Atti di gestione e licenziamento nella somministrazione irregolare: l'art. 80-bis ha una portata innovativa?
23 Aprile 2021
Massima
Tenuto conto del dato testuale dell'art. 38, comma 3 secondo periodo, d.lgs. n. 81/2015 il quale fa espresso riferimento a “tutti gli atti” di gestione del rapporto di lavoro, l'art. 80-bis d.l. n. 34/2020 non è qualificabile come norma di interpretazione autentica.
Quest'ultima, infatti, è per natura diretta a dirimere un contrasto ermeneutico, ivi inesistente, ovvero ad imporre uno dei possibili significati attribuibili al testo originario.
L'esclusione del licenziamento dagli atti di gestione imputabili all'utilizzatore, pertanto, può operare solo pro futuro. Il caso
Il lavoratore concludeva il 6 luglio 2018 un contratto con un'agenzia di somministrazione, con successive proroghe dello stesso. Licenziato per giusta causa dalla società datrice, proponeva ricorso sostenendo l'illegittimità della somministrazione, asserendo, inoltre, la violazione dei limiti quantitativi previsti dal CCNL applicabile, dal momento che il numero di lavoratori utilizzati sulla base della somministrazione a termine avrebbe superato la percentuale prevista dall'accordo collettivo in rapporto ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato assunti dall'utilizzatore.
Il ricorrente chiedeva l'accertamento dell'illegittimità della somministrazione, la costituzione di un rapporto di lavoro con l'impresa utilizzatrice e la dichiarazione di illegittimità del licenziamento con conseguente condanna dell'utilizzatore alla reintegrazione nel posto di lavoro con pagamento dell'indennità risarcitoria. L'utilizzatore sosteneva la legittimità del contratto di somministrazione essendo esso, insieme alle proroghe, disciplinato dagli artt. 30 ss. d.lgs. n. 81/2015 nella formulazione anteriore all'entrata in vigore del d.l. n. 87/2018, con conseguente inapplicabilità della necessaria causalità. La percentuale indicata nel CCNL non sarebbe stata superata in ragione dell'appartenenza del ricorrente alla categoria dei lavoratori “svantaggiati”. L'agenzia, infine, resisteva affermando la legittimità del licenziamento. La questione
L'art. 80-bis d.l. n. 34/2020 il quale esclude il licenziamento dagli atti di gestione del rapporto di lavoro imputabili all'utilizzatore ex art. 38, comma 3, d.lgs. n. 81/2015 è applicabile retroattivamente in quanto norma di interpretazione autentica? La soluzione giuridica
Il Tribunale ha rilevato l'illegittimità della somministrazione per superamento dei limiti quantitativi previsti dal CCNL applicato ai sensi dell'art. 31 d.lgs. n. 81/2015 e conseguente possibilità per il lavoratore di domandare la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore ex art. 38, comma 2, del medesimo decreto legislativo.
Non rilevante è stata ritenuta l'eccezione secondo cui i limiti percentuali non sarebbero applicabili in quanto il ricorrente farebbe parte della categoria dei lavoratori “svantaggiati” o “molto svantaggiati”. L'eccezionalità del rapporto di lavoro a tempo determinato – confermata dal Job's Act – pone in capo all'utilizzatore, e non anche all'agenzia di somministrazione, l'onere di provare l'osservanza dei limiti percentuali e delle circostanze che ne determinano l'inapplicabilità, essendo l'unico soggetto interessato a tale fine. Suddetto onere non risultava assolto nel caso in esame: nell'eccepire l'appartenenza del lavoratore alla categoria dei lavoratori “svantaggiati” o “molto svantaggiati”, l'utilizzatore avrebbe dovuto indicare le condizioni a sostegno dell'eccezione, recte quelle di cui all'art. 2, n. 4 o n. 99 Regolamento UE n. 651/2014 al quale rinviava il d.lgs. n. 273/2006. TaleRegolamento, ha precisato il Tribunale, non viene richiamato dall'art. 31 d.lgs. 81/2015, sicché le suddette categorie non esonerano dall'osservanza dei limiti percentuali secondo la disciplina attualmente vigente.
Il giudice di Pavia ha rammentato che l'automatismo che connota la condanna del datore in caso di conversione del contratto a termine ha come presupposto ontologico la sussistenza del c.d. periodo intermedio da risarcire, intercorrente tra la scadenza del termine e la sentenza. Qualora il rapporto sia cessato prima della scadenza naturale, non potrebbe ritenersi sussistente il danno che la norma intende risarcire. Tali considerazioni vengono estese, mutatis mutandis, anche per l'indennità prevista dall'art. 39 comma 2 d.lgs. n. 81/2015. La “cessazione dell'attività presso l'utilizzatore” deve ricondursi alla naturale fine del rapporto, con esclusione dei casi in cui ciò avvenga in anticipo rispetto al termine finale per recesso di una delle parti. Le tutele predisposte per il caso di licenziamento illegittimo sono, infatti, ritenute idonee a compensare i pregiudizi relativi ad un periodo intermedio più ampio, ossia dal recesso alla sentenza, così evitando un'indebita duplicazione di tutele.
Il Tribunale, in relazione all'art. 38 comma 3, secondo periodo, d.lgs. n. 81/2015, ha ritenuto non applicabile l'art.80-bis d.l. n. 34/2020 secondo il quale tra gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, non deve ritenersi compreso il licenziamento, così negando la natura di norma d'interpretazione autentica alla suddetta disposizione. L'applicazione dell'art. 80-bis, infatti, escluderebbe che il recesso intimato dall'agenzia vada imputato all'utilizzatore. Il giudice ha evidenziato che la mera qualificazione formale di norma di interpretazione autentica è insufficiente, occorrendo che la disposizione intervenga a dirimere un'incertezza esegetica, determinatasi in ragione di contrasti giurisprudenziali emersi nell'applicazione della norma interpreta, o, comunque, ad imporre una scelta ermeneutica che rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato già ascrivibile. Il Tribunale ha dunque concluso che l'art. 80-bis, non avendo risolto alcun contratto ermeneutico né avendo attribuito al testo originario uno dei suoi possibili significati, ha una portata innovativa con conseguente applicazione solo pro futuro.
Il dato testuale dell'art. 38, infatti, non consentirebbe di attribuire, tra i vari significati, quello di escludere dagli atti imputabili all'utilizzatore il licenziamento, facendo esso riferimento a “tutti” gli atti di gestione di gestione del rapporto.
Accertata l'illegittimità del licenziamento per il radicale difetto di contestazione disciplinare, l'utilizzatore è stato condannato a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e a corrispondergli un'indennità risarcitoria. Osservazioni
In linea generale, una Legge di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso Legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge.
Presupposto essenziale per l'emanazione di una Legge di interpretazione autentica non può ritenersi anche la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale. È infatti ricorrente nella giurisprudenza costituzionale il principio secondo cui il Legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni, anche in mancanza dei suddetti contrasti, purché la scelta “imposta” dalla suddetta Legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario (ex plurimis, C. cost. n. 133/2020, n. 167/2018, n. 15/2018 e n. 525/2000).
I giudici delle Leggi sono giunti a riconoscere la legittimità dell'intervento interpretativo del Legislatore non solo in casi di incertezza normativa o di anfibologie giurisprudenziali, ma anche ove esso sia diretto a contrastare un orientamento esegetico (c.d. diritto vivente) non aderente alla “mens legis”, sempre che l'opzione ermeneutica prescelta rinvenga il proprio fondamento nel testo della norma interpretata. Così intesa l'incertezza normativa cui il Legislatore cercherebbe di far fronte mediante l'intervento esegetico potrebbe articolarsi nella diversa accezione “oggettiva” (contrasto giurisprudenziale) ovvero “soggettiva” (rimedio ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea politica voluta, C. cost. n. 234/2007, n. 39/2006; n.292/2003 e n. 374/2002).
Condizione indefettibile, pertanto, è che la disposizione interpretativa si saldi con quella interpretata. Il discrimen rispetto ad una Legge innovativa, alla luce della giurisprudenza costituzionale, consiste infatti nella mancanza di autonomia della nuova regola, essendo questa "una parte" di una norma già vigente. Dunque, a prescindere dalla qualificazione formale, è interpretativa la Legge che crea un rapporto tra norme - e non tra disposizioni - "tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venire meno la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano dando luogo ad un precetto normativo unitario" (Corte cost. n. 397/1994).
Nel caso di specie l'art. 80-bis si innesta su una disposizione, l'art. 38 Job's Act, cui testo, a partire dalla sentenza n. 17091 del 12 agosto 2016 della Cassazione (poi confermata da altre pronunce successive, ad es. la n. 2303/2018), è stato sostanzialmente “integrato”, aggiungendo anche il licenziamento tra gli atti di gestione compiuti dall'agenzia imputabili all'utilizzatore-datore reale.
Tuttavia, il terzo comma dell'art. 38, facendo espresso riferimento alla “costituzione del rapporto” ed alla “gestione” dello stesso, non consente di affermare in modo inconfutabile la inclusione nel perimetro applicativo della disposizione di un atto, quale quello di recesso datoriale, avente l'effetto di porre fine al rapporto stesso. Il termine gestione, infatti, sembrerebbe presuppore la sussistenza del contratto, anche tenuto conto dell'inciso “per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo”, sicché, diversamente opinando, verrebbe ad essere imputata all'utilizzatore anche di una determinazione “finale” in seguito alla quale il rapporto di lavoro viene meno.
Alla luce di quanto sopra non sembra possibile negare che l'art. 80-bis abbia fornito una interpretazione della disposizione suddetta potenzialmente aderente al testo originario.
Sotto il profilo della giustificazione, la Legge di interpretazione autentica non potrebbe considerarsi lesiva dei canoni costituzionali di ragionevolezza e dei principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche, ove essa si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario.
Relativamente all'art. 38, inoltre, l'imputazione all'utilizzatore anche del licenziamento comunicato dall'agenzia risulta incidere in modo sostanziale sulla posizione del lavoratore considerata, in particolare, l'attuale “eccezionalità” della tutela reale rispetto a quella indennitaria: il licenziamento ingiustificato, nell'ambito di una somministrazione irregolare, comporta la mera attribuzione di una indennità risarcitoria (salvo il difetto assoluto del fatto alla base del recesso – C. cost. n. 59/2021) e non la reintegrazione nel posto di lavoro e, dunque, l'effettiva prosecuzione del rapporto con l'utilizzatore, così de facto frustrando il fine perseguito dal ricorrente-lavoratore.
L'art. 80-bis, consentendo di qualificare il recesso dell'agenzia come giuridicamente inesistente in quanto “a non domino”, consentirebbe di assicurare l'effettività e la pienezza della tutela del lavoratore (art. 24 Cost.), senza tuttavia limitare il potere di recesso dell'utilizzatore-datore reale (art. 41 Cost), tenuto anche conto dell'operatività dell'art. 32, comma 4, d.lgs. n. 183/2010 sotto il profilo della certezza dei rapporti.
PER APPROFONDIRE: G. Falasca, Appalto o somministrazione illeciti doppio licenziamento per cautelarsi, in Quotidiano Lavoro, IlSole24ore, 6 agosto 2020; F. Avanzi, Somministrazione irregolare e licenziamento. Interpretazione autentica e questioni (ancora) in sospeso, Bollettino ADAPT 31 agosto 2020 n. 31; Corte costituzionale, Servizio Studi, Stage 2014, La Legge Di Interpretazione Autentica Tra Costituzione E Cedu, I Tomo, a cura di I. Rivera.
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