Le clausole del contratto in tempo di Covid-19

19 Aprile 2021

Il contratto di locazione, per sua natura, è un contratto che si proietta nel futuro, in quanto si propone di regolamentare i rapporti tra le parti per un considerevole lasso di tempo; ciò avviene, necessariamente, sulla base della situazione, delle conoscenze, delle esigenze e degli interessi economici dei contraenti al momento della stipulazione. Circostanze successive alla conclusione del contratto potrebbero tuttavia incidere sull'equilibrio del contratto, determinando cioè uno squilibrio economico tra le prestazioni: soprattutto con riferimento alle sopravvenienze c.d. atipiche, cioè non previste e disciplinate espressamente dalla legge. Si pone così il problema di individuare quale possa essere il percorso che meglio tuteli gli interessi dei contraenti, a fronte della mutata situazione di riferimento. L'emergenza sanitaria Covid e le misure restrittive via via adottate dal Governo contro la diffusione del virus, hanno riportato con forza l'attenzione sulla tematica, al punto da imporre, per il futuro, la previsione in contratto di apposite clausole finalizzate a prevenire, sotto tale profilo, l'insorgere di conflitti tra locatore e conduttore in tema di misura del canone da corrispondere nel ripetersi di similari situazioni a quella verificatasi con la pandemia Covid.
Le sopravvenienze tipiche e i rimedi codicistici

In presenza di fatti sopravvenuti che incidano sugli originari assetti del contratto, i rimedi tipici previsti dal codice civile sono la risoluzione ex art. 1463 c.c. per impossibilità sopravvenuta e la risoluzione ex art. 1467 c.c. per eccessiva onerosità sopravvenuta: nei contratti c.d. di durata a prestazioni corrispettive, al verificarsi di un fattore sopravvenuto che alteri l'equilibrio economico del sinallagma, l'ordinamento prevede quindi rimedi caducatori, che cioè liberano le parti dagli originari obblighi, facendo venire meno il contratto.

Quanto all'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che la caducazione del contratto possa prodursi solo in presenza di un evento eccezionale, esterno alle parti, straordinario sotto il profilo oggettivo, imprevedibile e inevitabile sotto quello soggettivo, che sia tale da inficiare la generalità degli operatori del settore, anche nel senso di superare le normali fluttuazioni del mercato.

Parimenti, l'impossibilità della prestazione idonea a provocare la risoluzione ex art. 1463 c.c., si sostanzia in una impossibilità oggettiva, totale e definitiva. In tal senso, è stato escluso che la c.d. impotenza finanziaria, sebbene non imputabile al debitore, configuri un'ipotesi di impossibilità della prestazione, essendo la crisi di liquidità un rischio necessariamente a carico del debitore poichè rientrante nella sua sfera organizzativa individuale.

Infine, ai sensi dell'art. 1464 c.c., ove la prestazione sia divenuta solo parzialmente impossibile, il contratto non si risolve, ma l'altra parte può alternativamente chiedere la riduzione della propria controprestazione ovvero recedere dal contratto, in assenza di un interesse all'adempimento solo parziale. Anche in questo caso, tuttavia, vigono le medesime regole in termini di oggettività e non imputabilità dell'impossibilità, sicché non è sempre agevole l'applicazione della fattispecie.

L'emergenza sanitaria ha però messo in luce come lo strumento della risoluzione giudiziale del contratto divenuto squilibrato non configuri sempre la migliore soddisfazione degli interessi delle parti, soprattutto con riguardo ai contratti commerciali a lungo termine.

Sul punto, la normativa emergenziale è intervenuta esclusivamente sotto il profilo della responsabilità del debitore ex artt. 1218 e 1223 c.c., imponendo una più attenta valutazione dell'inadempimento, ove questo sia stato determinato dal rispetto delle misure di contenimento contro la diffusione del Coronavirus Il Tribunale di Catania nel provvedimento 30 luglio 2020 ha ritenuto che l'art. 91 del d.l. n. 18 del 2020, convertito con la l. n. 27 del 2020 – secondo cui il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione ai sensi e per gli effetti degli art. 1218 e 1223 c.c. della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi pagamenti – incida nella valutazione della gravità dell'inadempimento del conduttore in relazione alla domanda di risoluzione del contratto.

In virtù di tali disposizioni, la valutazione sulla responsabilità del debitore per inadempimento della prestazione dovrà necessariamente considerare il più ampio contesto di prescrizioni emergenziali via via intervenute, senza che ciò comporti un'automatica esclusione dell'inadempimento, essendo comunque onere del debitore dimostrare il nesso causale tra il rispetto delle misure di contenimento e la mancata esecuzione della prestazione.

Proprio in tema di onere della prova, la giurisprudenza di merito (Tribunale di Pisa 30 Giugno 2020) ha precisato che anche nell'ipotesi in cui il debitore lamenti, a causa dell'emergenza Covid-19, un'eccessiva onerosità sopravvenuta durante l'esecuzione del contratto, rimane a suo carico l'onere di offrire al giudice dati obiettivi da cui desumere un peggioramento della propria condizione patrimoniale, tale da precludere il pagamento del canone di locazione concordato, non potendo in tal senso rilevare il rinvio in termini astratti all'aggravamento della situazione patrimoniale a causa dell'emergenza sanitaria.

Le sopravvenienze atipiche e la rinegoziazione.

Come detto, la pandemia Covid ha riportato l'attenzione degli operatori sugli strumenti applicabili alle sopravvenienze c.d. atipiche che, al pari di quelle sopra esaminate, incidano sull'equilibrio nell'esecuzione del contratto, rendendo sproporzionate le prestazioni reciproche delle parti, ovvero sulla funzione del contratto stesso, frustrando l'originario programma negoziale.

Non si tratta di una sopravvenienza ordinaria, ma di una «crisi sistemica» che ha toccato e tocca, sia pure con diverse punte di intensità, la gran parte delle attività economiche.

Le soluzioni astrattamente possibili sono tre e, sotto un profilo di analisi economica del diritto, si tratta di tre diverse modalità di allocazione del rischio derivante dalle circostanze sopravvenute:

(i) le parti potrebbero continuare a considerare valido e vincolante il contratto, nonostante la sopravvenienza, ed in tal caso il rischio rimarrebbe in capo alla parte che ha subito le conseguenze dell'evento sopravvenuto;

(ii) le parti potrebbero risolvere consensualmente il contratto, liberandosi dal vincolo, con conseguente traslazione del rischio sulla parte che non ha patito le conseguenze dell'evento, ma che comunque subisce la caducazione del contratto;

(iii) infine, le parti potrebbero conservare il contratto modificandone il contenuto al fine di adeguarlo al nuovo assetto fattuale, così ridistribuendo il rischio tra le parti.

Il nostro ordinamento non prevede un espresso obbligo di rinegoziazione in capo alle parti e, per anni, tale possibilità è stata esclusa a fronte del principio pacta sunt servanda di cui all'art. 1372 c.c., anche sulla scorta del rilievo che solo eccezionalmente il codice prevede la revisione del contratto per effetto di circostanze sopravvenute (art. 1464 c.c., art. 1664 c.c. in tema di appalto e art. 1623 c.c. in tema di affitto). Inoltre, l'intervento giudiziale sarebbe precluso in virtù del generale principio di insindacabilità del contratto, secondo cui le parti sono da considerarsi i migliori giudici delle proprie scelte negoziali, con conseguente eccezionalità delle ipotesi di un sindacato giudiziale sull'equilibrio del contratto (es. riduzione della clausola penale eccessiva ex art. 1384 c.c.).

Tuttavia, il principio di vincolatività del contratto deve necessariamente essere contemperato con il principio rebus sic stantibus, che nei contratti di durata valorizza la connessione tra gli obblighi contrattualmente assunti dalle parti e la situazione dalle stesse “presupposta” al momento della stipula. Proprio con riferimento agli effetti dell'emergenza sanitaria sui contratti pendenti, la Corte di Cassazione ha così correttamente sintetizzato: «i contratti sembrano dover essere rigidamente rispettati nella loro formulazione primigenia nella sola misura in cui rimangano inalterati i presupposti e le condizioni di cui le parti hanno tenuto conto al momento della stipula. Per converso, ogni qualvolta una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l'assetto giuridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale, la parte danneggiata in executivis deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni». ( cfr. Relazione tematica n. 56 8 Luglio 2020 dell'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione)

L'intervento del giudice

Ove la caducazione del contratto non sia la soluzione ottimale per le parti, da intendersi proprio quale migliore composizione degli opposti interessi, in assenza di norme che a monte prevedano un espresso obbligo di rinegoziare ed in mancanza di clausole contrattuali che in concreto a ciò obblighino le parti, ci si chiede se possa configurarsi nel sistema un potere generale del giudice di sostituirsi alle scelte delle parti al verificarsi di eventi sopravvenuti che abbiano comportato un rilevante disequilibrio nel contratto.

Le teorie più progressiste hanno evocato la clausola generale di buona fede, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., quale applicazione in materia contrattuale del principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost., dando attuazione anche a quanto, in più occasioni, riconosciuto dalla Corte Costituzionale e dalla stessa Cassazione (Corte Cost. 26 marzo 2014 n. 77 in tema di riduzione della caparra confirmatoria e Cass. civ. 18 settembre 2009 n. 20106 in tema di recesso ad nutum).

In tal senso, nelle ipotesi in cui si verifichino fattori sopravvenuti, imprevedibili al momento della stipula, che alterino il sinallagma oltre la sua normale alea, la buona fede potrebbe assolvere una funzione integrativa del contratto, evitandone la caducazione, imponendo alle parti un obbligo di avviare nuove trattative con l'obiettivo di addivenire ad un nuovo accordo che riconduca le reciproche prestazioni ad equilibrio, anche se tale obbligo non è previsto espressamente dal contratto. La clausola generale di buona fede e correttezza, che permea il rapporto negoziale sin dalla fase delle trattative e per tutta la sua vigenza, consentirebbe così una flessibilità dell'ordinamento, assicurando tutela anche a fattispecie non specificamente considerate dalla legge. Inoltre, non vi sarebbe alcuna violazione dell'autonomia contrattuale, essendo interamente rimessa alle parti, anche su impulso del giudice, la valutazione sul ripristino dell'equilibrio economico tra le prestazioni, assecondando l'esigenza cooperativa propria dei contratti di lungo periodo.

L'obbligo di avviare nuove trattative e di portarle avanti secondo buona fede, non comporta anche un dovere per le parti di modificare il contratto: la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l'invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se promuove soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell'economia del contratto. Si avrà, per contro, inadempimento se la parte tenuta alla rinegoziazione si oppone in maniera assoluta e ingiustificata ad essa o si limita ad intavolare delle trattative di mera facciata, ma senza alcuna effettiva intenzione di rivedere i termini dell'accordo. (Trib. Roma 27 agosto 2020).

I rimedi manutentivi del contratto e l'autonomia delle parti: nuove clausole

Alla luce della disciplina normativa sopra esaminata, in presenza di eventi straordinari che inficino l'equilibrio del contratto, la possibilità di mantenere in vita il regolamento contrattuale, modificandolo al fine di ripristinare la proporzione tra le prestazioni, è per lo più rimessa all'autonomia negoziale delle parti, ai sensi dell'art. 1322 c.c.

Sulla scorta delle teorie delineate dall'analisi economica del diritto, secondo cui lo sforzo e l'impegno richiesto alle parti (i c.d. costi transattivi) al momento fisiologico dell'originaria negoziazione sono di norma inferiori rispetto a quelli che le stesse devono affrontare al momento patologico della rinegoziazione dovuta ad un mutamento sopravvenuto delle circostanze, lo strumento più efficiente per la gestione delle sopravvenienze diviene la previsione fin dall'origine di clausole di rinegoziazione o di revisione di alcune pattuizione.

Nella prassi dei contratti di durata sono già diffuse clausole di adeguamento automatico del contratto o di singole prestazioni, ovvero clausole di revisione dei corrispettivi, ma in questi casi è imposto alle parti, al momento della conclusione del contratto, uno sforzo di tipo predittivo molto specifico, anche sotto il profilo economico, che non sempre, per esperienza o per forza contrattuale, le stesse sono in grado di compiere.

Memori dell'impatto dirompente che l'emergenza sanitaria ha avuto sui rapporti di locazione, primi fra tutti i contratti di locazione commerciale, il contratto potrebbe quindi ab origine tipizzare alcune ipotesi di sopravvenienza, seppur per macro-categorie, e prevedere uno specifico percorso di rinegoziazione delle prestazioni, così da consentire alle parti di individuare preventivamente uno strumento di conservazione del contratto che, al contempo, assicuri una corretta ridistribuzione del rischio della sopravvenienza sulla base degli effettivi mutamenti derivanti dal concretizzarsi dell'evento sopravvenuto.

In tal senso, un utile spunto è offerto a livello sovranazionale dai Principi Unidroit in materia di contratti commerciali internazionali, ma che ben si adatterebbe anche ai contratti di locazione, sia abitativi e sia commerciali. E così, nulla vieta che anche in tali contratti si prevedano clausole del tipo:

1. Nel caso in cui la prosecuzione dell'adempimento dei propri obblighi contrattuali sia diventata eccessivamente onerosa a causa di un evento al di fuori del suo ragionevole controllo e di cui non ci si poteva ragionevolmente aspettare che se ne tenesse conto al momento della conclusione del contratto, la parte svantaggiata ha il diritto di richiedere una rinegoziazione. La richiesta deve essere fatta senza indebito ritardo e deve indicare i motivi su cui si basa.

2. Se l'esecuzione del contratto diventa eccessivamente onerosa a causa di un cambiamento delle circostanze, le parti sono tenute ad avviare trattative al fine di adattare il contratto o di risolverlo, a condizione che:

(a) il cambiamento di circostanze sia avvenuto dopo la conclusione del contratto;

(b) l'eventualità di un mutamento di circostanze non poteva essere ragionevolmente presa in considerazione al momento della conclusione del contratto;

(c) il rischio del mutamento delle circostanze non è un rischio che, secondo il contratto, la parte interessata dovrebbe essere tenuta a sostenere.

3. La richiesta di rinegoziazione non autorizza di per sé la parte svantaggiata a esimersi dal pagamento dei canoni e degli oneri accessori almeno nella misura, i primi, non inferiore al 40% di quella contrattualmente prevista e i secondi comunque al 100%.

4. Se le parti non raggiungono un accordo entro un termine ragionevole, ciascuna di esse può rivolgersi al Giudice del luogo ove è sito l'immobile locato affinchè, alternativamente:

(a) risolva il contratto alla data e alle condizioni da lui stabilite;

(b) adatti il contratto al fine di distribuire tra le parti in modo giusto ed equo le perdite e i guadagni derivanti dal cambiamento delle circostanze.

In entrambi i casi, il Giudice può concedere un risarcimento per la perdita subita a causa del rifiuto di una parte di negoziare o dell'interruzione delle trattative in contrasto con la buona fede e la correttezza.

In conclusione

La peculiarità del momento storico ed economico purtroppo imposto dal Covid-19 ha indotto locatori e conduttori a ricercare soluzioni alternative alla risoluzione del contratto conseguente all'inadempimento, totale o parziale, del conduttore nel pagamento dei canoni di locazione. La perdita del lavoro per i privati conduttori nell'uso abitativo e l'impossibilità di svolgere la propria attività commerciale, per gli utenti di immobili ad uso invece diverso dall'abitativo, ha portato a convincere il locatore che il fare cessare il rapporto di locazione, magari in corso da tempo remoto, non era la giusta soluzione da adottare, soprattutto in un periodo in cui non era, come tuttora non lo è, quello migliore per trovare altro conduttore disposto a sottoscrivere un contratto di locazione per un immobile, soprattutto se ad uso commerciale, che nell'immediato non avrebbe potuto usare, anche in conseguenza del continuo proliferare di divieti di spostamento, fosse anche per un semplice trasloco.

Anche la giurisprudenza di merito, d'altro canto, ha avuto modo di sottolineare (Trib. Roma 27 agosto 2020) come violi il principio di buon fede il locatore che si rifiuti di rinegoziare il canone a seguito delle sopravvenienze legate alla pandemia Covid-19.

È vero che, giusto il dettato del primo comma dell'art. 1467 c.c., «al contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione resta solo la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto squilibrato, non potendo invece pretendere che l'altro contraente, ai sensi del comma 3 del citato articolo, accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite»; non è altrettanto vero, però, che tale scelta obbligata risponda esattamente all'interesse della parte stessa, ben disposto magari ad accettare la sua conservazione con una equa modifica delle condizioni contrattuali.

Pur tenendo fermo il principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di merito (Trb Milano, ord. 21 ottobre 2020) ma anche richiamato nella Relazione dell'Ufficio del Massimario della Cassazione 08.07.2020, secondo cui «in base alla clausola generale di buona fede e correttezza sussiste un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell'alea normale del contratto», è bene ed opportuno che nel contratto vengano inserite apposite clausole, come quelle sopra evidenziate, finalizzate ad imporre alle parti contraenti, nel verificarsi di situazioni simili a quelle causate dal Covid-19 o nel perdurare ( ipotesi denegata) dello stesso , non solo l'obbligo di rinegoziare le condizioni economiche del contratto, ma anche a dare precise indicazioni circa il percorso che le stesse dovranno seguire per giungere , volontariamente o meno, ad un giusto equilibrio del sinallagma contrattuale.

Riferimenti

Di Vincenzo, La risoluzione del contratto, Key Editore, 2018, 113

Scalettaris – Ancora a proposito della rinegoziazione del canone nel caso delle locazioni commerciali - Archivio locazioni e condominio, marzo 2021 .

Tarantino, La riduzione del canone di locazione commerciale: soluzioni e contrasti giurisprudenziali in materia di covid-19. in Condominio e locazione.it;

Trapani, L'influenza della pandemia da Covid-19 sui contratti di locazione, in Diritto.it, 28 agosto 2020;

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