Violazione del termine per la notifica del decreto cautelare

28 Aprile 2021

Il presente contributo si soffermerà sulla peculiare ipotesi inerente alla violazione da parte del giudice del termine (espressamente qualificato) perentorio di otto giorni stabilito dal secondo comma dell'art. 669-sexies c.p.c.
Può il giudice assegnare un termine (qualificato espressamente dalla legge) perentorio oltre i limiti minimi e/o massimi stabiliti della legge?

Come noto, il termine perentorio (per cui si rinvia a https://ilprocessocivile.it/bussola/termine-perentorio) è quel termine, previsto espressamente dalla legge, il cui decorso comporta ipso iure la decadenza dal potere di compiere l'atto.

Ai sensi dell'art. 153 c.p.c.i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti. Inoltre, ai sensi dell'art. 153 c.p.c., la parte che dimostri di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini (in tal caso il giudice provvede a norma dell'art. 294, commi 2 e 3, c.p.c.). Quid iuris nel caso in cui la norma preveda un termine perentorio e il giudice assegni un termine maggiore (o minore) rispetto a quello massimo (e/o minimo) previsto dalla norma di legge?

A tal riguardo Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2019, n. 11204, seppure con riferimento all'assegnazione del termine perentorio da parte del giudice per la riassunzione del processo, ha affermato che nel caso in cui la legge attribuisca al giudice il potere discrezionale di assegnare alle parti un termine perentorio per il compimento di un atto processuale a pena di estinzione del processo, tale potere deve rispettare i limiti, minimi e massimi, fissati dalla norma generale in materia (nel caso di specie, l'art. 307, comma 3, c.p.c.). La Suprema Corte ha, inoltre, aggiunto che nel caso in cui il giudice non rispetti tali vincoli il provvedimento deve considerarsi tamquam non esset, con la conseguenza per cui troverà applicazione sussidiaria il termine perentorio previsto dalla norma di legge invocata.

La Suprema Corte ritiene altresì che l'invalidità del provvedimento non attenga a vizi inerenti alla struttura formale del provvedimento, ma viene a risolversi in un vizio di invalidità di natura sostanziale, insanabile in quanto in ogni caso lesivo del diritto di una delle parti processuali. Peraltro - ritiene la Corte di legittimità - la nullità del provvedimento che assegna termini difformi da quelli legali comunica la propria invalidità anche agli atti processuali successivamente compiuti che da esso derivano (art. 159 c.p.c.).

In conclusione per la Corte di legittimità «I poteri discrezionali attributi al Giudice nella direzione e svolgimento della attività processuale debbono rispondere allo schema normativo legale che li autorizza. Se la norma attributiva del potere prevede condizioni e limiti di esercizio, il provvedimento del Giudice che ecceda o comunque non rispetti tali condizioni o limiti è affetto da vizio di invalidità».

Così delineate le coordinate generali della tematica, si può passare ad esaminare la tematica specifica relativa all'eventuale violazione del termine perentorio di otto giorni di cui all'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., in cui, come anticipato, assume rilievo la questione inerente alla sorte del decreto cautelare emesso inaudita altera parte. In relazione a tale questione, in assenza di una pronuncia da parte dei Giudici di legittimità, si registrano diversi orientamenti della giurisprudenza di merito.

Il termine di otto giorni di cui al secondo comma dell'art. 669-sexies c.p.c.

Il 2 comma dell' art. 669-sexies c.p.c. ammette la possibilità che il giudice possa provvedere inaudita altera parte con decreto motivato nell'ipotesi in cui la convocazione della parte potrebbe «pregiudicare l'attuazione del provvedimento».

Il contraddittorio viene garantito dalla previsione che il giudice con lo stesso decreto fissa l'udienza per la comparizione delle parti dinanzi a se stesso, entro un termine non superiore a quindici giorni.

Tuttavia, la norma prevede che l'istante dovrà provvedere entro un termine (espressamente definito perentorio) non superiore a otto giorni alla notifica alla controparte del ricorso e del decreto del giudice.

Cosa accade, quindi, se il giudice assegni alla parte un termine maggiore per la notificazione, superiore al termine - espressamente definito dalla legge come perentorio – di otto giorni previsto dalla norma?

Le conseguenze della violazione del termine perentorio di otto giorni: primo orientamento (prevalente) – inefficacia del decreto emesso inaudita altera parte

Tale orientamento giurisprudenziale (di merito) e dottrinario appare essere prevalente.

Secondo tale orientamento il termine perentorio di otto giorni previsto dall'art. 669-sexies comma 2 c.p.c. (avente natura di norma di ordine pubblico processuale) si sostituisce automaticamente all'eventuale diverso termine (erroneamente) indicato dal Giudice, con la conseguenza che la notifica effettuata entro l'eventuale termine più lungo indicato dal Giudice ma oltre il termine perentorio di otto giorni previsto dal c.p.c. rende il decreto precedentemente emesso inaudita altera parte irrimediabilmente inefficace ex tunc, con estinzione del procedimento cautelare («essendo la parte irrimediabilmente decaduta dal compimento dell'atto, il procedimento cautelare nel cui ambito è stata emanata la misura si è estinto allo spirare dell'ottavo giorno», Trib. Roma, 29 novembre 2002) e l'eventuale ordinanza resa a contraddittorio instaurato (con la quale il Giudice abbia in ipotesi confermato modificato o revocato il provvedimento emesso inaudita altera parte) sarebbe anch'essa inefficace.

Si confrontino a tal riguardo le seguenti pronunce di merito:

- Trib. Napoli, III, 5 dicembre 2019: «È illegittima l'ordinanza che conferma il decreto cautelare emesso inaudita altera parte e notificato oltre il termine di otto giorni previsto dall'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., anche ove sia stato rispettato il termine superiore erroneamente indicato dal giudice»;

- Trib. Teramo, 16 giugno 2010, n. 227: «è indiscutibile, ed indiscusso in giurisprudenza (su tutte Trib. Napoli 20. febbraio 2001 e Trib. Salerno 2 giugno 2000 su JD cit.) che all'omessa notifica del ricorso e del decreto nel termine perentorio comunque indicato dalla disposizione codicistica segua l'inefficacia ex tunc del decreto stesso […] Non avendo il ricorrente agito nel rispetto di quella perentoria disposizione codicistica, per così dire già «autoapplicabile», cioè applicabile anche laddove il giudice non abbia in tal senso provveduto, il provvedimento del 13.6.2008 è da ritenersi che abbia perso ogni efficacia con decorrenza ex tunc»;

- Trib. Genova, 25 maggio 2010: «il termine di otto giorni per la notifica del provvedimento, reso inaudita alterna parte, è tassativamente previsto al fine, di ordine pubblico processuale, di impedire un prolungato «possesso privato» di un'autorizzazione al sequestro ottenuta con riferimento ad una ben precisa situazione contingente, che il decorso del tempo ben potrebbe modificare. Come tale il termine non è derogabile da parte del giudice, continuando ad incombere alla parte l'onere di rispettarlo, anche se apparentemente derogato. La notifica effettuata oltre il termine determina l'inefficacia del decreto e tale inefficacia si estende all'ordinanza resa a seguito dell'udienza contraddittoria ove, con essa, il giudice abbia confermato, modificato o revocato il provvedimento reso inaudita altera parte»;

- Trib. Genova, 25 maggio 2010: «il termine di otto giorni per la notifica del provvedimento, reso inaudita alterna parte, sia tassativamente previsto al fine, di ordine pubblico processuale, di impedire un prolungato «possesso privato» di un'autorizzazione al sequestro ottenuta con riferimento ad una ben precisa situazione contingente, che il decorso del tempo ben potrebbe modificare. Come tale il termine non sarebbe derogabile da parte del giudice, continuando ad incombere alla parte l'onere di rispettarlo, anche se apparentemente derogato. La sanzione per la notifica oltre gli otto giorni, ipotesi verificatasi nel caso, posto che la notifica risulta del giorno 10, sarebbe l'inefficacia del decreto e tale inefficacia, si estenderebbe all'ordinanza resa a seguito dell'udienza contraddittoria ove, con essa, il giudice abbia confermato modificato o revocato il provvedimento reso inaudita altera parte»;

- Trib. Roma, 29 novembre 2002: «[…] Ad avviso di questo Collegio, l'inosservanza del termine perentorio comporta che non è stata ritualmente incardinata la seconda fase del giudizio cautelare. E, per l'art. 153 c.p.c. i termini perentori non si possono abbreviare o prorogare, nemmeno su accordo delle parti. Ne consegue che, essendo la parte irrimediabilmente decaduta dal compimento dell'atto, il procedimento cautelare nel cui ambito è stata emanata la misura si è estinto allo spirare dell'ottavo giorno. Ogni interpretazione tendente a negare effetti alla perentorietà indicata dalla legge ovvero a consentire al giudice la indicazione di un termine diverso urta contro il chiaro tenore della legge […] Correttamente il primo giudice ha emesso declaratoria di inefficacia del provvedimento cautelare […]».

- Trib. Trento, 5 novembre 2007:«naturalmente il provvedimento cautelare concesso con decreto resta pienamente efficace nella distinta ipotesi in cui, a fronte dell'indicazione da parte del giudice di un termine superiore ad otto giorni per la notifica dello stesso, la parte beneficiaria provveda comunque alla notifica entro il termine di otto giorni previsto dall'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c.».

- Trib. Milano, 25 febbraio 1998: «Il termine di cui all'art. 669-sexies c.p.c. per la notifica del decreto, col quale è stata concessa "inaudita altera parte" la misura cautelare, ha carattere perentorio e la mancata osservanza, da equipararsi all'omessa notifica, comporta l'inefficacia del provvedimento»;

- Trib. Firenze, 20 dicembre 1995:«Il decreto concesso inaudita altera parte ai sensi del comma 2 dell'art. 669-sexies c.p.c., deve essere notificato, insieme al ricorso, nel termine perentorio di otto giorni, come previsto dal citato articolo; qualora ciò non avvenga, ne discende non solo l'inefficacia del decreto stesso, ma anche dell'ordinanza che lo ha confermato».

- Trib. Milano, 2 febbraio 1997: «Il termine di cui all'art. 669-sexies c.p.c. per la notifica del decreto, con il quale è stata concessa inaudita altera parte la misura cautelare, ha carattere perentorio e la mancata osservanza da equipararsi all'omessa notifica, comporta l'inefficacia del provvedimento. Alle ipotesi di inefficacia del provvedimento cautelare, elencate non tassativamente dall'art. 669-novies c.p.c., va ricollegata la mancata o tardiva notifica del decreto emesso inaudita altera parte ex art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., e la dichiarazione dell'inefficacia – in sede di reclamo avverso la successiva ordinanza – assorbe ogni altro rilievo sul merito».

In dottrina si evidenzia:

- «nell'ipotesi in cui il giudice adito emetta provvedimento cautelare inaudita altera parte, concedendo un termine per la notifica superiore a otto giorni, e la notifica avvenga oltre tale termine, seppure entro quello fissato dal giudice, il provvedimento deve essere dichiarato inefficace […] l'omessa notifica del ricorso e del decreto cautelare nel termine perentorio di otto giorni dall'emanazione indicato dall'art. 669-sexies c.p.c., determina l'inefficacia ex tunc del decreto stesso, anche nell'ipotesi in cui il giudice non abbia indicato tale termine, poiché è in ogni caso onere della parte, anche in caso di dimenticanza del giudice, non tanto di chiedere la fissazione dell'udienza di verifica del decreto, ma soprattutto di procedere comunque alla notifica del ricorso e del decreto entro il termine perentorio che il codice stabilisce»(Scarpa A. e Giordano R., I procedimenti cautelari, Wolters Kluwer Cedam, Milano, 2015, nota 101).

- «Nell'ipotesi in cui il Giudice adito emetta provvedimento cautelare (nella specie, sequestro) inaudita altera parte, concedendo un termine per la notifica superiore a otto giorni, e la notifica avvenga oltre tale termine, seppure entro quello fissato dal Giudice, il provvedimento deve essere dichiarato inefficace» (Consolo C. e Mariconda V., Processo civile. Formulario commentato. I procedimenti speciali. Libro IV, IPSOA, Milano, 2007, p. 349).

- «Nell'ipotesi in cui il Giudice adito emetta provvedimento cautelare (nella specie, sequestro) inaudita altera parte, concedendo un termine per la notifica superiore a otto giorni, e la notifica avvenga oltre tale termine, seppure entro quello fissato dal Giudice, il provvedimento deve essere dichiarato inefficace» (Di Marzio M. e Matteini Chiari S., Comunicazioni e notificazioni nel processo civile, Giuffrè, Milano, 2008, p. 1084).

Le conseguenze della violazione del termine perentorio di otto giorni: secondo orientamento (minoritario) – nullità sanabile

Un orientamento giurisprudenziale di merito minoritario, invece, ritiene che l'effettuazione della notifica oltre il termine perentorio di otto giorni di cui all'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c. determini una mera nullità per violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c., con la conseguenza che il decreto cautelare emesso inaudita altera parte non perde la sua efficacia.

In effetti secondo Trib. Salerno, 2 febbraio 1994 «[…] Deve, tuttavia, tenersi presente il principio generale della sanatoria degli atti nulli per raggiungimento dello scopo, codificato dall'art. 156 c.p.c. Il termine di otto giorni, stabilito per la notifica del decreto, è volto ad assicurare una pronta e sollecita instaurazione del contraddittorio, in considerazione dei pregiudizi che il sequestro determina a carico della parte che ne è colpita.

Deve, dunque, ritenersi che la notificazione del ricorso e del decreto in ipotesi nulla, perché eseguita oltre il termine di otto giorni, possa dirsi sanata per effetto della costituzione del resistente che - come avvenuto nel caso di specie- svolga compiutamente le proprie difese, eventualmente godendo di un termine ad hoc, prima che il giudice decida se confermare con ordinanza il decreto».

In tal senso si è espressa anche una recente pronuncia del Trib. Como, 10 maggio 2011, la quale afferma che «Nell'ipotesi di notifica del decreto cautelare oltre il termine di otto giorni previsto dall'art. 669-sexies c.p.c. la costituzione della parte resistente nel giudizio cautelare sana per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. il vizio della notifica e, di conseguenza, il provvedimento cautelare non perde efficacia».

Tale impostazione è stata altresì condivisa da una recentissima pronuncia del Tribunale di Chieti, che con l'ordinanza del 9/10 settembre 2020, dopo aver dichiarato di aderire all'impostazione di cui alle pronunce del Tribunale di Como e del Tribunale di Salerno, afferma che «[…] Tale impostazione è, peraltro coerente con la sistematica processuale che, in virtù del principio di conservazione degli atti giuridici, riconnette alla violazione di un termine processuale perentorio la sanzione della nullità (ad esempio in punto di violazione dei termini a comparire ex art. 163-bis e 164 c.p.c.; in punto di contumacia del convenuto ai sensi dell'art. 291 c.p.c.) […]».

Anche altra giurisprudenza di merito aderisce a tale orientamento.

In particolare:

- Trib. Salerno, 2 giugno 2000: «il decreto cautelarepronunciato inaudita altera parte è nullo per violazione del principio del contraddittorio, ex art. 101 c.p.c., quando non viene notificato e/o comunicato alla controparte e quando il giudice rigetta la richiesta di sequestro conservativo senza sentire l'altra parte, contrastando così con il disposto di cui al comma 2 dell'art. 669-sexies c.p.c.»;

- Trib. Casale Monferrato, 10 maggio 1996: «è' pienamente efficace il provvedimento cautelare di cui all'art. 700 c.p.c., notificato senza rispettare il termine di otto giorni ex art. 669-sexies c.p.c. qualora, il giudice abbia fissato un termine per la comparizione delle parti oltre i quindici giorni»;

- Trib. Salerno, 2 febbraio 1994: «l'art. 669-sexies c.p.c. nel prevedere la notifica del ricorso e del decreto di concessione del provvedimento di urgenza concesso inaudita altera parte nel termine perentorio di otto giorni tende ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio il quale non si sottrae alla regola della sanatoria degli atti nulli per raggiungimento dello scopo. Pertanto, la notifica del solo decreto è sufficiente laddove lo stesso risulti ampiamente motivato, anche con riferimento al contenuto del ricorso, ed ove all'udienza di comparizione il resistente abbia avuto modo di esaminare gli atti e documenti di controparte».

Trib. Bologna, II, 8 ottobre 2010: «il termine fissato dal Giudice per la comparizione delle parti successiva alla concessione di un provvedimento cautelare inaudita altera parte non è perentorio, atteso che tutti i termini posti al giudice per l'assunzione dei provvedimenti o per la fissazione delle udienze o incombenti hanno natura ordinatoria (nella specie l'eccezione sollevata dalla parte quanto al decreto inaudita altera per essere stato notificato oltre i giorni otto previsti dall'art. 669-sexies c.p.c., deve ritenersi superata dall'assunzione della misura del sequestro conservativo, dovendo aversi riguardo alla sola misura conclusiva dell'incidente cautelare introdotto e non alla misura interinale allo stesso propedeutica)».

In conclusione

Come visto il termine di cui all'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c. è espressamente qualificato perentorio.

Sulla tematica generale dell'improrogabilità dei termini perentori la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «la regola della improrogabilità dei termini perentori rientra tra i principi di «ordine pubblico processuale», rispondendo ad esigenze di economia processuale tese al rapido svolgimento del processo» (Cass. civ., 29 novembre 2004, n. 2241; conforme Cass. civ., 26 febbraio 1991, n. 2756; Cass. civ., 18 giugno 1996, n. 5572) e che«L'inosservanza del termine è rilevabile d'ufficio dal giudice, a prescindere dal comportamento della controparte, che in ipotesi si sia costituita in giudizio, nonostante la notificazione dell'atto oltre il termine, senza eccepire alcunché, tenuto conto che la possibilità di sanatoria a seguito di acquiescenza è ammissibile soltanto con riferimento alla forma degli atti processuali, e non anche relativamente all'osservanza dei termini perentori» (Cass. civ., 30 gennaio 2004, n. 1771).

Inoltre, èfin troppo evidente la ratio sottesa alla perentorietà del termine di otto giorni di cui all'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c. (pacificamente costituente una norma di ordine pubblico processuale), non potendosi per alcuna ragione consentire che una misura così forte come è la tutela cautelare concessa inaudita altera parte possa permanere, all'insaputa del resistente e senza il minimo contraddittorio, per un termine più lungo di otto giorni (come ben spiegato dalla giurisprudenza di merito su richiamata: «detta disposizione costituisce estrinsecazione della necessità di ristabilire immediatamente, in ossequio al principio sancito dall'art. 101 c.p.c., l'integrità del contraddittorio, cui è consentito, nell'ottica di un equilibrato bilanciamento degli interessi in conflitto, apportare deroghe unicamente per tutelare bisogni di peculiare urgenza e per il tempo strettamente necessario allo scopo», Trib. Napoli, 20 febbraio 2001; inoltre «il termine di otto giorni per la notifica del provvedimento, reso inaudita altera parte, è tassativamente previsto al fine, di ordine pubblico processuale, di impedire un prolungato 'possesso privato' di un provvedimento cautelare ottenuto con riferimento ad una ben precisa situazione contingente, che il decorso del tempo ben potrebbe modificare» Trib. Genova, 25 maggio 2010).

Come è noto, ai sensi dell'art. 153, comma 1, c.p.c. «i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti». Di conseguenza, a sommesso parere di chi scrive, il termine perentorio di otto giorni (ex art. 669-sexies comma 2 c.p.c., per la notifica del ricorso e del decreto) non può essere in alcun modo prorogato, per nessun motivo, neanche dal Giudice.

Non può essere condivisa l'impostazione minoritaria che ritiene che la violazione del termine perentorio di otto giorni determini una mera nullità sanabile con la costituzione del resistente atteso che la previsione normativa espressa di un termine perentorio (peraltro, si rammenta, nell'ipotesi di emissione di un provvedimento cautelare in assenza di contraddittorio) risponde sia alle esigenze e ai tempi tecnici di esercizio del diritto di difesa, sia dell'attuazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost., il quale si coniuga con l'effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. e con l'efficienza della funzione giudiziaria ex artt. 97 e 101 Cost..

Peraltro da Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2019, n. 11204 si può estrapolare il principio per cuil'invalidità del provvedimento che assegna un termine superiore a quello massimo previsto ex lege non attiene a vizi inerenti alla struttura formale del provvedimento (invalidità in quanto tale irrilevante se non comminata espressamente dalla legge ex art. 156, comma 1, c.p.c. e sanabile in ogni caso laddove sia stato comunque raggiunto lo scopo cui l'atto processuale è diretto ex art. 156, comma 3, c.p.c.), ma, incidendo invece direttamente sull'esercizio del potere quale misura della competenza correlata all'effettività del diritto difesa della parte, viene a risolversi in un vizio di invalidità di natura sostanziale, insanabile in quanto in ogni caso lesivo del diritto di una delle parti processuali.

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