La riforma del processo tributario, tra obiettivi velleitari e consapevolezze dolorose

Andrea Carinci
26 Aprile 2021

La riforma tributaria sembrerebbe finalmente partita. Il condizionale è ancora d'obbligo, posto che si sa solamente che una commissione di esperti è stata insediata, che ha un termine per finire (30 giugno, prolungabile di un mese) e che sta calendarizzando le riunioni. È un po' poco, mancando ogni indicazione sulla missione da compiere. Peraltro, sono già partite le polemiche per talune esclusioni eccellenti.
Avvio della riforma tributaria

La riforma tributaria sembrerebbe finalmente partita.

Il condizionale è ancora d'obbligo, posto che si sa solamente che una commissione di esperti è stata insediata, che ha un termine per finire (30 giugno, prolungabile di un mese) e che sta calendarizzando le riunioni.

È un po' poco, mancando ogni indicazione sulla missione da compiere. Peraltro, sono già partite le polemiche per talune esclusioni eccellenti.

Resta il fatto che, ad ogni modo, si è partiti e questa resta una splendida notizia.

Che la riforma della giustizia tributaria costituisca, oggi, un passaggio non più procrastinabile, non sembra poter essere messo in dubbio; tanti hanno già scritto oramai sulla necessità di una simile riforma, che dovrebbe dare il giusto riconoscimento ad una giustizia la cui importanza (per volume e numeri) è indiscussa.

Il problema è che la riforma della giustizia tributaria appare complessa, presupponendo, alle scelte tecniche, il compimento di scelte politiche, su come impostarla e su dove intervenire.

Dire che la giustizia non funziona non significa praticamente nulla: dove non funziona e perché? Se manca consapevolezza su questo (e manca), è difficile immaginare un qualsiasi rimedio.

Rito tributario: è davvero un rito efficiente?

Ad esempio, a prima vista si potrebbe dire che non sembrano esserci ragioni per cambiare anche il rito, essendo diffusa l'opinione che il rito tributario sia un rito efficiente, che assicura una giustizia celere. Poi, però, ci si lamenta che non è ammessa la testimonianza: peccato che se si vuole inserire una fase istruttoria nel giudizio tributario, si rischia di comprometterne la celerità.

Sennonché, approfondendo la questione, ci si rende conto che dei dubbi sul rito si potrebbero porre: è ancora attuale un giudizio di impugnazione nel momento in cui si ammette la possibilità di contestare ogni pretesa, anche quando questa non viene formalizzata in un atto impositivo con requisiti di forma e sostanza tipizzati (come oramai riconosce la pacifica giurisprudenza di legittimità)?

È ancora giustificato escludere la tutela immediata avverso gli atti istruttori? È ancora giustificato un giudizio impugnatorio quando si consente al giudice di rimodulare la pretesa rispetto a quanto quantificato dall'Amministrazione finanziaria (secondo la soluzione dell'impugnazione merito)?

Probabilmente no; quindi, a rigore, anche una riflessione sul rito andrebbe fatta.

Riforma degli organi di giustizia

Vi è poi la questione, assai spinosa della riforma degli organi di giustizia.

L'opinione pressoché unanime è nel senso della professionalizzazione del giudice tributario. Il problema che le strade per ottenere un simile obiettivo appaiono molteplici.

Le soluzioni di volta in volta prospettate hanno infatti visto il coinvolgimento del giudice ordinario, di quello contabile oppure di quello amministrativo, ovvero l'introduzione di una giurisdizione professionale speciale e propria alla materia tributaria.

Anche in questo caso, le ragioni della scelta sono molteplici: vi sono ragioni finanziarie e di bilancio, ragioni di opportunità e ragioni operative, tutte da calibrare. Ciascuna delle opzioni predette ha, invero, pro e contro ed è una scelta politica, prima che tecnica, quella che occorre fare per selezionare la preferenza.

Vi sono, ovviamente, implicazioni anche tecniche.

Così, ad esempio, il coinvolgimento del giudice ordinario (ma lo stesso, per quello amministrativo e contabile) dovrebbe poi giustificare l'ammissione alla difesa tecnica anche per professioni diverse dagli avvocati, come accade attualmente. Sicché, per promuovere una simile opzione, a meno di voler prendere scelte di rara impopolarità, si dovrebbe arrivare ad ipotizzare una riserva per gli avvocati sulla base della materia e non per giurisdizione, difficile da giustificare e, soprattutto, da gestire. Vero è, però, che l'impiego di una delle giurisdizioni oggi esistenti avrebbe, probabilmente, una gestione migliore relativamente ad altri aspetti pratici; ad esempio, la professionalizzazione nella materia tributaria sarebbe, verosimilmente, più semplice, come anche la gestione dell'inserimento a ruolo dei nuovi giudici. La scelta di prevedere un giudice speciale ad hoc, da reclutare mediante concorso apposito, significa invece ipotizzare corsi e concorsi specifici, con un tirocinio tutto da inventare, con costi e tempi difficili da preventivare.

Sono questioni tecniche che, tuttavia, presuppongono scelte di tipo politico.

Vi è poi il problema di gestire il patrimonio rappresentato dall'esperienza maturata dagli attuali giudici tributari.

Una idea, che si è ipotizzata al riguardo, è quella di ‘trasformare' gli attuali giudici tributari nei giudici professionalizzati; probabilmente, questa rappresenta l'opzione ‘meno dolorosa'.

Sennonché, viene da domandarsi quanto, una simile opzione, sia in concreto praticabile.

Da un lato, bisognerebbe imporre agli attuali giudici togati di scegliere. Dall'altro, posto che per tutti gli altri un concorso andrebbe comunque fatto, bisognerebbe poi immaginare una preparazione a detto concorso, cosa, questa, che non appare affatto semplice: molti giudici, per molteplici ragioni (anche semplicemente il fatto che, per vivere, fanno altro), potrebbero non essere nelle condizioni di potersi preparare adeguatamente.

Verosimilmente, la soluzione più lineare appare quella di affidare agli attuali giudici tributari la funzione di gestire la procedura di reclamo e mediazione. Con un duplice effetto positivo: innanzitutto, si otterrebbe il risultato (dai più auspicato) di devolvere la gestione di tale procedura ad un soggetto terzo; dall'altro, l'esperienza maturata dai giudici tributari non sarebbe dispersa, ma potrebbe essere sfruttata affidando loro il ruolo di facilitatori di soluzioni in mediazione.

È una soluzione, questa, che appare preferibile all'altra, parimenti suggerita, di affidare agli attuali giudici il ruolo di giudice monocratico per le controversie bagatellari (sotto una certa soglia di valore). Primo, perché rimarrebbe aperto il problema di trovare a chi affidare la gestione delle procedure di reclamo e mediazione, sempre che si continui a volere che vengano affidate ad un soggetto terzo. Ma poi, e soprattutto, perché è l'idea stessa che le controversie di minor valore (ferma la difficoltà di intendersi sul tema, dato che, generalmente, si ‘dimenticano' le sanzioni) meritino un giudice diverso e non professionale rappresenta una petizione di principio, sovente smentita dai fatti: una controversia di valore contenuto non è necessariamente più facile.

La verità è che un giudice non professionale ha senso se gli si riconosce la possibilità di giudicare secondo equità e non secondo diritto; cosa, questa, difficilmente praticabile per la materia tributaria, notoriamente contrassegnata dalla riserva di legge.

L'equità, in questo senso, appare preferibile come criterio di facilitazione nel trovare una soluzione in mediazione, ispirata al buon senso; quindi, in una fase prima ed al di fuori del processo e non in quest'ultimo, ove bisogna imporre una soluzione alle parti in conflitto.

Il ruolo del giudice: il vero problema della giustizia tributaria

Rimane poi da risolvere il vero problema della giustizia tributaria, ossia su quale debba essere il ruolo del giudice.

Il tema è stato già accennato in precedenza, nel momento in cui si è ipotizzata l'opportunità di rivedere il processo, una volta preso atto delle forzature concettuali che la giurisprudenza impone oggi a fronte di un processo ingabbiato nella struttura impugnatoria.

Tradizionalmente, si contrappongono due letture circa l'oggetto del processo tributario e, così, il ruolo del giudice, nell'alternativa tra giudizio sul rapporto e giudizio sull'atto.

La giurisprudenza ha elaborato una soluzione di compromesso incentrata sulla cd. impugnazione merito.

Sennonché, questa è una soluzione di compromesso che, alla fine, scontenta tutti: da una parte, l'Amministrazione finanziaria, che si vede deresponsabilizzata e, per questa via, legittimata ‘a sparare alto', tanto poi c'è il giudice che può ‘riportare la pretesa sulla terra'; dall'altro, il contribuente, che deve predisporre una difesa globale, sia contro l'atto e contro la pretesa evincibile solo in potenza; ed infine il giudice, che spesso si trova nella difficoltà pratica di sostituirsi all'Agenzia nella misurazione della pretesa. Il quadro che ne esce è un quadro contorto, sovente privo di razionalità, che da spazio a soluzioni randomiche ed asistemiche.

Ecco allora che la prima cosa da rivedere, nel momento in cui si vuole mettere mano al processo tributario, è quella di precisare i termini in cui si deve muovere il processo stesso, in modo da chiarire il ruolo e funzione del giudice e delle parti: una volta risolto questo, le scelte su chi deve essere il giudice e sua quale procedura adottare, vengono di conseguenza.

La riforma del processo tributario si presenta come una sfida complessa, che involge scelte politiche difficili e sollecita la ricerca soluzioni tecniche non scontate. Per tale ragione, occorrere avere le idee chiare sulla direzione da intraprendere.

Il timore è che si cerchino scorciatoie.

Sennonché, non è possibile pensare alla riforma in termini di interventi mirati e chirurgici, tesi a risolvere singoli e specifici problemi, come ad esempio il peso dell'arretrato in Cassazione: è chiaro, infatti, che ogni misura pensata per fronteggiare siffatti problemi, non collocata quindi in una riflessione globale sul processo tributario, resterebbe una toppa, inidonea, come tale, a risolvere qualsivoglia problema, che verrebbe solo spostato per ripresentarsi, uguale, tra qualche anno.

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