L’enigma dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

26 Aprile 2021

L'opinione che l'ormai prossima data di entrata in vigore del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza debba essere (ulteriormente) differita è piuttosto diffusa. Si sostiene che i contenuti della riforma siano incompatibili con l'attuale fase di grave crisi economica conseguente alla pandemia. Si trascura, così, che la gran parte del codice contiene norme univocamente ispirate ad una revisione della disciplina della crisi d'impresa e del sovraindebitamento delle persone fisiche nella prospettiva di plasmare la gran parte degli istituti tenendo conto dell'esigenza di risanare l'impresa e di assicurare un recupero al consumo della persona sovraindebitata.

L'opinione che l'ormai prossima data di entrata in vigore del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza debba essere (ulteriormente) differita è piuttosto diffusa.

Si sostiene che i contenuti della riforma siano incompatibili con l'attuale fase di grave crisi economica conseguente alla pandemia.

Si trascura, così, che la gran parte del codice contiene norme univocamente ispirate ad una revisione della disciplina della crisi d'impresa e del sovraindebitamento delle persone fisiche nella prospettiva di plasmare la gran parte degli istituti tenendo conto dell'esigenza di risanare l'impresa e di assicurare un recupero al consumo della persona sovraindebitata.

A tale prospettiva si aggiunge quella di razionalizzare e velocizzare il procedimento di liquidazione dei patrimoni dei debitori che non abbiano alcuna possibilità di conservare l'operatività sul mercato della loro azienda o, quanto ai consumatori e ai professionisti, di pagare regolarmente i propri creditori.

Il primo obiettivo mira a preservare i livelli occupazionali, quelli della riscossione tributaria connessa all'impresa e, pensando ai soggetti sovraindebitati diversi dagli imprenditori e, più in generale, a tutti i beneficiari dell'esdebitazione, ad aprire il mercato anche a chi non ha più alcuna possibilità di pagare i propri creditori.

Il secondo punta a contribuire a riattivare il circuito dei pagamenti, a beneficio dei creditori del soggetto in liquidazione, tenendo conto che molti di essi sono a loro volta operatori economici, in quanto tali bisognosi di realizzare, per quanto parzialmente, i crediti vantati nei confronti del debitore insolvente.

Nella logica della riattivazione del circuito dei pagamenti va considerato, ad esempio, quanto previsto dall'articolo 220 del codice, che obbliga il curatore della liquidazione giudiziale ad eseguire riparti parziali ai creditori sol che l'entità delle giacenze, in rapporto al totale dei crediti da soddisfare, lo consenta, con la previsione specifica che il mancato rispetto di tale obbligo integri giusta causa di revoca del curatore.

Nell'attesa dell'inevitabile forte incremento dei fallimenti, al momento scongiurato da una sorta di “bolla” assicurata dagli ammortizzatori sociali, dal blocco dei licenziamenti, dalle moratorie concesse dagli istituti finanziari e dai fornitori per la “consapevolezza” del momento, poter contare su una normativa fortemente incentivante le forme di definizione della crisi e dell'insolvenza alternative alla liquidazione non può che giovare al sistema economico.

Basti pensare agli accordi di ristrutturazione agevolati, a quelli ad efficacia estesa, alla nuova disciplina della convenzione di moratoria, alla nuova regolamentazione della prededuzione dei crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo o di quella di omologazione degli accordi di ristrutturazione (diretta a contenere i costi a carico del debitore).

Ancora più importante è che il codice risolva, una volta per tutte, numerose divergenze giurisprudenziali, così contribuendo a quella “prevedibilità delle decisioni” che agevola il compito degli imprenditori e dei loro professionisti, quando la crisi rende necessario l'intervento dell'organo giurisdizionale.

La stessa disciplina del procedimento unitario, che è considerata una novità dirompente, lo è a torto, poiché non fa altro che recepire le prassi adottate dei tribunali in stretta attuazione dei principi dettati dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione per i casi di compresenza di una procedura prefallimentare e di altra intesa ad evitare la liquidazione.

Essa non può quindi che agevolare la definizione della crisi con forme alternative a quella meramente liquidatoria.

Va infine considerato che il codice contiene numerose norme già in vigore, per effetto di interventi normativi anticipatori adottati di recente, con formulazioni non sempre coincidenti con quelle del codice e che per questa ragione ingenerano incertezze interpretative.

Basti richiamare la l. 27 novembre 2020, n. 159, che ha aggiunto al comma 4 dell'articolo 180 l.fall. un periodo la cui formulazione letterale, diversa da quella, inequivoca, di cui all'articolo 48, comma quinto del codice, induce il dubbio che la norma che consente al tribunale di omologare il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti di gestione di forme di previdenza o assistenza obbligatorie non si applichi nei casi in cui i predetti creditori abbiano espresso un voto negativo.

In questo quadro, che orienta ampiamente per l'inopportunità di un ulteriore rinvio dell'entrata in vigore del codice, non si ignora la delicatezza del tema delle misure di allerta e dei procedimenti di composizione assistita della crisi ad esse collegati.

E' lampante come sul punto si ponga, obiettivamente, un problema di compatibilità della nuova disciplina con la attuale, complessa, situazione.

Si tratta tuttavia di un problema non risolvibile con la sospensione dell'efficacia di entrambi gli istituti in discorso, che sono in varia misura connessi con altre norme del codice che, come detto, non v'è alcuna ragione di differire.

La soluzione passa quindi per una sospensione dell'efficacia dell'allerta cd. esterna, cioè quella ad iniziativa dei creditori istituzionali, nonché dell'allerta riconducibile agli organi di controllo dell'imprenditore in crisi (artt. 14 e 15) e per il mantenimento della sola operatività degli strumenti di composizione assistita della crisi, nell'unico caso in cui sia il debitore a chiedere, sua sponte, l'intervento degli OCRI.

Ciò permetterebbe di realizzare diversi obiettivi, tutti virtuosi: l'entrata in vigore al 1° settembre 2021 del codice, il differimento dell'efficacia di un sistema, quello dei segnali di allerta, obiettivamente non conciliabile con l'attuale congiuntura economica, una partenza dell'operatività degli OCRI e delle procedure di composizione assistita della crisi con numeri assai ridotti rispetto a quanto atteso ove fossero operative le segnalazioni previste dagli artt. 14 e 15 (una stima di massima le quantificava, prima del fenomeno pandemico, in un numero di quindicimila circa all'anno).

Ma proprio una partenza del funzionamento degli organi costituendi presso le camere di commercio con numeri ridotti sembra poter assicurare il miglior rodaggio dell'istituto e del ruolo che i componenti degli OCRI sono chiamati a svolgere.

Sarebbe poi del tutto improprio sottrarre all'imprenditore la possibilità di avvalersi dell'ausilio degli OCRI e dell'opportunità del procedimento di composizione della crisi che, non soltanto sospende la definizione di un'eventuale ricorso diretto ad ottenere l'apertura della liquidazione giudiziale, nell'attesa di una possibile soluzione alternativa, anche soltanto stragiudiziale (art. 19, comma 4-bis), ma assicurano all'imprenditore che abbia chiesto l'intervento dell'organo di mediazione una serie di opportunità che vanno tutte nella prospettiva dell'ausilio ad una definizione della crisi con modalità alternative a quelle liquidatorie.

Si allude anzitutto alla possibilità di fruire di misure protettive del proprio patrimonio in un momento anticipato, rispetto a quello riconducibile al deposito di un ricorso diretto ad ottenere l'accesso ad una procedura di regolazione della crisi concordataria o negoziale (art. 20, comma 1); ai benefici fiscali riconosciuti quando l'accordo stragiudiziale raggiunto in sede di procedura di composizione viene pubblicato, su richiesta del debitore e con il consenso dei creditori interessati, nel registro delle imprese (art. 19, comma 4); alla possibilità di chiedere al giudice competente e di ottenere la sospensione della operatività della normativa civilistica per il caso di riduzione del capitale sociale di oltre un terzo in conseguenza di perdite o di riduzione del capitale sociale stesso al di sotto del limite legale (art. 20, comma 4); infine alla possibilità di fruire dell'esdebitazione decorsi due anni, e non tre, dall'apertura della procedura di liquidazione (art. 279, comma 2).

Ben vengano, infine, ulteriori possibili interventi normativi di carattere emergenziale, che rafforzino la tutela dell'interesse collettivo al salvataggio dell'impresa in una fase, quale quella che stiamo vivendo, tanto complicata.

Ma l'auspicio è che tali interventi si sovrappongano, e non si sostituiscano, all'entrata in vigore di un complesso normativo, il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, del tutto coerente sia con le esigenze dell'imprenditore in difficoltà o insolvente sia con i principi del diritto unionale sui quadri di ristrutturazione.

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