Sospensione per causa esterna dell'esecuzione e riduzione del pignoramento

Anna Maria Crescenzi
29 Aprile 2021

In pendenza della sospensione, assunta ai sensi dell'art. 623 c.p.c. per la sopravvenuta sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo azionato, il processo esecutivo è «congelato» in attesa della definizione del giudizio sul titolo stesso e, pertanto, è preclusa l'adozione del provvedimento di riduzione del pignoramento.
Massima

In pendenza della sospensione, assunta ai sensi dell'art. 623 c.p.c. per la sopravvenuta sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo azionato, il processo esecutivo è «congelato» in attesa della definizione del giudizio sul titolo stesso e, pertanto, è preclusa l'adozione del provvedimento di riduzione del pignoramento.

Posto che il giudice dell'esecuzione conserva il potere di revocare i propri provvedimenti, tale potere non è affatto doveroso soprattutto ove i motivi addotti dal richiedente siano immutati rispetto a quelli già svolti in precedenti opposizioni all'esecuzione ovvero agli atti esecutivi.

Il provvedimento di liquidazione delle spese della fase sommaria dell'opposizione esecutiva può essere messo in discussione esclusivamente nell'ambito del giudizio di merito dell'opposizione stessa.

Il caso

In sede di procedimento per l'adozione del provvedimento di riduzione di un pignoramento presso terzi il debitore riproponeva i medesimi motivi svolti in due precedenti opposizioni all'esecuzione e agli atti (oltre che nell'opposizione e decreto ingiuntivo). In particolare, in una prima opposizione il debitore eccepiva l'inesistenza del p.p.t. per la sopravvenuta sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo e chiedeva la riduzione del pignoramento e la liberazione delle somme. Tale impugnazione veniva rigettata in quanto: il titolo era esistente, quindi valido ed efficace, all'epoca della notificazione del p.p.t.; il g.e. non poteva che prendere atto dell'avvenuta sospensione esterna e sospendere il processo esecutivo ai sensi dell'art. 623 c.p.c.; la riduzione veniva accolta, ma nei limiti dell'avvenuta rinuncia parziale da parte del creditore.

Il provvedimento indicato veniva opposto ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. da parte del debitore che, sempre sulla scorta delle medesime motivazioni, ne chiedeva la sospensione ovvero la revoca. Anche tale opposizione veniva rigettata in quanto, una volta intervenuta la sospensione, il processo esecutivo resta «congelato».

La questione

Il Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli nord ha rigettato l'istanza sulla scorta del costante orientamento di dottrina e giurisprudenza.

Inoltre, conformandosi alle motivazioni dell'ordinanza di rigetto di una delle opposizioni proposte dal debitore (del 12 luglio 2019), si è soffermato a speculare in merito ai mezzi di impugnazione dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione, nonché del potere officioso dello stesso e della sede in cui è ridiscutibile la condanna alle spese della fase sommaria dell'opposizione esecutiva.

Le soluzioni giuridiche

L'adozione del provvedimento di riduzione del pignoramento è preclusa considerato che, in pendenza della sospensione esterna, il processo esecutivo resta immobilizzato in attesa della definizione del giudizio di merito su titolo azionato.

Inoltre, dall'ampia ed articolata motivazione del provvedimento in esame, possono cogliersi interessanti argomentazioni relativamente a temi quali: il mezzo di impugnazione dell'ordinanza di sospensione ex art. 623 c.p.c. (reclamo al collegio ovvero opposizione agli atti esecutivi); il carattere del rigetto dell'istanza di riduzione consistente in una mera reiezione conseguita alla sospensione dell'efficacia esecutiva del d.i. poiché la valutazione della riducibilità era impedita dalla pendenza del giudizio di merito sulla debenza e sull'ammontare delle somme ingiunte; il potere di revoca del g.e. da non potersi intendere doveroso, attesa la riproposizione di motivi già esaminati (e ritenuti infondati).

Osservazioni

«Su istanza del debitore o anche di ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all'importo delle spese e dei crediti di cui all'articolo precedente, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento».

L'art. 496 c.p.c. introduce un istituto di grande rilievo. Stiamo parlando della riduzione del pignoramento che consente al debitore di chiedere la riduzione di quanto gli sia stato pignorato, quando esso risulti sproporzionato rispetto al credito preteso dal creditore procedente. La norma, difatti, costituisce uno strumento di salvaguardia per il debitore esecutato, volta ad evitare eccessi nell'uso dell'espropriazione forzata. Al comma 2 della citata disposizione è stata introdotta una norma speciale che disciplina le modalità per procedere alla riduzione in caso di pignoramento presso terzi.

A ben vedere, vengono fornite indicazioni solo per le ipotesi in cui il pignoramento venga eseguito presso più terzi. E, difatti, considerato l'obbligo previsto dall'art. 546 c.p.c. che impone al debitor debitoris di custodire esclusivamente le somme pari all'importo dell'atto di precetto aumentate della metà, il pignoramento eseguito presso un solo terzo è inefficace, di per sé, per l'eccedenza.

L'istanza contenente la richiesta di riduzione (proponibile in ogni momento sino alla vendita) non ha nulla a che vedere con il ricorso che introduce l'opposizione con la quale il debitore contesti il diritto del creditore a procedere esecutivamente ovvero la regolarità formale degli atti esecutivi. Ne deriva che, qualora la richiesta ai sensi dell'art. 496 c.p.c. venga avanzata nell'ambito di un ricorso svolto ai sensi degli artt. 615 o 617 c.p.c., deve essere dichiarata inammissibile.

Le motivazioni addotte dal Giudice di Napoli Nord si allineano, come anticipato, ad un indirizzo ormai prevalente in dottrina ed in giurisprudenza che individua, nella discrezionalità con cui il g.e. può decidere la possibilità di un suo intervento officioso, la motivazione che induce a ritenere il rimedio della riduzione (come tutti quelli previsti contro l'eccesso dell'espropriazione forzata) estraneo alle opposizioni esecutive (cfr. Cass. civ., 16 gennaio 2006, n. 702).

Il provvedimento di accoglimento o di rigetto dell'istanza di riduzione, pur avendo un effetto analogo all'estinzione parziale della procedura esecutiva, non sono reclamabili ai sensi dell'art. 630 c.p.c., ma esclusivamente impugnabili ai sensi dell'art. 617 c.p.c.. Naturalmente, come detto, detto provvedimento è sempre revocabile ovvero modificabile (sino all'attuazione, in caso di accoglimento) dal g.e. (cfr. Cass. civ., 15 ottobre 2010, n. 21325).

L'esercizio del potere officioso non è, però, doveroso, specialmente quando i motivi svolti dal debitore siano esattamente sovrapponibili a quelli dedotti in precedenti opposizioni all'esecuzione ovvero agli atti esecutivi, già esaminate e rigettate.

E' utile, inoltre, esaminare alcune delle questioni relative alle vicende del titolo esecutivo ed ai conseguenti effetti, per come affrontate dal Giudice del Tribunale di Napoli Nord nella motivazione del provvedimento in esame.

Senza dubbio, il titolo deve sussistere nel momento della minaccia dell'azione esecutiva (precetto), così come al momento dell'avvio e per tutta la durata del processo esecutivo. Tuttavia, un titolo esecutivo, pur venuto regolarmente ad esistenza, può non essere più idoneo perché caducato ovvero trasformato per vicende sopravvenute, sia in epoca precedente l'introduzione della procedura esecutiva che in epoca successiva.

La caducazione del titolo avvenuta prima dell'inizio dell'esecuzione ovvero nel corso della stessa comporta l'inefficacia del pignoramento e di tutti gli atti compiuti (perché la legittimità degli stessi è legata alla validità ed efficacia del titolo) ed è denunciabile con l'opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. nonché rilevabile d'ufficio dal Giudice (a tanto anche sollecitato dal debitore).

Mentre la mancanza originaria o sopravvenuta del titolo incide irreversibilmente sullo svolgimento o proseguibilità del processo esecutivo, l'esecuzione resta indifferente alla mera trasformazione del titolo: l'eventuale sospensione dell'efficacia del titolo (totale o parziale) ovvero la pronuncia di una condanna diversa nel quantum rispetto all'ingiunzione originaria non produce effetti sulla procedura esecutiva: gli atti restano efficaci e prosegue nei limiti dell'importo riconosciuto ovvero resta essa stessa sospesa sino all'esito del giudizio di merito (appello, opposizione a d.i., ecc.) sul titolo (cfr. Cass. civ., 9 aprile 2014, n. 9269).

Il provvedimento con cui il g.e., nel corso della procedura, prende atto dell'avvenuta sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, di fatto «congela» il processo esecutivo sospendendolo ai sensi dell'art. 623 c.p.c. (cfr. Cass. civ., 3 settembre 2007, n. 18512).

Dottrina e giurisprudenza, infatti, nonostante la formulazione dell'art. 623 c.p.c. faccia riferimento alla sola sospensione disposta nella fase impugnatoria, hanno aderito ad un'interpretazione estensiva della norma ritenendo che influiscano sullo svolgimento del processo esecutivo, ai sensi del citato art. 623 c.p.c., tutti i provvedimenti con cui il giudice della cognizione incide sull'efficacia del titolo (cfr. Cass. civ., 16 gennaio 2006, n. 709).

La sospensione disposta ai sensi dell'art. 623 c.p.c. prescinde dalla proposizione di un'opposizione esecutiva e viene disposta in virtù di un provvedimento meramente ricognitivo con cui il g.e. prende atto dell'esistenza della fattispecie sospensiva esterna. L'ordinanza relativa (con la quale viene rilevata l'inesistenza del titolo esecutivo e dichiarata improseguibile l'esecuzione) non ha né natura né funzione cautelare e, conseguentemente, è impugnabile ai sensi dell'art. 617 c.p.c. in quanto ascrivibile tra quelli recanti una c.d. estinzione atipica, sebbene parte della giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormai totalmente superato (seguito, oggi, da minima parte della giurisprudenza di merito), ne ha ritenuto la reclamabilità ora ex art. 630 c.p.c, ora ex art. 669 terdecies c.p.c. (cfr. Cass. civ., 3 febbraio 2011, n. 2674, trib. Roma, 6. ottobre 2010, contra Cass. civ., 16 giugno 2003, 9624, trib. Reggio Emilia, 27 aprile 2010).

A tale conclusione porta anche la formulazione dell'art. 624, comma 2, c.p.c. che prevede la reclamabilità dei soli provvedimenti sospensivi assunti nelle ipotesi previste dal comma 1 della norma e, pertanto, in correlazione delle opposizioni esecutive.

Da ultimo, vale la pena di evidenziare che, per granitica giurisprudenza di legittimità, «nella struttura delle opposizioni, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., comma 2, e degli artt. 617 e 619 c.p.c., emergente dalla riforma di cui alla l. 24 febbraio 2006, n. 52, il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sè - sia che rigetti, sia che accolga l'istanza di sospensione o la richiesta di adozione di provvedimenti indilazionabili, fissando il termine per l'introduzione del giudizio di merito, o, quando previsto, quello per la riassunzione davanti al giudice competente -, deve provvedere sulle spese della fase sommaria, potendosi, peraltro, ridiscutere tale statuizione nell'ambito del giudizio di merito»(Cass. civ., 20 novembre 2019, n. 30300, Cass. civ., 6 febbraio 2020, n. 12917).

Ne consegue che il provvedimento di liquidazione, da parte del medesimo giudice dell'esecuzione, delle spese della fase sommaria dell'opposizione esecutiva, può essere rimesso in discussione esclusivamente nell'ambito del giudizio di merito dell'opposizione stessa.

Riferimenti
  • Arieta – De Santis, L'esecuzione forzata in Trattato di diritto processuale civile, Padova 2007;
  • Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano 2010; Impagnatiello, La sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, in Foro it., 2012, I; 86 ss.;
  • Capponi, Vicende del titolo esecutivo nell'esecuzione forzata in Corriere giuridico, 2012, 1512 ss.