Gestione separata: la Cassazione sulla individuazione e sospensione del termine di prescrizione. Brevi considerazioni a margine di Cass. n. 4419/21 e 4899/21

Antonino Sgroi
30 Aprile 2021

In questa primo scorcio di anno, la Corte di cassazione – oltre a confermare il proprio costante e univoco orientamento con riferimento al sorgere della tutela previdenziale presso la Gestione separata Inps in favore dei liberi professionisti che non versano contribuzione previdenziale per invalidità, vecchiaia e superstiti presso le rispettive casse professionali...
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In questa primo scorcio di anno, la Corte di cassazione – oltre a confermare il proprio costante e univoco orientamento con riferimento al sorgere della tutela previdenziale presso la Gestione separata Inps in favore dei liberi professionisti che non versano contribuzione previdenziale per invalidità, vecchiaia e superstiti presso le rispettive casse professionali (si v. da ultimo: per gli avvocati l'ordinanza n. 4721/2021, per gli ingegneri e architetti l'ordinanza n. 5146/2021 e per i commercialisti l'ordinanza n. 3397/2021) - ha affrontato, sempre sollecitata dal contenzioso promosso da soggetti che avevano svolto l'attività di avvocato, questioni logicamente e giuridicamente successive che riguardano da un verso la rilevanza o meno del superamento di un determinato tetto reddituale e da altro verso sia l'individuazione del dies a quo del termine di prescrizione quinquennale di questo tipo di contribuzione, sia l'efficacia giuridica, ai fini della sospensione del predetto termine, da assegnare a comportamenti tenuti dal lavoratore tutelato, in specie in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi.

Nonostante il cennato costante e univoco orientamento della Corte di cassazione sul sorgere della tutela previdenziale presso la Gestione separata dei soggetti supra individuati, da potere ormai ritenere diritto vivente (su tale istituto si v. M. Cavino, v. Diritto vivente, in Dig., sez. pubbl., 2010), il Tribunale di Catania, con ordinanza del 1° febbraio 2021, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, predicando la violazione dell'art. 3 della Costituzione, con riguardo a un duplice aspetto.

La rilevanza del superamento del tetto reddituale ai fini del sorgere dell'obbligo di iscrizione alla Gestione separata

La prima delle descritte questioni afferisce all'individuazione dell'ambito di efficacia di due disposizioni che disciplinano il sorgere della tutela previdenziale presso la Gestione separata.

La prima disposizione, che si rinviene nel testo legislativo che ha istituito la Gestione, prevede che la nuova forma di tutela previdenziale riguardi soggetti che esercitano un'attività di lavoro autonomo in via abituale, ancorché non esclusiva (s. v. l'art. 2.26, l. n. 335/1995).

La seconda disposizione la si rinviene in un successivo testo legislativo omnibus e in essa si assiste all'estensione dell'ambito soggettivo di tutela della Gestione separata sia a chi esercita un'attività di lavoro autonomo occasionale, sia agli incaricati di vendite a domicilio. Ma, per entrambe le ipotesi, la tutela previdenziale sorge solo qualora il reddito annuo derivante dalle attività predette superi euro cinque mila (si rinvia in ogni caso alla lettura dell'art. 44.2, d.l. n. 269/2003, conv.to con modif.ni dalla l. n. 326/2003).

A fronte di tale quadro legislativo, si è prospettata una ricostruzione del tessuto legislativo che sfociava nell'applicazione generalizzata del tetto reddituale introdotto dal legislatore del 2003 a tutte le attività lavorative individuate dal legislatore della riforma Dini.

Dalla affermata generale applicazione, ne conseguivano due possibili esiti interpretativi. Secondo il primo modello interpretativo il mancato superamento del limite di cinque mila euro comportava l'inesistenza del sorgere di qualsivoglia tutela previdenziale. Il secondo modello interpretativo sfociava nel sorgere della tutela previdenziale, una volta constatato il superamento del tetto reddituale legislativamente fissato, senza necessità alcuna di ulteriori requisiti; ovverosia senza necessità alcuna di provare l'abitualità dell'attività lavorativa svolta.

Le menzionate opzioni interpretative, si ritiene coerentemente al tessuto normativo da interpretare, sono state disattese dalla Corte di cassazione che ha escluso un'efficacia generale alla disposizione dettata dall'art. 44 a tutte le fattispecie riconducibili alla fattispecie delineata dall'art. 2.26 (si tratta della sentenza n. 4419/2021).

Ma, allo stesso tempo, la Corte ha evidenziato, al pari di quel che accade per tutte le altre gestioni previdenziali che attengono ai lavoratori autonomi - ove oltre al requisito dell'abitualità è previsto anche quello della prevalenza (si v. da ultimo le ordinanze della Cass. n. 1511, 1679 e 1683, tutte del 2021) -, l'obbligo posto a carico dell'Inps di provare l'abitualità dell'attività lavorativa svolta.

La Corte, in una fattispecie concreta che riguardava l'attività professionale svolta da avvocato, ha puntualmente colto la differenza applicativa fra la disposizione a valenza generale introdotta dal primigenio testo e la disposizione più recente, con bacino di applicazione legislativamente determinato.

La regola fissata dalla legge del 1995 afferma la Corte, riguarda tutti coloro i quali, abitualmente ancorché non in via esclusiva, svolgano un'attività lavorativa. Mentre la regola della legge del 2003, constata la Corte, riguarda solo le attività individuate nella stessa e fissa, per il sorgere della tutela previdenziale, la produzione di un reddito superiore a cinque mila euro.

Si tratta di norme concorrenti fra loro, l'una generale e l'altra particolare, che disciplinano fattispecie diverse, ancorché abbiano entrambe lo stesso obiettivo, ovverosia l'individuazione dell'ambito di applicazione della tutela previdenziale obbligatoria introdotta con la creazione della Gestione separata.

La Corte, in quest'opera di individuazione dell'ambito di efficacia delle disposizioni, disconosce, anche qui si ritiene con esito interpretativo del tutto condivisibile, alcuna rilevanza alle disposizioni contenute nell'art. 61.3 e 69-bis del d.lgs. n. 276/2003 (si ricordi che tali articoli sono stati abrogati dall'art. 52.1 del d.lgs n. 81/2015), ai fini dell'individuazione dei presupposti costitutivi del sorgere della tutela previdenziale. Presupposti che invece si rivengono esclusivamente ed esaustivamente, per quel che rileva in questa sede, in via generale nell'art. 2.26 l. n. 335/1995, e con riguardo a determinate categorie di lavoratori nell'art. 44.2 d.l. n. 269/2003.

Disposizioni contenute nel d.lgs. n. 276/2003 che invece operano l'una nell'ambito dei rapporti tra le parti contraenti (art. 61.3) e l'altra nei confronti del fisco; ma da nessuna di esse, afferma la Suprema Corte, è possibile desumere alcuna presunzione iuris et de iure per cui un'attività libero-professionale che possa essere svolta solo previa iscrizione a un albo o a un elenco debba necessariamente qualificarsi come "abituale" ai fini dell'iscrizione alla Gestione separata.

L'approdo al quale è pervenuta la Corte costituisce la piana applicazione alla Gestione separata, come detto precedentemente, di una regola applicata univocamente e costantemente dalla stessa Corte con riferimento all'individuazione dei requisiti legittimanti il sorgere dell'iscrizione alle Gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi. Nei confronti di costoro è onere dell'ente previdenziale allegare e provare i fatti costitutivi del sorgere della tutela previdenziale, ovverosia lo svolgimento di un'attività di lavoro autonomo caratterizzata dall'abitualità e dalla prevalenza.

La lettura della decisione permette altresì di constatare che la Corte indica quale possa essere il percorso da compiere per l'individuazione dei concreti elementi deponenti a favore dello svolgimento abituale dell'attività lavorativa, attraverso l'utilizzo delle presunzioni (sull'uso di siffatto istituto nella materia previdenziale, si v. da ultimo l'ordinanza n. 950/2021).

La Corte afferma che l'abitualità può essere desunta da presunzioni ricavabili, a titolo esemplificativo, dall'iscrizione all'albo, dall'apertura della partita IVA o dall'organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, dalla percezione di un reddito annuo inferiore o superiore a cinque mila euro (l'utilizzo in via generale anche di questo elemento appare distonico rispetto all'affermazione fatta dalla stessa Corte con riguardo alla rilevanza dello stesso limitatamente alla fattispecie delineata nell'art. 44 l. cit.).

L'individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione e delle circostanze legittimanti la sua sospensione

Le ulteriori questioni affrontate dalla Corte attengono da un verso all'individuazione del momento di decorrenza del termine di prescrizione e, in via logicamente e giuridicamente gradata, all'individuazione delle fattispecie di sospensione del termine stesso, in specie allorché si predichi un comportamento doloso del lavoratore.

Entrambe le questioni, diversamente dalla precedente e malgrado il loro esame sia stato sollecitato all'interno di fattispecie omologhe a quella esaminata nella precedente decisione, hanno un ambito di valenza generalizzato a tutte le gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi, con riferimento al versamento della contribuzione a percentuale connessa al reddito di lavoro prodotto l'anno precedente al versamento.

Per risolvere entrambe le problematiche è opportuno prendere le mosse dal costante e univoco orientamento della Corte, in forza del quale il dies a quo della prescrizione della contribuzione va individuato nella data dalla quale il credito può essere fatto valere e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del lavoratore autonomo, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo (si v. da ultimo Cass. ord. n. 5145/2021 e ord. n. 5704/2021).

Si ricordi per inciso che il versamento della contribuzione nella gestione separata e quello della contribuzione a percentuale nelle gestioni dei lavoratori autonomi vede quale termine di versamento, rilevante ai fini del decorso del termine di prescrizione del quale si discute, quello fissato dal sistema fiscale per i versamenti Irpef (si v. art. 18 d.lgs. n. 241/1997, art. 17 d.P.R. n. 435/2001, art. 2 d.P.R. n. 322/1998 e circolare Inps n. 79/2020).

Dichiarazione dei redditi, continua la Corte nella sua opera di tessitura interpretativa, alla quale non può essere riconosciuta natura di riconoscimento del debito, dato che alla stessa non può essere attribuita valenza di atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell'art. 2941 c.c., posto che con tale dichiarazione il debitore afferma di aver percepito un determinato reddito, ma non riconosce il diritto dell'Inps a ottenere il pagamento dei contributi, diritto che consegue all'iscrizione obbligatoria alla gestione separata (Cass. ord. n. 5145/2021).

Con riguardo alla contribuzione a percentuale dovuta da un lavoratore artigiano, la Corte, parlando di principio di diritto consolidato e facendo piana applicazione dello stesso, afferma che il fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva è costituito dall'avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito ex art. 1.4, l. n. 233/1990, ancorché l'efficacia del predetto fatto sia collegata a un atto amministrativo di ricognizione del suo avveramento, con la conseguenza che il momento di decorrenza della prescrizione dei contributi a percentuale, ai sensi dell'art. 3 della l. n. 335/1995, deve identificarsi con la scadenza del termine per il loro pagamento e non con l'eventuale atto successivo con cui l'Agenzia delle Entrate abbia accertato un maggior reddito, ex art. 1 d.lgs. n. 462/1997, avendo quest'ultima mera efficacia interruttiva della prescrizione.

Si osservi che tale regola costituisce l'applicazione in seno al sistema di previdenza obbligatoria dei lavoratori autonomi della stessa regola applicata sempre dalla giurisprudenza nei confronti dei datori di lavoro.

Regola questa in forza della quale la prescrizione della contribuzione decorre dal giorno successivo allo spirare del termine di pagamento della contribuzione, a nulla rilevando fra l'altro che il rapporto di lavoro non sia stato regolarmente denunciato, a meno che ovviamente non ricorra e sia accertata una delle ipotesi previste dal codice civile o dalla legislazione previdenziale di interruzione o sospensione del predetto termine di prescrizione (si v.: Cass. n. 2432/2019, Cass. n. 21371/2018, Cass. ord. n. 16139/2018, Cass. n. 21821/2011; Cass. n. 13531/2008).

Una volta individuato il momento di decorrenza del termine di prescrizione nello spirare del termine normativamente fissato per il pagamento della contribuzione previdenziale, afferisca questo al rapporto contributivo del datore di lavoro o a quello del lavoratore autonomo, ne consegue la rilevanza giuridica di qualsivoglia mutamento normativamente fissato della data di pagamento dei tributi e quindi dei contributi, come è accaduto per gli anni in cui il legislatore fiscale è intervenuto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, spostando in avanti, per tutti i soggetti e senza oneri di sorta, la data di scadenza.

A tale soluzione ha acceduto la Corte di cassazione che, nella sentenzan. 4899 del 2021, ha fissato il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione della contribuzione dovuta alla Gestione separata nel nuovo termine di adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali individuato con siffatto veicolo normativo (sulla rilevanza del d.P.C.M., in specie nel corso di quest'ultimo anno, quale strumento privilegiato dal Governo per gestire la pandemia, si v. a titolo esemplificativo I.A. Nicotra, Stato di necessità e diritti fondamentali. Emergenza e potere legislativo, in rivistaaic, 2021, n. 1, 98, in specie 138, https://www.rivistaaic.it/it/rivista/ultimi-contributi-pubblicati/ida-angela-nicotra/stato-di-necessita-e-diritti-fondamentali-emergenza-e-potere-legislativo).

Nel caso esaminato dalla Corte il versamento del saldo, con riferimento al reddito da lavoro prodotto nel corso dell'anno 2010, precedentemente fissato al 16 giugno dell'anno successivo, era stato posticipato, con regola a valenza generale, al successivo 6 luglio.

Con la conseguenza, in applicazione della descritta regola, che da un verso il termine di prescrizione quinquennale della contribuzione previdenziale non può che iniziare a decorrere solo dopo lo spirare del nuovo termine; e che da altro verso l'ente previdenziale legittimamente e ritualmente interrompe il termine di prescrizione se consegna lettera di costituzione in mora al debitore della contribuzione entro il nuovo termine fissato dal d.P.C.M. (La Corte di cassazione, nella decisione n. 33091/2019, qualifica il d.P.C.M. quale fonte di norme giuridiche di natura secondaria).

L'ultima delle questioni, a quel che consta sottoposte allo scrutinio del giudice della legittimità, attiene all'individuazione in concreto della fattispecie codicistica in tema di sospensione del termine di prescrizione, connessa al comportamento doloso tenuto dal debitore.

Con riguardo specifico al mancato versamento della contribuzione previdenziale connessa al reddito da lavoro autonomo, tale regola trova il suo punto di emersione in fattispecie che possono così sinteticamente descriversi:

- il lavoratore autonomo ha presentato dichiarazione dei redditi, regolarmente compilando il quadro ove si espone il reddito da lavoro percepito, ma non ha compilato il quadro ove si dichiarano i contributi previdenziali dovuti all'Inps in conseguenza della produzione del dichiarato reddito da lavoro;

- l'Agenzia delle Entrate accerta che il lavoratore autonomo ha omesso di dichiarare, in parte o integralmente, il reddito da lavoro dallo stesso prodotto, conseguendone pertanto anche il mancato pagamento della contribuzione previdenziale.

La Corte, a quel che consta, si è pronunciata sulla seconda delle descritte fattispecie, con plurime decisioni, sempre uniformi; mentre per la prima, si è rinvenuta una sola decisione, l'ordinanza n. 6677/2019.

Prima di esaminare le soluzioni accolte dalla giurisprudenza per risolvere le questioni di diritto dianzi individuate, appare opportuno soffermarsi sugli approdi ai quali è pervenuta la stessa giurisprudenza di legittimità nell'applicare le disposizioni in tema di interruzione e sospensione della prescrizione, sia in via generale, sia all'interno del sistema di previdenza obbligatoria.

La Corte riconosce natura tassativa alle ipotesi di sospensione del termine di prescrizione individuate nel codice civile (si v. con riguardo al diritto del lavoro la sentenza n. 22072/2018 e al diritto previdenziale la sentenza n. 10828/2015 e da ultimo Cass. ord. n. 21478/2020).

Dall'affermata natura tassativa delle ipotesi di sospensione, la Corte, con piana applicazione di regole tipiche in sede di interpretazione delle norme tassative, esclude che le stesse siano suscettibili di applicazione analogica (per un'applicazione di tale regola si v. Cass. n. 1222/2004) e di interpretazione estensiva, in quanto il legislatore regola inderogabilmente le cause di sospensione, limitandole a quelle che consistono in veri e propri impedimenti di ordine giuridico, con esclusione degli impedimenti di mero fatto (in questi termini, Cass. ord. n. 11004/2018 che ha affrontato la questione con riguardo a fattispecie Inail).

Sempre in forza dell'applicazione dell'assunto che si è davanti a un elenco tassativo di cause tipiche legittimanti la sospensione del termine di prescrizione, la Corte ha escluso che la domanda di accertamento negativo ex art. 24 del d.lgs. n. 46 del 1999 sia idonea a determinare la sospensione della prescrizione del diritto al conseguimento dei contributi, che non é prevista da alcuna disposizione specifica né trova fondamento nella normativa codicistica, essendo inammissibile l'interpretazione estensiva o l'applicazione analogica delle disposizioni previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c. (Cass. n. 9589/2018).

Con riguardo poi al versante processuale, la Corte afferma che:

- l'accertamento della decorrenza della prescrizione costituisce indagine di fatto demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata e congrua motivazione e non inficiata da errori logici o di diritto (si v. Cass. ord. n. 9014/2018 e n. 17157/2002 e n. 2292/1974);

- l'eccezione di sospensione della prescrizione ex art. 2941 n. 8 c.c. integra un'eccezione in senso lato e, pertanto, può essere rilevata d'ufficio dal giudice, anche in grado di appello, purché sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti (Cass. n. 19567/2016; in una recente decisione, riguardante la prescrizione della contribuzione dovuta alla Gestione separata da parte di architetto [Cass. ord. 4883/2021], la Corte rileva che il generale potere-dovere di rilievo d'ufficio delle eccezioni si traduce nell'attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, purché tali fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati);

- in tema di prescrizione, la sospensione (art. 2941 cod. civ.) e l'interruzione (art. 2943 cod. civ.) costituiscono istituti distinti, i quali non si presentano in rapporto di progressività, con la conseguenza che l'eccezione d'interruzione della prescrizione non può ritenersi né equipollente, né comprensiva di quella relativa alla sospensione (Cass. n. 10254/2002);

- l'operatività della causa di sospensione della prescrizione prevista dall'art. 2941 n. 8 cod. civ. presuppone che in atti risulti la prova che il debitore abbia dolosamente occultato l'esistenza del debito al creditore. Detta prova si concreta nell'accertamento, si aggiunga compiuto dal giudice di merito, che il debitore abbia creato una situazione del tutto non corrispondente alla realtà al fine di superare la normale diligenza del creditore (Cass. n. 10383/2002).

Con riguardo specifico alla concretizzazione della fattispecie delineata dal n. 8 dell'art. 2941, la Corte ha costantemente e univocamente affermato che:

- la causa di sospensione in esame ricorre quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto a occultare al creditore l'esistenza dell'obbligazione, consistente in una condotta ingannatrice e fraudolenta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità ad agire, non una mera difficoltà di accertamento del credito (Cass. n. 1222/2004). La Corte, in applicazione di tale principio di diritto, ha cassato la sentenza di merito che aveva ravvisato la descritta condotta in una circolare delle Ferrovie dello Stato, che era volta soltanto a rassicurare i dipendenti dell'Ente in ordine alla non decorrenza della prescrizione del credito, per il compenso per il lavoro straordinario prestato;

- l'operatività della causa di sospensione della prescrizione ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, e, quindi, quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l'esistenza dell'obbligazione (in questi termini, Cass. n. 21567/2014 e da ultimo, Cass. n. 5413/2020). Nel caso di specie esaminato da questa sentenza, la Corte, rigettando il ricorso proposto dall'Inps e si aggiunga confermando il proprio costante orientamento sulla questione, ha escluso il ricorrere della fattispecie codicistica in ipotesi di accertamento da parte delle Agenzia delle Entrate di un maggior reddito da lavoro, precedentemente non dichiarato nella dichiarazione dei redditi;

- l'impossibilità ad agire, che rende predicabile l'applicazione della disposizione in commento e che si differenzia dalla mera difficoltà di accertamento del credito, non impone di far riferimento ad un'impossibilità assoluta di superare l'ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l'effetto dell'occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli (Cass. n. 9113/2007). La fattispecie concreta che ha dato l'occasione all'affermazione del trascritto principio di diritto, appare vicina a quella oggetto delle odierne considerazioni, Infatti, si trattava di controversia in materia di opposizione a cartelle esattoriali per il recupero di crediti riconducibili al pagamento di contributi e sanzioni pretesi dalla CNPAF nei confronti di alcuni avvocati. La Corte ha confermato la sentenza di merito che si era uniformata al principio di diritto enunciato, rilevando come il contenuto delle dichiarazioni inviate dai professionisti non avrebbe potuto impedire alla Cassa previdenziale di controllare la veridicità dei dati trasmessi, acquisendo le necessarie informazioni dai competenti uffici finanziari ai sensi dell'art. 17 della legge n. 576 del 1980;

- l'occultamento doloso è requisito diverso e più grave della mera omissione di un'informazione, la quale ha rilievo, ai fini della detta sospensione, soltanto se sussista un obbligo di informare (Cass. ord. n. 2030/2010). Nel caso esaminato dalla Corte si escluso che potesse predicarsi il doloso occultamento dalla circostanza della mancata registrazione o trascrizione di un contratto, trattandosi di adempimenti doverosi ma inidonei di per sé a dimostrare il doloso occultamento;

- ai fini della sospensione della prescrizione di un diritto per occultamento doloso della esistenza della obbligazione da parte del debitore, è necessaria la sussistenza di un comportamento fraudolento diretto intenzionalmente a nascondere al creditore la esistenza del debito. Il comportamento semplicemente omissivo del debitore ha efficacia sospensiva della prescrizione solo se abbia ad oggetto un atto dovuto, cioè un atto cui il debitore sia tenuto per legge (Cass. n. 11348/1998 e lo stesso principio lo si ritrova affermato nella sentenza n. 125 del 1979). Nel caso di specie, si trattava dell'occultamento dell'avvenuta conclusione della compravendita di un immobile al mediatore.

L'inverarsi della fattispecie delineata dal n. 8 dell'art. 2941 c.c. è escluso dalla Corte, si tratta della sentenza n. 12754/1995 (si v. la nota di A. Notargiacomo, Sulla sospensione della prescrizione per doloso occultamento del debito da parte del debitore, in Giust. civ., 1996, 7, I, 2037), nell'ipotesi di rifiuto della consegna di documenti, chiesti al debitore dal creditore, atteso che quest'ultimo, nonostante tale mancata consegna, ha la possibilità di esercitare il suo diritto, mentre la fattispecie prevista dal n. 8 concerne un comportamento (proprio del debitore, non essendo sufficiente un occultamento compiuto da soggetti del cui operato il debitore debba rispondere ai sensi dell'art. 1228 c.c.) tale da precludere al creditore la possibilità di far valere il proprio diritto.

In una decisione ancor più risalente, la n. 5682 del 1985, la Corte, sempre chiamata a verificare l'applicazione dell'ipotesi descritta nel n. 8 dell'art. 2941 c.c., precisa che affinché questa operi è necessario non solo che il debitore abbia svolto attività soggettivamente diretta ad occultare al creditore la esistenza dell'obbligazione, ma anche che tale comportamento abbia determinato una situazione obiettiva tale da precludere al debitore la possibilità di far valere il proprio diritto.

In una decisione del 1976, la n. 4054, la Corte esclude il ricorrere della fattispecie delineata dal n. 8 dell'art. 2941 c.c., quando colui che è obbligato a risarcire i danni prodotti con un autoveicolo, abbia omesso di trascrivere sul pubblico registro automobilistico il proprio atto d'acquisto dell'autoveicolo stesso, inducendo cosi in errore il danneggiato circa l'identità della persona tenuta al risarcimento. Infatti, la mancata trascrizione non impedisce al creditore di accertare per altra via l'identità del debitore.

Tre anni prima, nel 1973 e con la sentenza n. 102, la Corte afferma che ai fini della sospensione della prescrizione per occultamento doloso da parte del debitore dell'esistenza dell'obbligazione (art 2941 n 8 cod. civ.) è necessaria non solo la sussistenza di un comportamento doloso del debitore, concretantesi in un'attività diretta intenzionalmente ad occultare al creditore l'esistenza della obbligazione, ma anche la condizione che tale comportamento abbia determinato una situazione obiettiva che precluda al creditore la possibilità di far valere il proprio diritto.

In tempi recenti, si rinvengono:

- la decisione n. 32023/2019, ove si afferma che secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, l'operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all'art. 2941, n. 8, cod. civ. ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito. Di conseguenza tale criterio non impone di far riferimento ad un'impossibilità assoluta di superare l'ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l'effetto dell'occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli. In tema di sospensione della prescrizione di un diritto, l'occultamento doloso è requisito diverso e più grave della mera omissione di un'informazione, la quale ha rilievo, ai fini della detta sospensione, soltanto se sussista un obbligo di informare (Sez. 3, n. 2030 del 29 gennaio 2010); la violazione dell'obbligo di informare non è tuttavia sufficiente se non si accompagna a una vera e propria impossibilità di agire per il creditore, non superabile con gli ordinari controlli. Nel caso di specie la corte di merito aveva ritenuto che l'omesso invio da parte di società di comunicazioni periodiche non fosse da solo sufficiente, da un lato, a concretare un'intenzione della stessa di occultare il debito, e, dall'altro e soprattutto, che tale comportamento non fosse idoneo a paralizzare completamente il creditore, non impossibilitato ma solo ostacolato ad agire;

- l'ordinanza n. 26269/2018, ove il giudice delle leggi nel rigettare il motivo di ricorso sulla questione, ricorda che in tema di sospensione della prescrizione di un diritto, l'occultamento doloso è requisito diverso e più grave della mera omissione di un'informazione, la quale ha rilievo, ai fini della detta sospensione, soltanto se sussista un obbligo di informare; né il doloso occultamento può ritenersi implicito nella mancata registrazione o trascrizione di un contratto, trattandosi certamente di adempimenti doverosi, in quanto previsti da norme, anche se per finalità estranee ai rapporti tra privati, e tali da potere, in ipotesi, agevolare la conoscenza del contratto da parte dei terzi, ma inidonei, di per sé, a dimostrare il doloso occultamento della data del contratto o di altri fatti produttivi di diritti altrui.

La disamina della giurisprudenza, nei limiti del presente scritto, può proseguire con la verifica delle modalità di applicazione della regola codicistica in tema di sospensione del termine di prescrizione, per doloso occultamento da parte del debitore, in seno al sistema previdenziale.

La prima decisione, nella quale ci si imbatte, è quella della Corte del 12 maggio 1962, n. 974 (si v. la nota di G. Cannella, Questioni particolari sulla prescrizione del credito contributivo, in La previdenza sociale, 1962, 827) ove è escluso la sospensione del decorso del termine di prescrizione, ai fini del recupero degli assegni familiari erogati indebitamente dal datore di lavoro.

Il giudice della nomofilachia afferma che poiché la legge conferisce sia ai funzionari dell' INPS sia all' ispettorato del lavoro poteri di ispezione che consentono di controllare l'esattezza delle denunce dei datori di lavoro ai fini del versamento dei contributi per gli assegni familiari e di rilevare le eventuali evasioni, l'omissione o la incompletezza delle denunce stesse non impedisce all'istituto di avere cognizione del proprio credito e di farlo tempestivamente valere, qualora non siano stati posti in essere anche altri atti di natura fraudolenta idonei a frustrare la finalità ed efficacia dei detti controlli (quali ad esempio, la mancata indicazione di determinati prestatori di lavoro subordinato nei libri matricola e nei libri paga). Pertanto, mentre la mancata denuncia non costituisce, da sola, un comportamento che possa qualificarsi 'doloso', qualora non concorrono gli altri fatti, esula altresì l'altro elemento che integra la fattispecie contemplata dall'art 2941 n. 8 cod. civ., e cioé una situazione obbiettiva che impedisca al creditore di conoscere e far valere il proprio diritto.

Con la decisione n. 1044 del 23 aprile 1963 (si v. la nota di D. Marafioti, Dolo dell'assicurato e diligenza dell'Istituto assicuratore nei riflessi della sospensione della prescrizione, in Riv. it. prev. soc., 1964, 731), che riguarda sempre un'omissione contributiva posta in essere da un datore di lavoro, la Corte ha affermato che ai fini della sospensione della prescrizione per occultamento doloso da parte del debitore dell'esistenza dell'obbligazione (art 2941 n. 8 cod. civ.), è necessaria non solo la sussistenza di un comportamento doloso del debitore, concretantesi cioè in un'attività diretta intenzionalmente ad occultare al creditore l'esistenza dell'obbligazione, ma anche la condizione che tale comportamento abbia determinato una situazione obiettiva che precluda al creditore la possibilità di far valere il proprio diritto.

Sulla scorta della predetta regola, conclude la Corte, che non può, pertanto, invocare la sospensione della prescrizione l'INPS quando, da un semplice raffronto tra l'infedele denunzia del personale dipendente dall'impresa ed il contenuto, corrispondente al vero, dei prospetti trasmessi mensilmente dall'imprenditore per l'accreditamento dei contributi e l'erogazione degli assegni familiari al personale dipendente (mod. G S 2), possa facilmente stabilire nella sua esatta realtà la posizione dell'assicurato.

Nel corso degli anni 80 si rinvengono anche due decisioni della Corte che verificano l'applicazione della disposizione della quale si tratta con riguardo all'Inail.

La più risalente è la decisione del 15 ottobre 1980, n. 5535 (la si v. in Riv. inf. mal. prof., 1981, 2^, 36), e in essa la Corte ripete il principio che ai fini della sospensione della prescrizione per occultamento doloso da parte del debitore dell'esistenza del debito e necessario che il debitore stesso ponga intenzionalmente in essere una positiva attività ingannatrice e fraudolenta che, inducendo il creditore in errore, gli precluda la possibilità di far valere il proprio diritto.

Sulla scorta di tale principio di diritto, la Corte afferma che non costituisce, ai predetti fini, comportamento doloso la comunicazione inviata dall'Inail con la quale si nega il diritto dei superstiti alla prestazione assicurativa per la ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

Nella successiva decisione dell'8 febbraio 1984, n. 963, la Corte afferma che la prescrizione annuale dell'azione spettante all'Inail per il conseguimento dei premi di assicurazione ed in genere delle somme dovute dal datore di lavoro (art. 112, secondo comma, d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124) non è impedita, né sospesa per l'inosservanza, da parte di quest'ultimo, dell'obbligo (art. 12, quarto comma, del d.P.R. citato) di comunicare all'istituto le variazioni attinenti al proprio domicilio o alla propria residenza che dà luogo ad un ostacolo di fatto e non ad un impedimento giuridico.

Sempre nel corso degli anni ottanta, ci si imbatte in una decisione della Corte resa nei confronti dell'Inps, la n. 5977 del 21 novembre 1984. In questa decisione, la corte esclude l'inverarsi della fattispecie legislativa delineata dal n. 8 dell'art. 2941 c.c. e ripete il principio precedentemente affermato nella sua decisione del 1962. Ovverosia che poiché la legge conferisce sia ai funzionari dell'I.N.P.S. sia all'ispettorato del lavoro poteri d'ispezione per il controllo della esattezza delle denunce dei datori di lavoro ai fini del versamento dei contributi, l'omissione o l'incompletezza delle denunce stesse non impedisce all'I.N.P.S. di avere cognizione del proprio credito e di esercitarlo tempestivamente, con conseguente inapplicabilità dell'art. 2941 n. 8 cod. civ., salvo che siano stati posti in essere altri atti di natura fraudolenta tali da precludere in modo assoluto la possibilità di far valere il diritto. Nel caso esaminato dalla Corte, la sentenza impugnata - confermata - aveva escluso che costituisse causa sospensiva della prescrizione del diritto dell'I.N.P.S. a percepire i contributi relativi ad un dipendente il comportamento di quest'ultimo, che, in qualità di direttore generale e legale rappresentante della società datrice di lavoro, aveva sempre provveduto di persona a sottoscrivere e a trasmettere all'ente i modelli GS2 con l'indicazione di una retribuzione inferiore a quella reale.

In una decisione più recente che vedeva quale parte ricorrente l'Inps, si tratta della sentenza n. 26355/2005 (si v. la nota di P. Parisella, Omessa comunicazione e sospensione della prescrizione per doloso occultamento del debito, in MGL, 2006, 6, 470), la Cassazione dopo avere affermato il principio che la causa di sospensione della prescrizione di cui all'art. 2941 n. 8 cod. civ. ricorre quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l'esistenza dell'obbligazione, consistente in una condotta ingannatrice e fraudolenta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, non una mera difficoltà di accertamento del credito, ha confermato la decisione di merito che aveva ravvisato, nella condotta dell'artigiano che non aveva comunicato all'INPS la variazione di indirizzo, una difficoltà di mero fatto all'esercizio del diritto di credito dell'istituto di previdenza, per contributi e sanzioni, non idonea a comportare la sospensione della prescrizione e rilevante unicamente per l'irrogazione della sanzione amministrativa, ex art. 2 del d.l. n. 352 del 1978.

La Corte ha applicato all'Inps la regola che aveva precedentemente applicato all'Inail, con la sentenza n. 963/84, per un caso analogo (si v. retro).

Per ritrovare una decisione della Corte di cassazione che, nella materia previdenziale, si soffermi sulla questione investigata, bisogna arrivare al 2018 e alla sentenza n. 19640. Sentenza nella quale la Corte rigetta il motivo prospettato dall'Inps, ove si assumeva che il decorso del termine di prescrizione della contribuzione a percentuale dovuta da un artigiano, quando il diritto sorge dopo un atto di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, e in specie allorché siffatto atto non sia stato preceduto dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, fosse sospeso (art. 2941, n. 8 c.c.) poiché era evidente che il debitore aveva dolosamente occultato all'Inps di aver conseguito un reddito superiore a quello imponibile.

La Cassazione rigetta il motivo alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'operatività della causa di sospensione della prescrizione, di cui all'art. 2941, n. 8, cod. civ., ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, e, quindi, quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l'esistenza dell'obbligazione; con la conseguenza che tale criterio non impone neppure di far riferimento ad un'impossibilità assoluta di superare l'ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l'effetto dell'occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli. Relativamente al caso di specie, ed in applicazione dei richiamati principi, la Corte afferma che la mancata denuncia del reddito non equivalga né ad un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo da corrispondere all'INPS; né che essa configuri impedimento assoluto, non scongiurabile con i normali controlli che l'Istituto può invece sempre attivare e sollecitare anche rivolgendosi all'Agenzia dell'Entrate (si v. Cass. n. 17769/2015).

Sempre in ambito previdenziale, ma con riguardo al recupero di prestazioni, nel caso di specie indennità per cigs, è affrontato l'individuazione del perimetro di applicazione della disposizione più volte citata, con l'ordinanza n. 1426/2019.

La Corte, dopo avere ricordato che l'art. 2941 c.c. individua specifiche e tassative ipotesi di sospensione del termine di prescrizione, tra le quali, salva l'ipotesi del dolo prevista dal n. 8, non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento, constata che la prescrizione decennale decorre dalla data di erogazione dei ratei di cigs riconosciuti al de cuius, salva la possibile rilevanza della mancata comunicazione del rapporto di lavoro all'estero ai sensi e per gli effetti del menzionato n. 8, rinviando pertanto alla corte di merito, per l'accertamento nella concreta fattispecie dei requisiti applicativi dello stesso.

Si osservi che tale modus procedendi, di rinvio alla corte di merito per l'accertamento della verifica di esistenza dei requisiti previsti dal n. 8 dell'art. cit,, risulta essere stato applicato anche nella precedente sentenza n. 27950/2018, emessa sempre in tema di contribuzione dovuta alla gestione separata.

La questione giuridica viene affrontata, ma questa volta con riguardo all'obbligo contributivo del datore di lavoro, nell'ordinanza n. 16038/2019.

La Corte, su sollecitazione dell'Inps, era chiamata a verificare l'esistenza del doloso occultamente a seguito di mancata dichiarazione di debenza contributi, che erano stati accertati dall'Inps solo a seguito della presentazione da parte del datore di lavoro del modello 770/SA. La Cassazione esclude il venir in essere della fattispecie di occultamento doloso prefigurata dal n. 8 dell'art. 2941 c.c., affermando che la mancata denuncia del reddito non equivale né ad un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo da corrispondere all'INPS, né ad un impedimento assoluto, non scongiurabile con i normali controlli che l'Istituto può invece sempre attivare e sollecitare anche rivolgendosi all'Agenzia dell'Entrate.

La necessità imprescindibile di un accertamento di fatto, qualora si affermi in giudizio il venir in essere della fattispecie di doloso occultamento delineata dal n. 8 dell'art. 2941 c.c., la si ritrova affermata dalla Corte, nell'ordinanza n. 16986/2019 ove, una volta affermato che l'obbligo di pagamento della contribuzione a percentuale da parte di un lavoratore iscritto alla Gestione separata sorge una volta che il reddito da lavoro è stato prodotto e da quel momento sorge l'obbligo del pagamento della contribuzione previdenziale o da quello successivo fissato dal legislatore per l'adempimento dell'obbligo contributivo, escludendo qualsivoglia efficacia interruttiva del termine di prescrizione al momento di presentazione della dichiarazione dei redditi, cassa con rinvio la decisione di merito che non aveva svolto l'accertamento di merito in punto occultamento doloso del debito.

Lo stesso modus operandi da parte del Giudice della legittimità lo si rinviene nell'ordinanza n. 19403/2019. La Corte, nel cassare la sentenza di merito, rinvia per ulteriore accertamento di fatto con riguardo all'individuazione del dies a quo della prescrizione e osserva che l'omessa esposizione all'interno della dichiarazione dei redditi degli obblighi contributivi relativi alla gestione separata dell'INPS e connessi al lavoro autonomo (cd. quadro RR del modello di dichiarazione dei redditi) la incompletezza della dichiarazione può rilevare, invece, (non sotto il profilo della interruzione della prescrizione ma) come ipotesi di sospensione della prescrizione per occultamento doloso del debito, secondo una valutazione riservata al Giudice del rinvio, pur in assenza di allegazione nei gradi di merito da parte dell'ente previdenziale, in quanto la eccezione di sospensione della prescrizione costituisce eccezione in senso lato rilevabile d'ufficio.

Nella successiva ordinanza, la n. 25593/2019 (ma si v. anche l'ordinanza n. 14410/2019), la Corte nel rigettare il motivo di doglianza sollevato dall'ente previdenziale, oltre a rammentare che il doloso occultamento è apprezzabile ai sensi dell'art. 2941, n. 8 c.c. solo qualora costituisca un impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli, constata che nel caso sottoposto al suo vaglio tale circostanza era pacificamente esclusa dato che il debitore aveva puntualmente presentato la propria dichiarazione dei redditi e l'Istituto avrebbe potuto avvalersi dei propri poteri ispettivi o chiedere informazioni all'Agenzia delle Entrate.

Interessante appare, agli odierni fini, la sentenza n. 23793/2019 emessa in un procedimento che riguardava la Cassa forense, in essa si rigetta il motivo di doglianza riguardante il vizio interpretativo con riferimento all'art. 2941, n. 8 c.c.; ma si ricordano gli elementi di fatto che hanno portato i giudici di merito a disconoscere la sospensione per doloso occultamento. Nel caso di specie era stata accertata dai giudici di fatto la condotta dolosa del professionista di occultamento del credito per non avere dichiarato parte dei proventi (invece dichiarati al fisco) relativi agli anni 1992 e 1993 nel Modello 5, con giudizio di fatto che si sottraeva ad ogni sindacato in sede di legittimità.

Nell'ordinanza n. 30605/2019, la Corte nel rigettare il motivo di doglianza sollevato da un ingegnere, constata che la corte di merito aveva accertato che il ricorrente aveva omesso di compilare correttamente la dichiarazione dei redditi e ricorda che si è chiarito che costituisce doloso occultamento del debito contributivo verso l'ente previdenziale, ai fini dell'applicabilità dell'art. 2941, n. 8, c.c., la condotta del professionista che ometta di compilare la dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, utile al calcolo dei contributi per la Gestione separata. Anche qui, si assiste alla conferma da parte della Corte di cassazione dell'accertamento dei fatti di causa compiuto dal giudice di merito e sfociato nella riconduzione della concreta fattispecie a quella astratta delineata dal n. 8 dell'art. 2941 c.c.

L'anno 2020 vede da parte della Corte il deposito di un gruppo cospicuo di decisioni che, in applicazione di un principio consolidato, hanno escluso lo spostamento in avanti del termine di prescrizione della contribuzione dovuta alla Gestione separata o della contribuzione a percentuale dovuta alle Gestioni dei lavoratori autonomi, sulla scorta della mancata dichiarazione da parte del lavoratore di una parte del proprio reddito da lavoro e il successivo accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate.

Nell'ordinanza n. 1557/2020, sempre in tema di prescrizione della contribuzione a percentuale dovuta da lavoratore autonomo, nella specie commerciante, la Corte ricorda che 1a dichiarazione dei redditi, quale dichiarazione di scienza (cfr., tra le altre, Cass. n. 2725 del 2011) non è presupposto del credito contributivo, così come non lo è rispetto all'obbligazione tributaria, in quanto il fatto costitutivo è dato dalla produzione di redditi rilevante ai sensi di legge; semmai ad essa, quale atto giuridico successivo all'esigibilità del credito, può riconoscersi effetto interruttivo della prescrizione, se ed in quanto dalla medesima consti la ricognizione dell'esistenza del debito contributivo.

Nella successiva ordinanza n. 5413 del 2020, la Corte dapprima ripete il principio di diritto in tema di ricorrenza della fattispecie delineata dal n. 8 dell'art. cit. e poi, con riguardo al caso di specie, esclude l'operatività della disposizione predetta, nelle more dell'accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate del maggior reddito, pur dolosamente occultato dal contribuente; accertamento dal quale poi sarebbe scaturito l'obbligo del versamento della contribuzione previdenziale all'Inps.

Nell'ordinanza n. 21473 dello stesso anno, in fattispecie riguardante la contribuzione a percentuale dovuta da artigiano a seguito di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, la Corte, pur non pronunciandosi espressamente sul motivo di doglianza, ricorda come sia consolidato il principio di diritto secondo cui l'operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all'art. 2941, n. 8, cod.civ. ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, con la conseguenza che tale criterio non impone di far riferimento ad un'impossibilità assoluta di superare l'ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l'effetto dell'occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli.

Infine, nell'ordinanza n. 23926 del 2020, riguardante fattispecie in tema di sospensione del termine di prescrizione della contribuzione dovuta alla Gestione separata e pur dichiarando assorbito il motivo di doglianza prospettato dall'Inps, la Corte ricorda che è consolidato il principio di diritto secondo cui l'operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all'art. 2941, n. 8, cod.civ. ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, con la conseguenza che tale criterio non impone di far riferimento ad un'impossibilità assoluta di superare l'ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l'effetto dell'occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli ed espressamente menziona le proprie decisione, rispettivamente n. 9113 del 2007, n. 21567 del 2014 e n. 5423 del 2020.

All'interno di tale linea interpretativa e senza contrapposizione di sorta, nonostante il tenore della massima, si pone anche l'ordinanza della Corte di cassazione del 7 marzo 2019, n. 6667, che ha rigettato il ricorso per cassazione proposto dal professionista iscritto alla Gestione separata in una fattispecie omologa a quella esaminata sempre dalla Corte nella sua precedente decisione n. 27950/2018 (la si v. retro).

La Corte è consapevole di esaminare una fattispecie concreta analoga a quella esaminata nella decisione del 2018, ma allo stesso tempo esplicita le ragioni della diversa soluzione, sulla scorta di diverse circostanze di fatto. Ovverosia sulla scorta della constatazione che la corte di merito ha chiaramente valutato e dato atto della condotta dolosa del professionista, di occultamento del credito per non avere compilato, dichiarando i relativi proventi, il quadro adibito alla determinazione dei contributi da parte del Fisco, con giudizio di fatto che si sottrae ad ogni sindacato in sede di legittimità.

Il confronto fra questa decisione e quella del 2018 conferma l'affermazione fatta sempre dalla Corte di cassazione in un suo lontano precedente, la sentenza n. 6607/2003, con riguardo alla possibile difformità di esiti del giudizio di legittimità, radicati su accertamenti di fatto diversi e non censurabili in cassazione.

In questa decisione la Corte, si trattava della sezione lavoro, ricordava che, investendo la questione proposta un accertamento di fatto costituito dall'interpretazione di un atto di portata generale si possono avere decisioni di questa Corte che rigettano ed altre che accolgono ricorsi avverso la medesima interpretazione dell'atto. Le decisioni non evidenziano un contrasto nella giurisprudenza della Corte, né la condivisione da parte della stessa dell'una o dell'altra interpretazione e la convalida della stessa in via generale. Infatti il controllo della Corte sulle questioni di fatto è limitato al controllo sulla sufficienza, logicità e non contraddittorietà della motivazione (si ricordi il diverso ambito del vizio di motivazione al momento di emissione della decisione), e sono ben possibili, soprattutto in relazione ad atti che presentano una certa ambiguità e, si aggiunga in questa sede da parte di chi scrive, anche con riferimento all'applicazione di disposizioni legislative che in considerazione dell'uso di termini astratti, richiedono da parte del giudice una necessaria concretizzazione in sede di applicazione alla luce del materiale probatorio acquisito in ciascun giudizio, decisioni che confermano e altre che rigettano ricorsi avverso sentenze di segno eguale.

Orbene una volta chiarito che la decisione n. 6677/2019 non si pone in contrasto con il trend interpretativo della stessa Corte in tema di applicazione dell'art. 2941, n. 8 c.c. e di applicazione dello stesso in seno al sistema previdenziale, può provarsi in questa sede a verificare come questo modello interpretativo si attagli a fattispecie di mancato riempimento da parte del lavoratore autonomo, di modelli quali il quadro RR in seno alla dichiarazione dei redditi.

Come dimostrato, dalla ricognizione della giurisprudenza di legittimità che ha applicato la disposizione dell'art. 2941, n. 8 c.c., si evince innanzitutto e in via generale che la stessa, in applicazione del disposto legislativo, riconosce la necessità, per il venir in essere di tale tipo di sospensione, di un accertamento di fatto. Accertamento di fatto che comporta pertanto, in capo a chi invoca tale tipo di sospensione, di provare i fatti costitutivi della stessa (in questi termini si v. da ultimo A. Albanese, Sospensione della prescrizione per cause unilaterali e responsabilità, in La responsabilità civile, 7, 653 e ss., in specie 657).

Dalla piana applicazione di tale regola discende pertanto, con riguardo all'omesso riempimento del quadro RR o di quadri consimili delle diverse dichiarazioni dei redditi, che la valutazione dell'effetto di tale omissione è compito esclusivo del giudice di merito. Giudice questo al quale l'ordinamento affida il compito di accertare se, caso per caso, innanzitutto il creditore che assume essere stato danneggiato dal doloso occultamento ha assolto al proprio onere probatorio e successivamente se il materiale probatorio ritualmente acquisito possa condurre alla sussunzione della concreta fattispecie a quella astratta.

La conclusione a valenza generale alla quale si è pervenuti trova ulteriore corroborazione se si esamina specificamente la giurisprudenza della Corte con riguardo all'applicazione dell'istituto nell'ordinamento previdenziale.

In tutte le decisioni esaminate la Cassazione ha escluso il ricorrere della fattispecie di doloso occultamento del debito ancorché il datore di lavoro avesse omesso di presentare all'ente previdenziale le prescritte denunce o presentato le stesse incomplete (si v. fra le tante le sentenze n. 974/1962, n. 1044/1963, n. 5977/1984, n. 9113/2007).

In tutte queste decisioni il giudice della legittimità ha altresì corroborato la propria decisione, evidenziando il potere riconosciuto agli enti previdenziali di procedere ad ispezioni e quindi verificare ex se che il soggetto obbligato al versamento della contribuzione, abbia assolto al suo onere a tempo debito e nella misura predeterminata dalla legge.

Ancora, è stato escluso l'occultamento doloso, allorquando il lavoratore autonomo omette di comunicare agli enti previdenziali la variazione del proprio indirizzo (si v. Cass. n. 963/84) e Cass. n. 26355/2005). Anche in tali fattispecie il giudice della nomofilachia evidenzia come l'omissione notiziale da parte del lavoratore autonomo costituisca un ostacolo di fatto e non precluda agli enti previdenziali di accedere ai registri dell'anagrafe, per verificare l'indirizzo del proprio debitore; esattamente, si aggiunga, come accade, per qualsivoglia creditore.

Nelle più recenti decisioni la Corte affronta la medesima questione con riguardo alla rilevanza probatoria in ambito previdenziale delle dichiarazioni dei redditi e anche per queste, si ritiene del tutto correttamente, esclude una loro presunzione legale assoluta che prescinda da un accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, ritenendo che si sia davanti a dichiarazioni di scienza che non costituiscono presupposto del credito contributivo (si v. da ultimo Cass. n. 5145/2021 e n. 5704/2021). Su questa scia, come retro evidenziato, si pone anche la sentenza n. 6677/2019 che, nell'affermare l'esistenza del doloso occultamento da parte del lavoratore autonomo, radica siffatta statuizione sull'accertamento compiuto dalla corte di appello.

Appare evidente che la Corte, in tutte le decisioni esaminate, disconosce a tutte le dichiarazioni rese dai datori o dai lavoratori autonomi o all'Inps o all'Agenzia delle Entrate una forza giuridica probatoria assoluta, che non possa essere oggetto di valutazione da parte del giudice di merito. Al contrario, dalle statuizioni della Corte, si evince che la forza probatoria di tali dichiarazioni, ai fini del verificarsi della fattispecie tipica di sospensione del termine di prescrizione prevista e disciplinata dal n. 8 dell'art. 2941 c.c., è affidata a un reticolato probatorio che deve essere oggetto di allegazione e prova da parte del creditore e alla valutazione di tale reticolato probatorio compiuta dal giudice a ciò deputato, ovverosia il giudice di merito.

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