L'osservazione da cui partire, ampiamente condivisa, è nel senso che le disposizioni in tema di concordato, ed in particolare quelle relative all'omologazione, hanno natura processuale, e dunque alle stesse si applica il noto principio tempus regit actum, almeno in assenza di espressa disposizione in senso opposto.

Nella specie la l. n. 159/2020 (a differenza come vedremo della l. n. 176) nulla ha disposto per le procedure pendenti.

Tuttavia si può sottolineare la pregnanza di argomenti che hanno portato parte della dottrina a ritenere l'applicabilità della nuova normativa solo alle procedure rispetto alle quali non siano ancora aperte le operazioni di voto alla data di entrata in vigore della nuova norma.

In effetti per le altre l'estensione del nuovo testo porterebbe a pregiudicare l'aspettativa degli enti impositori nel meccanismo anteatto, tra l'altro in un contesto in cui la relazione dell'attestatore non necessariamente doveva avere il contenuto specificato dal nuovo testo dell'art.180 l. fall. (in tal senso MONTELEONE e PACCHI, cit., 24, DE BERNARDIN, Brevi Note a prima lettura, in www.ilCaso.it, pubbl. il 2 gennaio 2021).

Si è da altre parti invece osservato che la nuova disciplina troverebbe applicazione a condizione che, per i concordati, non siano state concluse le operazioni di voto e, per gli accordi di cui all'art.182 bis l.fall., non sia stata presentata la domanda di omologazione del complesso di accordi di cui la transazione fa parte (e su tale ultima propsettiva non ci dovrebbero essere dubbi), e sempre che non sia stata pronunciata l'inammissibilità della proposta.

Altri ancora hanno osservato che le nuove norme, pure se norme processuali, attengono in realta' piu' alla fase della omologa che alla fase della votazione e quindi possono ritenersi applicabili a tutti i procedimenti che, alla data di entrata in vigore della legge, si trovassero nella fase della omologa o dove il collegio dovesse decidere per la inammissibilita' ex art. 179 l. fall. non essendosi prodotte le maggioranze.

Conclusioni

Al termine di queste brevi considerazioni, si può fare riferimento più specifico alla modifica dell'art. 12 L. 3/2012, in tema di accordo di ristrutturazione del debito del sovraindebitato.

In tal caso come visto si ammette che la mancata adesione dell'amministrazione fiscale fondi il già visto giudizio di convenienza nei termini visti sopra.

Qui di particolare c'è intanto la più ridotta platea di soggetti, posto che la disposizione non è stata estesa anche al caso degli enti previdenziali (conformemente del resto alla prima versione del Codice della crisi). Il carattere chiaramente derogatorio della disposizione non consente alcuna estensione.

Altra particolarità, già sottolineata, consiste nel fatto che qui l'”accordo” è approvato quando riceva il sessanta per cento dei voti dei creditori chirografari, ma applicando il sistema del silenzio-assenso.

L'utilizzo dell'espressione “mancata adesione” determina allora una lettura della stessa in totale analogia a quella esaminata sopra a proposito dei nuovi istituti previsti dal Codice della crisi, con conseguente confinamento del cram down al solo caso del voto espresso in senso contrario.

Verificata dal giudice, come al solito, la sussistenza di tutti i presupposti di ammissibilità, egli pare dovrà sottoporre a cram down il diniego espresso anche in caso di dissenso motivatamente negativo, negli esatti termini che si sono visti a proposito dell'analoga situazione del procedimento di concordato preventivo previsto sempre dal Codice.

Ne deriva che con la norma in parola il legislatore impone all'erario di aderire alle proposte che siano economicamente convenienti, e in difetto attribuisce al giudice di omologare nonostante il voto negativo (in tal senso una prima pronuncia di merito proprio in tema di accordo ex art. 7 l. n.3/2012, Trib. La Spezia, 14 gennaio 2021, in www.ilCaso.it, 12 febbraio 2021; nello stesso senso Trib. Forlì, 15 marzo 2021), benché tale meccanismo non possa dirsi coincidente con una sostituzione del voto negativo con uno positivo (come afferma la decisione del giudice spezzino).

Come premesso poi, la l. 176/20 in tema di sovraindebitamento ha disciplinato anche le procedure pendenti, stabilendo espressamente che “Nei procedimenti di omologazione degli accordi e dei piani del consumatore pendenti alla data di entrata in vigore della legge 18 dicembre 2020, n. 176 (25 dicembre 2020), il debitore può presentare, fino all'udienza fissata ai sensi dell'art. 10 L. 3/2012, istanza al tribunale per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di una nuova proposta di accordo o di un nuovo piano del consumatore, redatti in conformità alla nuova disciplina”.

Tale disposizione, prevista in generale per l'adeguamento delle proposte alla nuova disciplina, pare attagliarsi anche al caso del cram down fiscale dal momento che quantomeno il debitore dovrà provvedere a far depositare un'integrazione della relazione dell'OCC. Ciò significa allora che in questo caso la nuova normativa si applicherà anche ove il voto sia già stato manifestato pur sotto la vigenza della pregressa disciplina, dal momento che l'udienza prevista dall'art. 10 L. 3/2012 è fissata ad una data successiva all'espressione del voto stesso.

Ma ciò discende appunto da un'espressa previsione legislativa, che implicitamente garantisce anche la ripetizione del voto ad esito (normalmente della modifica della proposta e, in questo caso) dell'integrazione della relazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.