Cessione del quinto e sovraindebitamento

Niccolò Nisivoccia
29 Aprile 2021

Cos'è la cessione del quinto, in primo luogo? Per quanto superfluo, vale comunque la pena di precisarlo, in premessa, essendo questo scritto dedicato ai rapporti f ra cessione del quinto e sovraindebitamento: quando parliamo di “cessione del quinto” intendiamo riferirci alla possibilità, prevista a favore di un soggetto lavoratore dipendente o in pensione (in quest'ultimo caso, qualunque fosse il suo lavoro), di contrarre un finanziamento prevedendone il rimborso mediante la cessione del quinto del suo stipendio o della pensione stessa.
Premessa

La cessione del quinto rappresenta dunque uno strumento di accesso al credito, e risponde sicuramente al desiderio di ampliare la platea dei soggetti che possono aspirare a ricevere finanziamenti. Il senso, in particolare, è quello di consentire l'accesso al credito anche a chi non abbia o non fornisca sufficienti garanzie di solvibilità. Questo non vuol dire che non possano godere della cessione del quinto anche soggetti che avrebbero ugualmente la possibilità di ottenere finanziamenti in altro modo: ma è naturale che tali soggetti saranno meno indotti ad avvalersi della cessione del quinto, così come la banca sarà meno disposta ad accettarla, potendo sia il soggetto che la banca fare affidamento su altre garanzie.

In altre parole: la cessione del quinto trova un senso soprattutto in assenza di altre garanzie, e quindi quando rappresenti una modalità di accesso al credito senza la quale l'accesso al credito non sarebbe possibile. Da un altro lato, il fatto che questo sia il senso della cessione del quinto non significa che la cessione non possa rappresentare un vantaggio anche per la banca, la quale a sua volta può godere della sicurezza del rimborso, grazie al pagamento diretto a suo favore delle rate di rimborso mensili da parte del datore di lavoro o dello Stato, nella misura della quota dello stipendio o della pensione ceduta: ed è vero che la banca corre pur sempre il rischio, quantomeno in relazione alla cessione del quinto dello stipendio, che il soggetto finanziato perda il lavoro, ma è un rischio relativo, tenuto conto che alla banca spetta comunque una prelazione sul TFR maturato e che sul lavoratore grava inoltre l'obbligo di sottoscrivere una polizza assicurativa che copra sia il rischio di morte sia il rischio di perdita del lavoro. Ma insomma, lo ripeto: va riconosciuto il fatto che, grazie alla cessione del quinto, possono accedere al credito anche soggetti che altrimenti non ne avrebbero la possibilità o farebbero fatica a trovarla; così come il fatto che, almeno in teoria, il limite del quinto dovrebbe garantire un certo equilibrio fra il debito complessivo, pari all'importo finanziato, e la rata di restituzione.

Del resto, che la cessione del quinto costituisca in primo luogo, nelle intenzioni della legge, uno strumento di favore nell'ottica del soggetto che aspira al finanziamento, più che nell'ottica della banca che lo concede, è confermato dalla storia: nel senso che la cessione del quinto nasce, nella seconda metà del diciannovesimo secolo, per volontà di Vittorio Emanuele II, proprio come privilegio concesso ai dipendenti statali, e per molto tempo rimane riservata solo a loro. La stessa legge che tutt'ora contiene la disciplina generale della cessione del quinto, la n. 180 del 1950, continua a prevederla solo a favore dei dipendenti dello Stato: ora questa disciplina generale è stata integrata da norme ulteriori che attribuiscono anche ai dipendenti privati la facoltà di accedere alla cessione del quinto, ma queste norme ulteriori sono state aggiunte solo nel 2005. E quindi fino al 2005 la cessione del quinto è rimasta sulla scena come uno strumento configurato a vantaggio dei soli dipendenti statali, in un'ottica, come dicevo, chiaramente di favore e di privilegio.

In altre parole: se una volta, tutto sommato fino a pochissimi anni fa, la cessione del quinto riguardava per legge solo i dipendenti statali, oggi invece, in uno spirito diverso rispetto a quello delle origini, riguarda indiscriminatamente tutti coloro che percepiscano uno stipendio o godano di una pensione, dipendenti privati o pubblici che siano o siano stati (anzi: la cessione di quote della pensione può riguardare anche soggetti che dipendenti non erano). Ma in ogni caso continua a trattarsi, almeno nelle intenzioni, di uno strumento di favore, grazie al quale possano accedere al credito anche quei soggetti che altrimenti non potrebbero accedervi, aldilà del fatto che questo favore risulta senz'altro controbilanciato da altrettanti vantaggi a favore della banca. Rimane cioè un dato, che poi è quello che più ci interessa, ai fini del nostro discorso: vale a dire il dato della fragilità dei soggetti nell'interesse dei quali la cessione del quinto trova o dovrebbe trovare la sua ragion d'essere principale, perché un soggetto economicamente forte non avrebbe altrimenti motivo di utilizzare uno strumento simile.

La disciplina della cessione del quinto e quella del sovraindebitamento

Ed è proprio su questo dato che la disciplina della cessione del quinto e quella del sovraindebitamento convergono verso un punto di contatto, perché anche la disciplina del sovraindebitamento rappresenta per sua stessa natura l'espressione di una volontà di tutela nei confronti di soggetti fragili, o comunque di soggetti che si trovino a vivere una situazione di fragilità.

Per la verità qualunque crisi economica può essere sempre letta come una situazione di fragilità, o meglio ancora: se ci pensiamo, una crisi è sempre la manifestazione di una fragilità sul piano economico, alla quale sul piano giuridico corrisponde a sua volta il diritto della crisi d'impresa. Ma la fragilità è ancora più evidente quando la crisi riguardi non gli imprenditori ma i consumatori, che rappresentano i destinatari principali della disciplina sul sovraindebitamento, perché nel caso dei consumatori quasi non esiste barriera, o ne esiste una molto più sottile, fra la realtà individuale e la realtà patrimoniale, fra l'insuccesso personale e la crisi finanziaria, fra la sventura e l'insolvenza, potremmo dire fra la vita e il mercato – quasi che, rispetto al consumatore, il destino potesse assumere una sola dimensione, nel bene o nel male, una dimensione assoluta, nella quale al tracollo patrimoniale, economico e finanziario corrisponde necessariamente anche quello soggettivo. Ed è esattamente questo il punto di contatto fra la disciplina sul sovraindebitamento e quella sulla cessione del quinto, essendo la cessione del quinto a sua volta uno strumento di cui possono godere solo i consumatori, quali sono per definizione sia i lavoratori dipendenti che i pensionati.

La coincidenza soggettiva fra le due discipline, da questo punto di vista, è perfetta, proprio perché un lavoratore dipendente o un pensionato non potrebbero mai accedere al fallimento, essendo il fallimento riservato ai soli imprenditori commerciali non piccoli, ma possono accedere al sovraindebitamento in quanto disciplina destinata appunto a tutti i soggetti esclusi dal fallimento.

Ma non solo. L'esperienza ci dice che la cessione del quinto rappresenta spesso una causa di sovraindebitamento del consumatore in sé e per sé: in parte per motivi reali, obiettivi, in parte forse anche per ragioni di altra natura, vorrei dire psicologica. Per motivi reali, perché i finanziamenti ottenuti attraverso la cessione del quinto implicano spesso costi eccessivi, difficili alla lunga da sostenere, da reggere; per motivi forse anche psicologici, perché l'ottenimento di un finanziamento può indurre a moltiplicare le proprie spese, in una specie di ubriacatura da successo, nella convinzione a quel punto di avere i mezzi per sostenerne anche altre rispetto a quelle in vista delle quali il finanziamento era stato chiesto. Ma aldilà di questo, comunque sia, il fatto che la cessione del quinto rappresenti in sé e per sé una possibile causa di sovraindebitamento è semplicemente un motivo in più di vicinanza fra le due discipline: di vicinanza non solo tecnica, intendo, dal punto di vista dei problemi che i contratti di finanziamento ottenuti mediante cessione del quinto possono comportare nel loro rapporto con una procedura di sovraindebitamento, ma di vicinanza anche più profonda. Una vicinanza sociale, ecco, una vicinanza nel nome del consumatore, perché lo ripeto: è solo il consumatore, per definizione, a poter godere dello strumento della cessione del quinto come strumento di accesso ai finanziamenti; e lo stesso consumatore, d'altra parte, è il destinatario principale, insieme al piccolo imprenditore, delle procedure di sovraindebitamento.

La procedura del piano del consumatore e il nuovo comma 1 bis dell'art. 8 L. 3/2012

Al consumatore, in particolare, la disciplina sul sovraindebitamento dedica una procedura ad hoc. A quale disciplina mi riferisco? Mi riferisco alla disciplina contenuta nella legge n. 3 del 2012, riformata lo scorso autunno per effetto dell'anticipazione dell'entrata in vigore di gran parte delle nuove norme contenute nel Codice della crisi, che per il resto dovrebbe entrare in vigore fra alcuni mesi. In realtà il Codice prevede anche altre novità in relazione al sovraindebitamento, a cominciare dal nuovo nome che assumeranno le singole procedure, ma molte di queste novità sono già entrate in vigore.

Al consumatore, dicevo, è dedicata in particolare quella procedura ad hoc che la legge del 2012 continua a chiamare “piano del consumatore” e che nel Codice verrà chiamata invece “accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore”. Dico che si tratta di una procedura ad hoc perché a questa procedura possono accedere i consumatori e solo loro.

Ed è davvero una procedura speciale, e lo sarà ancora di più se e quando il Codice della crisi entrerà in vigore, perché oggi, anche nella versione riformata della legge del 2012, il consumatore può accedere tanto al piano quanto agli accordi di composizione della crisi, mentre in futuro l'accesso agli accordi dovrebbe risultargli precluso, secondo quanto previsto dal Codice nelle norme non ancora entrate in vigore. Vale a dire: nella disciplina attuale, il consumatore può scegliere fra accordi e piano, mentre in futuro potrà accedere solo al piano. Il che significa, in altre parole ancora, che il piano rimarrà, se e quando il Codice entrerà in vigore, l'unica procedura di sovraindebitamento alternativa alla liquidazione alla quale il consumatore potrà accedere: con la conseguenza che, sotto questo aspetto, al carattere di specialità di questa procedura andrà aggiunto anche quello dell'esclusività.

Bene: una delle novità sostanziali contenute nella nuova disciplina del piano riguarda proprio la cessione del quinto, ed è una novità non solo molto importante in sé e per sé ma anche decisiva proprio rispetto al tema in oggetto, perché si tratta di una novità che risolve ufficialmente, attraverso una norma espressa, il problema stesso dei rapporti fra cessione del quinto e sovraindebitamento, quantomeno in relazione al piano: e mi riferisco al problema della sorte del finanziamento ottenuto mediante cessione del quinto quando il debitore finanziato acceda a questa procedura.

Per la verità esistono anche tre altri punti di vista, dai quali la questione può essere guardata. Il primo consiste nel fatto che la cessione del quinto può rappresentare anche un mezzo per accedere a finanziamenti funzionali al piano stesso: ma in questo caso il finanziamento mediante cessione del quinto rappresenta semplicemente uno dei possibili contenuti del piano di ristrutturazione, e come tale non dà luogo a problemi da risolvere, perché le norme sono molto chiare in generale nel consentire che il piano possa avere qualunque contenuto, con la conseguenza che nulla osta all'ipotesi che questo contenuto possa essere costituito, appunto, anche da finanziamenti mediante cessione del quinto. E dunque non dobbiamo stupirci che, a questo riguardo, le norme non prevedano soluzioni specifiche: perché non avrebbe senso una soluzione specifica rispetto a un problema che sono già le norme generali a risolvere da sole. In secondo luogo, rimangono privi di soluzione espressa i problemi riguardanti i rapporti sia fra la cessione del quinto e gli accordi di composizione della crisi sia fra la cessione del quinto e la liquidazione, di cui non si occupava espressamente la legge del 2012 nella sua versione originaria e non si occupano neppure le norme nuove, come non se ne occupa il Codice nella parte non ancora entrata in vigore: ma di questi rapporti ci occuperemo dopo, intendo dopo esserci occupati dei rapporti fra cessione del quinto e piano.

La novità che risolve questi rapporti è contenuta nel nuovo comma 1 bis dell'art. 8 della legge, il quale, testualmente, dice che “La proposta di piano del consumatore può prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione o dalle operazioni di prestito su pegno, salvo quanto previsto dall'art. 7, comma 1, secondo periodo”, e quindi salvo il fatto che il piano può prevedere il soddisfacimento parziale dei creditori privilegiati solo a patto che ne sia assicurato il pagamento “in misura non inferiore a quella realizzabile … sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.

Cosa significa tutto ciò? Come possiamo tradurre questa nuova norma in altre parole, e come dobbiamo interpretarla? Qual è il problema che risolve? Cominciamo da qui: il problema che risolve consiste nel fatto che, proprio in ragione della diffusione dei finanziamenti mediante cessione del quinto e della loro attitudine a generare sovraindebitamenti, i debiti derivanti da questi finanziamenti sono spesso a loro volta inclusi fra quelli di cui il piano prevede la ristrutturazione, o addirittura sono spesso fra i primi a venir inclusi nel piano. Ma di fronte a questa inclusione le banche tipicamente reagiscono eccependo l'inopponibilità della cessione del quinto. E cioè dicono: il debitore ha già concordato la restituzione del finanziamento attraverso la cessione di una quota del suo stipendio o della sua pensione, che autorizza la banca a ricevere direttamente il pagamento da parte dell'ente erogatore; e la cessione di tale quota è intangibile, perché ormai ha avuto luogo. Conclusione: non esisterebbero più neppure i presupposti perché il debito possa venir incluso nel piano e quindi essere falcidiato. Il problema, detto altrimenti, riguarda il conflitto fra il debitore che intende includere nel piano anche i suoi crediti futuri già ceduti, e il creditore che pretende invece di rimanere estraneo alla regola del concorso; e davanti a questo problema, la giurisprudenza e la dottrina hanno registrato negli anni orientamenti contrastanti.

Secondo una prima opinione, affermata ad esempio da una sentenza del Tribunale di Milano del 2017, il conflitto dovrebbe sempre veder prevalere la banca, quale creditrice assegnataria, in mancanza di una norma nel sovraindebitamento uguale o analoga a quella contenuta, rispetto al fallimento, nell'art. 44 l. fall., in virtù del quale sono da considerare inefficaci nei confronti della massa dei creditori tutti gli atti che incidono sul patrimonio del debitore (aldilà del fatto che, a dire il vero, anche in relazione ai margini di applicabilità dell'art. 44 la giurisprudenza non è così univoca).

Secondo un'altra opinione, affermata anche dalla Corte di Cassazione, dovrebbe valere invece l'esatto contrario: a prevalere dovrebbe essere sempre il debitore, perché la cessione dello stipendio o della pensione riguarda crediti futuri, dei quali il debitore dovrebbe poter continuare a disporre fino al momento della loro scadenza. O meglio: poiché il trasferimento di un credito futuro si perfeziona solo nel momento in cui il credito viene effettivamente ad esistere, fino a tale momento il credito stesso rientrerebbe a pieno titolo nel patrimonio del debitore. Fino a tale momento, infatti, la cessione avrebbe efficacia solo obbligatoria. Di questa medesima opinione peraltro è anche una parte della dottrina, la quale osserva che in ogni caso sono gli stessi princìpi generali a dover imporre queste conclusioni, avendo una procedura concorsuale ad oggetto per sua natura l'intero patrimonio del debitore, ed essendo indubbio che anche alle procedure di sovraindebitamento va riconosciuta natura di procedure concorsuali, e che dunque anche alle procedure di sovraindebitamento quei princìpi generali vanno pacificamente applicati. Non solo: a queste considerazioni un'altra dottrina (M. Vitiello) ne aggiunge una ancora ulteriore, quando osserva che un altro principio tipico delle procedure concorsuali è quello secondo cui tutti i crediti vanno considerati scaduti nel momento dell'apertura del concorso, con la conseguenza che, anche sotto questo profilo, una procedura che prevedesse la prosecuzione di un finanziamento ottenuto mediante cessione del quinto si tradurrebbe in una lesione della par condicio.

Un altro orientamento, ed è forse l'orientamento alla fine maggioritario, parte dal presupposto dell'assimilabilità fra cessione dello stipendio o della pensione, da un lato, e cessione dei canoni di locazione da un altro lato. In entrambi i casi si tratterebbe di cessione di crediti futuri, ma non solo: i crediti da stipendio o pensione e da canoni di locazione avrebbero in comune anche l'elemento della loro periodicità e della probabilità della loro venuta ad esistenza effettiva, in quanto in entrambi i casi nascenti da un rapporto alla base (il rapporto di lavoro o pensionistico, in un caso, il contratto di affitto nell'altro caso). E come nell'ambito dell'esecuzione individuale l'art. 2918 c.c. ammette la prevalenza della cessione dei canoni sul creditore pignorante ma la limita a tre anni, quale termine massimo, lo stesso limite potrebbe essere analogamente applicato anche in relazione alla cessione di stipendi e pensioni rispetto al sovraindebitamento, semplicemente equiparando l'omologazione della procedura al pignoramento (tanto più che l'art. 12-bis la sancisce per legge, questa equiparazione).

A margine di questo variegato dibattito, altre voci, provenienti dalla dottrina, diciamo così: se ne astraevano, sostenenendo che in realtà un dibattito non avesse neppure un vero motivo di esistere. Il fatto è questo: la cessione del quinto rappresenta solo una modalità di rimborso del finanziamento, ma per il resto nessuna norma consente di qualificare il credito della banca come un credito privilegiato. Quindi: perché mai la banca dovrebbe pretendere di essere esclusa dalla falcidia, come se invece lo fosse, un creditore privilegiato? E questo a maggior ragione tenuto conto del fatto che neppure i creditori privilegiati godono più del diritto intangibile al pagamento integrale dei loro crediti, né nelle procedure di sovraindebitamento né nelle altre procedure concorsuali. La banca, secondo questo ragionamento, potrebbe allora pretendere, questo sì, la conservazione della cessione del quinto intesa come modalità di rimborso; ma niente di più.

Ecco: a me sembra che questo ragionamento colga molto bene il cuore del problema. E che il ragionamento fosse corretto lo conferma ora, se vogliamo, il testo della nuova norma, perché la nuova norma, l'ho riportata prima, dice esattamente questo: che il piano può prevedere la falcidia del credito alla restituzione del finanziamento vantato dalla banca (o dall'ente finanziatore insomma, faccio sempre riferimento alla “banca” solo per comodità, perché il più delle volte l'ente finanziatore è una banca), salvo il fatto che in relazione a quel credito, per quanto falcidiato, la banca stessa potrà continuare a godere del pagamento diretto da parte dell'ente erogatore dello stipendio o della pensione.

Qui il discorso potrebbe finire, e tutto sommato il panorama sarebbe abbastanza chiaro: i rapporti fra cessione del quinto e sovraindebitamento erano da anni al centro di un dibattito, ora il dibattito è stato risolto da una norma espressa. Ma questa norma espressa, ed ecco perché il discorso manca ancora di un pezzo e quindi non può finire qui, riguarda solo il piano del consumatore: il legislatore non l'ha replicata anche in relazione agli accordi di composizione della crisi, né sono previste norme specifiche in relazione alla procedura di liquidazione. Cosa dire in più su queste due procedure, allora?

I finanziamenti ottenuti mediante la cessione del quinto negli accordi di composizione della crisi e nella procedura di liquidazione

Quanto agli accordi di composizione della crisi, la prima cosa da dire è che il problema probabilmente è destinato a durare ancora solo pochi mesi, perché, quando il Codice della crisi entrerà in vigore (e dovrebbe entrare in vigore in settembre), gli accordi di composizione della crisi diventeranno una procedura alla quale il consumatore non potrà più accedere. Il consumatore, nella disciplina prevista dal Codice, potrà accedere solo al piano del consumatore, nella sua nuova denominazione di accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore; e quindi un problema di rapporti fra cessione del quinto e accordi di composizione della crisi non potrà più neppure porsi, essendo la cessione del quinto uno strumento di cui solo un consumatore può avvalersi, per definizione. Ma nel frattempo? Nel frattempo, fino a quando il Codice della crisi non sarà entrato in vigore, i consumatori possono continuare ad accedere anche agli accordi di composizione della crisi, e la domanda quindi rimane: come trattare i finanziamenti ottenuti mediante cessione del quinto all'interno dei piani di ristrutturazione formulati nell'ambito di questa procedura?

A me pare che la risposta a questa domanda debba essere la seguente: anche nell'ambito di un accordo di composizione della crisi dovrebbe essere ammessa la possibilità di soddisfare solo parzialmente i crediti aventi ad oggetto la restituzione dei finanziamenti ottenuti mediante cessione del quinto. E mi pare che almeno tre considerazioni sorreggano una soluzione simile. La prima: il ragionamento secondo il quale la cessione del quinto rappresenta solo una modalità di rimborso del finanziamento, salvo il fatto che per il resto nessuna norma consente di qualificare il credito della banca come un credito privilegiato, è un ragionamento valido in sé stesso e non solo con riferimento al piano del consumatore. La seconda: se è vero che la disciplina degli accordi ammette il soddisfacimento parziale anche dei creditori privilegiati, perché mai non dovrebbe ammetterlo anche dei creditori da finanziamenti, per quanto ottenuti attraverso quella modalità speciale rappresentata dalla cessione del quinto? La terza: una volta ammessa espressamente la soluzione della falcidia dei crediti da restituzione dei finanziamenti nel piano del consumatore, sarebbe probabilmente irragionevole escluderla nell'ambito degli accordi. Diciamo piuttosto che l'inesistenza di una norma espressa, nell'ambito degli accordi, potrebbe giustificare l'applicazione analogica di quella prevista nell'ambito del piano, perché certo: l'assenza di una norma espressa nell'ambito degli accordi potrebbe rispondere a una volontà precisa del legislatore e quindi avere un senso, ma questo senso non è chiaro e sarebbe comunque superato, mi sembra, dalle prime due considerazioni che ho appena fatto.

Quanto alla liquidazione, il problema per la verità è molto meno rilevante, per una ragione tanto semplice quanto da un certo punto di vista incomprensibile, alla luce di quanto abbiamo detto fino a qui: e cioè perché, in relazione alla liquidazione, tutti sembrano da sempre (intendo: da quando esiste la legge sul sovraindebitamento) abbastanza concordi nell'escludere il diritto del finanziatore a veder riconosciuta l'opponibilità del contratto, e quindi nell'escludere il suo diritto al pagamento integrale del credito da restituzione del finanziamento sul presupposto dell'intangibilità delle cessioni del quinto già concordate. La stranezza consiste nel fatto che questa soluzione deriva pur sempre, a sua volta, da quella medesima constatazione, secondo cui nessuna norma consente di qualificare il credito della banca come un credito privilegiato, che la giurisprudenza è sempre stata al contrario restia a compiere in relazione alle procedure di ristrutturazione. In realtà, quel ragionamento non è del tutto applicabile alla liquidazione, perché nella liquidazione le norme consentono al liquidatore di sciogliersi tout court dal contratto: ed è evidente che, in caso di scioglimento, la banca non conserverebbe neppure il diritto al pagamento diretto da parte dell'ente erogatore dello stipendio o della pensione, proprio perché lo scioglimento del contratto travolgerebbe tutto, anche le modalità del rimborso, e quindi anche la stessa cessione del quinto. Così come, nel caso di subingresso, rimarrebbe viceversa fermo il diritto stesso al pagamento in prededuzione dei crediti maturati in corso di procedura, e non solo il diritto alla cessione del quinto già concordata.

Ma ripeto: la constatazione di fondo rimane quella della natura chirografaria del credito avente ad oggetto la restituzione dei finanziamenti in quanto tale.

È questa la constatazione fondamentale, nella quale a ben vedere possiamo trovare una soluzione, o quantomeno un orientamento decisivo, di tutti i problemi riguardanti i rapporti fra cessione del quinto e sovraindebitamento. Anzi, ancora più in generale: di tutti i problemi riguardanti i rapporti fra cessione del quinto e procedure concorsuali, aldilà del riferimento all'una o all'altra procedura. E potremmo anche aggiungere una cosa, in conclusione: partire da un presupposto diverso, vale a dire dal presupposto della natura privilegiata del credito del finanziatore quando il finanziamento sia stato concesso mediante cessione del quinto, equivarrebbe a tradire quella funzione protettiva nei confronti del soggetto finanziato, quale soggetto debole, da cui la stessa cessione del quinto trae la sua ragion d'essere e la sua origine anche storica; e sulla quale converge il senso della disciplina anche del sovraindebitamento. La natura chirografaria del credito della banca, indipendentemente dalle modalità di rimborso attraverso la cessione del quinto, non è, in definitiva, solo un dato di realtà, ma è anche, se vogliamo, un elemento intorno al quale tutto può trovare e ritrovare il proprio senso più profondo, intorno al quale tutto può tenersi.

Guida all'approfondimento

A. Crivelli, R. Fontana, S. Leuzzi, A. Napolitano, F. Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvnza, Torino, 2019; E. Pellecchia - A. Modica (a cura di), La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Pisa, 2020; G.B. Nardecchia, Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - discpilina, novità e problemi applicativi, Molfetta, 2019; A. Napolitano, La cessione del quinto nell'ambito del piano del consumatore, in Fall., 2018, 467; F. Cesare, Il nuovo sovraindebitamento modificato dalla legge di conversione del Decreto Ristori, in ilFallimentarista.it ; G. Benvenuto, Sovraindebitamento: l'accordo di composizione della crisi “di famiglia”, in ilFallimentarista.it ; G. Benvenuto, Il trattamento della cessione del quinto nel sovraindebitamento, in ilFallimentarista.it .

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