Redazione Scientifica
29 Aprile 2021

Il Tribunale di Lecce ha condannato una società assicurativa a risarcire il danno da perdita del rapporto parentale subito dal cognato di un ragazzo deceduto a seguito di un incidente stradale, nonostante la mancanza di un “legame di sangue” tra attore e vittima.

Sul tema il Tribunale di Lecce con la sentenza del 4 marzo 2021.

Un parte ricorre presso il Tribunale di Lecce al fine di ottenere, da parte di una società assicurativa, il risarcimento del danno patito a causa della perdita del rapporto parentale con il cognato, deceduto a 16 anni in seguito ad un incidente stradale. Il ricorrente sottolinea di aver convissuto con la vittima fin da quando questi era in fasce e di essersene occupato da sempre come un padre (in seguito all'abbandono da parte del padre biologico).
La società assicurativa si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto dell'istanza dell'attore.

Il contrasto giurisprudenziale. In tema di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, per soggetti diversi della famiglia nucleare, sussiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Infatti, con la sentenza. n. 4253/2012, la Cassazione ha avuto modo di affermare che «il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell'art. 2 Cost.».

Mentre con la sentenza n. 21230/2016 è stato affermato che «in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale "da uccisione", proposta "iure proprio" dai congiunti dell'ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l'azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la "società naturale", cui fa riferimento l'art. 29 Cost., all'ambito ristretto della sola cd. "famiglia nucleare", il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto».

Con la sentenza n. 16992/2015 la Cassazione ha sottolineato che «il pregiudizio da perdita del rapporto parentale, da allegarsi e provarsi specificamente dal danneggiato ex art. 2697 c.c., rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale, distinto dal danno morale e da quello biologico, con i quali concorre a compendiarlo, e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita. (In applicazione dell'anzidetto principio, la xxx ha cassato la sentenza impugnata, nella quale, pur dandosi atto che, dalla vicenda della tragica morte del giovane figlio, la madre ne era uscita distrutta nel corpo, trascinando la propria successiva esistenza tra mille difficoltà e problemi nel solo ricordo, quasi ossessivo, del defunto, aveva, poi, sulla base di tali circostanze, riconosciuto alla medesima il solo danno morale, negandole, però, quello da perdita del rapporto parentale)».

La Cassazione, inoltre, ha precisato in tempi più recenti che «la convivenza non è elemento indispensabile, a condizione che si provi comunque quella condivisione di affetti e di vita che viene radicalmente recisa per effetto della morte del congiunto. Nel caso della perdita del cognato, dunque, non potrà certamente ritenersi che un danno sia presumibile, ma non può neppure escludersi che venga reciso quel rapporto familiare che è tutelato dalla Costituzione».

Il punto nodale della questione: soggetti danneggiati di riflesso. Esaminando il caso di specie deve essere accertato un effettivo rapporto parentale suscettibile di essere equiparato a quello dei componenti della famiglia nucleare, anche se con un danno più modesto. E sarà inoltre necessario sia calibrare la portata dell'onere probatorio del danneggiato (non potendo sussistere alcuna presunzione nel caso di perdita del cognato) sia valutare poi il quantum del danno risarcibile sulla base delle circostanze del caso concreto.

Le Tabelle del Tribunale di Milano prevedono che non vi sia un minimo garantito e sottolineano l'importanza, per il Giudice di merito, di valutare ogni elemento utile, al fine di garantire che il danno risarcito corrisponda a quello realmente patito per la morte del congiunto.

La decisione del Tribunale. Ascoltate le varie parti, tra cui la madre biologica del giovane deceduto e la maestra della scuola d'infanzia, alla prova testimoniale si è aggiunta la prova documentale fornita dall'attore. Le molteplici foto hanno evidenziato non solo la convivenza ma anche la condivisione di numerosi momenti di vita tra i due cognati, a dimostrazione dell'attendibilità del cognato della vittima. Egli infatti è stato un vero e proprio “padre” per il ragazzo deceduto.

Sempre secondo le Tabelle del Tribunale di Milano, in caso di perdita del figlio (in quanto tutti i testimoni hanno parlato di una figura paterna), si evidenzia che, in ragione della modesta differenza di età (19 anni) esistente tra attore e vittima, il rapporto era comunque simile a quello che lega un fratello maggiore a uno minore, quindi un ibrido tra quello di genitorialità e quello fraterno.

Tenendo conto di questi elementi, il Tribunale condanna la società assicurativa a risarcire il danno nei confronti del cognato della vittima per la cifra di 80.000 euro.

(Fonte: Diritto e Giustizia)