Compravendita di partecipazioni societarie e consistenza patrimoniale della target

05 Maggio 2021

È infondata la domanda di risoluzione del contratto preliminare (e, di conseguenza, del contratto definitivo) di compravendita di partecipazioni societarie che assume quale grave inadempimento la violazione delle dichiarazioni e garanzie di parte venditrice, nel caso in cui il contratto preliminare preveda il rimedio indennitario in luogo della risoluzione contrattuale...
Massima

È infondata la domanda di risoluzione del contratto preliminare (e, di conseguenza, del contratto definitivo) di compravendita di partecipazioni societarie che assume quale grave inadempimento la violazione delle dichiarazioni e garanzie di parte venditrice, nel caso in cui il contratto preliminare preveda il rimedio indennitario in luogo della risoluzione contrattuale.

Il caso

Il Tribunale di Milano, con la sentenza in commento, si è pronunciato in merito ad una domanda di risoluzione (in via principale) e di annullamento (in via subordinata) di un contratto preliminare di compravendita di partecipazioni societarie (e, per l'effetto, del relativo contratto definitivo) per asserita violazione di alcune delle representations & warranties contenute nel medesimo contratto.

Di seguito una breve ricostruzione fattuale della fattispecie in esame:

(a) con contratto preliminare di compravendita del 19 ottobre 2011, i due titolari, rispettivamente, del 65% e del 35% del capitale sociale di una S.r.l. (la "Società"), si impegnavano a vendere ad altra società ("Ambrosiana") il 49% del capitale sociale della Società;

(b) il corrispettivo per tale cessione - regolarmente versato dalla Società ai Venditori - veniva pattuito tenuto conto (inter alia): (i) della "Situazione patrimoniale di cessione" al 30 settembre 2011; e (ii) delle dichiarazioni e garanzie a mezzo delle quali i Venditori, inter alia, avevano dichiarato e garantito: (A)l'avvenuto adempimento di tutti gli obblighi fiscali in capo alla Società; (B) l'assenza di contenziosi; e (C)l'inesistenza di circostanze tali da determinare l'assoggettamento della Società a procedure concorsuali;

(c) il 27 settembre 2012 i Venditori e la società Ambrosiana stipulavano il contratto definitivo di compravendita;

(d) con atto di citazione del 25 febbraio 2016, Ambrosiana citava in giudizio i Venditori, deducendo la falsità delle suddette dichiarazioni e garanzie, dal momento che: (A)sei mesi prima della compravendita, alla Società era stato notificato un decreto ingiuntivo per Euro 68.721,43 (oltre interessi); (B) la Società aveva un'esposizione debitoria verso Equitalia Nord S.p.A. pari ad Euro 160.406,72; e (C)la Società - dichiarata fallita dal Tribunale di Lodi il 15 dicembre 2014 - era in stato di decozione già alla data di stipula del contratto definitivo di compravendita; per l'effetto domandando: (A) in via principale, la risoluzione del contratto preliminare (e, per l'effetto, del contratto definitivo) per grave inadempimento dei Venditori; e (B)in via subordinata, l'annullamento del contratto preliminare (e, per l'effetto, del contratto definitivo) per dolo (perché Ambrosiana non avrebbe stipulato il contratto di compravendita se fosse stata debitamente informata dello stato di decozione della Società) o per errore (perché le dichiarazioni mendaci dei Venditori avevano generato in capo ad Ambrosiana una falsa rappresentazione della realtà).

Le questioni giuridiche

La sentenza annotata dà nuova linfa al dibattito dottrinale e giurisprudenziale incentrato sulla corretta identificazione dei rimedi azionabili da parte del cessionario di partecipazioni societarie in presenza di vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale della target.

Segnatamente, la dottrina e la giurisprudenza - muovendo dalla qualificazione del contratto di compravendita di partecipazioni societarie come species del genus contratto di compravendita - si sono interrogate sull'esperibilità dei rimedi ex empto (nonché di quelli relativi ai vizi della volontà) laddove il sale and purchase agreement non preveda garanzie specifiche rilasciate da parte venditrice in merito alla consistenza patrimoniale della target (sul tema, cfr. M. Speranzin, Compravendita "non convenzionalmente garantita" di partecipazioni sociali di "controllo", in Giur. Comm., 2019, I, 468; L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, Bologna, 2015, 123-124, secondo il quale tali clausole di garanzia sono state inserite "a partire dagli anni Ottanta (…) con il fine di proteggere l'acquirente in relazione alla veridicità di alcune dichiarazioni rilasciate dal venditore sulla consistenza del patrimonio della società". L'Autore ha cura di precisare che dette clausole "sono previste anche a favore del venditore nel caso in cui il patrimonio sociale risulti sottostimato rispetto a quanto dichiarato o nel caso di sopravvenienze attive che ne aumentino il valore").

La risposta a tale interrogativo ha avuto contenuti di segno opposto a seconda che gli operatori giuridici abbiano aderito alla tesi che distingue tra "oggetto immediato" e "oggetto mediato" del contratto di compravendita di partecipazioni societarie oppure alla tesi che qualifica tali partecipazioni come "beni di secondo grado".

Osservazioni

La tesi che distingue tra "oggetto immediato" e "oggetto mediato" del contratto di compravendita di partecipazioni societarie.

La tesi prevalente in dottrina e in giurisprudenza afferma che la cessione delle partecipazioni di una società di capitali o di una società di persone ha come oggetto immediato la partecipazione societaria compravenduta, e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta (sul tema: (i) nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass., 13 febbraio 2020, n. 3658, in Guida dir., 2020, 27, 93; Cass., 13 marzo 2019, n. 7183, in Riv. dott. comm., 2019, 3, 532; Cass., 24 luglio 2014, n. 16963, in Foro It., 2015, 12, I, 4001; Cass., 19 luglio 2007, n. 16031, in Giur. It., 2008, 365; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26690, in Mass. Giur. It., 2006; Cass., 21 marzo 2001, n. 4020, in Foro It., 2001, I, 1520; Cass., 8 marzo 2001, n. 3425, in Giust. Civ. Mass., 2001, 449; Cass., 18 dicembre 1999, n. 14287, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2576; Cass., 1° ottobre 1999, n. 10864, in Contratti, 2000, 139; Cass., 27 settembre 1999, n. 10669, in Giur. It., 2000, 980; Cass., 6 agosto 1998, n. 7693, in Soc., 1999, 174; Cass., 23 luglio 1998, n. 7209, in Foro It., 1998, I, 3018; Cass., 21 giugno 1996, n. 5773, in Giur. It., 1997, I, 1, 163; Cass., 28 marzo 1996, n. 2843, in Giur. Comm., 1998, II, 362; Cass., 29 agosto 1995, n. 9067, in Giust. Civ., 1996, I, 1049; Cass., 18 dicembre 1991, n. 14287, in Riv. Not., 2000, 993; (ii) nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Milano, 11 dicembre 2018; Trib. Milano, 10 ottobre 2018; Trib. Milano, 29 giugno 2018; Trib. Torino, 21 febbraio 2018; Trib. Roma, 12 ottobre 2017; Trib. Milano, 3 luglio 2017; Trib. Roma, 19 giugno 2017; Trib. Torino, 25 maggio 2017; Trib. Milano, 12 febbraio 2016 (tutte in www.giurisprudenzadelleimprese.it); Trib. Roma, 5 ottobre 2015, in Giur. Comm., 2017, II, 400; Trib. Roma, 28 settembre 2015, in Giur. Comm., 2017, II, 896; Trib. Milano, 6 luglio 2015, in Soc., 2015, 1172; Trib. Milano, 3 ottobre 2014; Trib. Milano, 23 luglio 2014; App. Milano, 11 luglio 2003, in Giur. It., 2003, 2099; Trib. Napoli, 25 settembre 2002, in Gius, 2003, 1778; Trib. Napoli, 11 marzo 2002, in Contratti, 2002, 1137; Trib. Milano, 4 giugno 1998, in Giur. It., 1998, I, 1, 2106; Trib. Milano, 14 settembre 1992, in Soc., 1993, 511; Trib. Milano, 3 ottobre 1991, in Giur. Comm., 1993, II, 434; Trib. Milano, 5 luglio 1990, in Giur. It., 1991, I, 2, 396; (iii) in dottrina, cfr. L.A. Bianchi, Clausole particolari nel trasferimento di pacchetti azionari di riferimento, in Dir. fall., 1993, I, 389; F. Bonelli, Giurisprudenza e dottrina sulle acquisizioni, in F. Bonelli - M. De Andrè (a cura di), Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, Milano, 1990, 5; M. Campobasso, Vendita del pacchetto azionario di società in liquidazione per perdite, in Riv. dir. priv., 1997, 387; C. D'Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente, Milano, 2003, 32; G. Ferri, Le società, in F. Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1987, 493; P. Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società e corporate governance. Studi in tema di società per azioni, Padova, 1999, 147; D. Proverbio, Le clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni azionarie, Milano, 2000, 19; A. Tina, Il contratto di acquisizioni di partecipazioni societarie, Milano, 2007, 173; G. Sbisà, Società per azioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 1089).

Secondo tale tesi, i suddetti rimedi civilistici troverebbero applicazione solo con riguardo all'oggetto immediato del contratto di compravendita di partecipazioni societarie e, quindi, in tema di representations & warranties, in presenza di violazionidelle cc.dd. legal warranties, vale a dire di quelle garanzie che attengono alle caratteristiche delle partecipazioni compravendute e della target da un punto di vista strettamente societario, a mezzo delle quali parte venditrice garantisce, ad esempio, che le partecipazioni sono libere da diritti di terzi o che la target è stata validamente costituita ed è validamente esistente secondo la legge ad essa applicabile.

Per converso, al ricorrere di violazioni delle cc.dd. business warranties (vale a dire di quelle garanzie che attengono alla consistenza patrimoniale della target), e in assenza di specifiche clausole di garanzia all'uopo predisposte, non sarebbero applicabili i rimedi ex empto e quelli attinenti ai vizi della volontà (sul tema, cfr. L. Renna, cit., 131, secondo il quale "ad eccezione del caso in cui siano state inserite esplicite garanzie in relazione alla consistenza del patrimonio sociale, il compratore non potrà agire contro il venditore nell'ipotesi in cui tale patrimonio dovesse risultare inferiore a quanto ritenuto"; V. Sangiovanni, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, in Not., 2012, 2, 210, secondo il quale "la disciplina di legge si ferma all'oggetto immediato (e cioè alle azioni oggetto del contratto), mentre non si estende alla consistenza e al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l'acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso a un'espressa clausola di garanzia").

Infatti, le partecipazioni compravendute attribuiscono all'acquirente la titolarità di posizioni giuridiche attive e passive - sia da un punto di vista amministrativo che patrimoniale - proprie dello status socii, ma non un diritto di proprietà sui beni sociali, che restano in capo alla società stessa (sul tema, cfr. A. Tina, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, in Giur. Comm., 2020, 4, 735, secondo cui "il trasferimento delle partecipazioni determina soltanto l'acquisto di quell'insieme di posizioni giuridiche attive e passive che costituisce (…) l'unico oggetto possibile sul piano giuridico-formale del contratto di compravendita. Il socio in quanto tale non ha un diritto di proprietà sui beni sociali ").

Pertanto, in relazione ad eventuali passività che dovessero intaccare il patrimonio della target, l'acquirente potrebbe ottenere il riequilibrio del sinallagma contrattuale solo attraverso la clausola indennitaria, la quale, unitamente alle representations & warranties, costituisce il c.d. patto di garanzia, rappresentandone il "momento sanzionatorio" (espressione presente in G. Salatino, La "clausola indennitaria" nel contratto di acquisizione ("Sale Purchase Agreement"), in Riv. Not., 2017, 2, 295. Secondo l'Autore, "mentre le "dichiarazioni e garanzie" descrivono la consistenza del patrimonio sociale (…) la clausola indennitaria prescrive invece il meccanismo rimediale che l'acquirente potrà azionare nel caso in cui dovesse risultare che quanto rappresentato dal venditore non sia conforme alla situazione reale della società target [attuando] il riequilibrio contrattuale in relazione ad eventuali passività che dovessero intaccare il patrimonio della società target").

L'azionabilità del solo rimedio indennitario è conclusione alla quale si perviene anche tenuto conto del fatto che, nel nostro ordinamento, i soggetti esclusivamente responsabili della gestione dell'impresa e della conservazione dell'integrità del patrimonio sociale sono gli amministratori, mentre ai soci, in linea di massima, è precluso il compimento di atti di gestione e/o di disposizione del patrimonio sociale.

Pertanto, eventuali violazioni degli impegni assunti da parte venditrice attraverso le cc.dd business warranties non possono essere valutate in termini di inadempimento (e di conseguente risarcimento del danno): l'inadempimento, infatti, è rilevante solo se collegato ad un profilo di "imputabilità", profilo la cui sussistenza è smentita dall'esclusività della competenza amministrativa in tema gestionale (sul tema: (i) in giurisprudenza, cfr. Cass., SS.UU., 3 maggio 2019, n. 11748, in Giur. It., 2019, 1527, secondo cui "se la garanzia per vizi pone il venditore in una condizione non di "obbligazione" (dovere di prestazione) ma di "soggezione" (…) lo schema concettuale a cui ricondurre l'ipotesi che la cosa venduta risulti viziata non può essere quello dell'inadempimento di una obbligazione"; (ii) in dottrina, cfr. A. Tina, cit., secondo il quale "il verificarsi o non verificarsi degli eventi o delle circostanze dedotte in garanzia non rientrano nella materiale disponibilità dell'alienante. (…) Si tratta, infatti, di eventi e circostanze che sono normalmente già presenti al momento della conclusione del contratto e della produzione dell'effetto reale e su cui l'alienante, in quanto tale (i.e., in quanto socio) non ha, né può avere, alcun diretto controllo e, conseguentemente, alcun collegamento eziologico"; G. Salatino, cit., 299 secondo il quale "ove in epoca successiva al trasferimento delle partecipazioni dovessero risultare passività che intacchino la consistenza del patrimonio sociale, l'ex socio/venditore potrà eccepire che l'inadempimento non è a lui imputabile, visto che la gestione del patrimonio sociale è per legge materia di esclusiva competenza degli amministratori").

La difformità dell'effettiva consistenza del patrimonio sociale rispetto a quanto indicato nel sale and purchase agreement, quindi, dovrà essere valutata in termini di violazione del c.d. patto di garanzia, con conseguente obbligo, in capo a parte venditrice, di corrispondere a parte acquirente un indennizzo (l'obbligo di corresponsione dell'indennizzo prescinde dalla natura giuridica del patto di garanzia, che la dottrina ha talvolta qualificato come patto avente natura assicurativa (cfr. G. De Nova, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2019, 185) e talaltra come promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c. (cfr. M. Confortini, Clausole di rappresentazione e garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 581; M. Rubino De Ritis, Trasferimento di pacchetti azionari di controllo: clausole contrattuali e limiti all'autonomia privata, in Giur. Comm., 1997, II, 888; G. Salatino, "Patto di garanzia" nel contratto di acquisizione ("Sale Purchase Agreement"), in Giur. Comm., 2015, II, 893) eventualmente parametrato alle clausole contrattuali predisposte dalle parti (de minimis, basket, cap) (per una rassegna delle clausole limitative del quantum indennitario cfr. V. Sangiovanni, cit., 212-213).

L'adesione alla tesi suesposta ha portato quindi la dottrina e la giurisprudenza ad escludere - o circoscrivere sensibilmente - l'applicabilità di rimedi quali:

(a) i rimedi ex empto previsti dagli artt. 1490 (Garanzia per i vizi della cosa venduta) e 1497 (Mancanza di qualità) c.c., dal momento che (in assenza di un'espressa pattuizione sul punto) la consistenza del patrimonio sociale non può considerarsi come una qualità della cosa né può essere paragonata ad un vizio della stessa (sul tema, cfr. Trib. Milano, 15 febbraio 2006, in Impresa, 2007, 591; App. Milano, 24 gennaio 2003, in Mass. Giur. It., 2003; Trib. Milano, 9 novembre 1992, in Giur. It., 1993, I, 2, 677).

L'impossibilità di esperire i rimedi ex empto scongiura anche l'applicabilità dei termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1495 c.c., i quali risultano inconferenti rispetto alle peculiarità che connotano la compravendita di partecipazioni sociali (sul tema, cfr. Cass., 24 luglio 2014, n. 16963, cit., secondo cui "sono insussistenti i presupposti della disciplina codicistica quando si tratti di garanzia fornita per le sopravvenienze passive della società che, seppure relative a fatti avvenuti prima della conclusione del contratto, si potranno manifestare anche a distanza di anni, senza che l'acquirente ne avesse potuto avere conoscenza prima");

(b) la risoluzione del contratto per aliud pro alio, circoscritta ad ipotesi in cui le partecipazioni compravendute presentino difetti tale da renderle inidonee ad assolvere alla propria funzione economico-sociale (quali, ad esempio, il trasferimento di azioni di società fallita, sciolta o in liquidazione (Cass., 29 agosto 1995, n. 9067, cit.), oppure il caso in cui l'azienda sia priva dell'autorizzazione necessaria per il proprio esercizio (Cass., 10 dicembre 1991, n. 13268, in Rep. Foro It., 1991) o il trasferimento di azioni di categoria diversa rispetto a quella pattuita (M. Confortini, cit., 569));

(c) l'annullamento (sull'annullamento per dolo o per errore del sale and purchase agreement, cfr., in dottrina, A. Bertolotti, Rimedi contrattuali e non, in M. Irrera (diretto da), Le acquisizioni societarie, Bologna, 2011, 696; G. Iorio, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006, 82; A. Tina, cit.):

(i) per dolo (complice anche la difficoltà di provare l'intenzionalità del venditore di trarre in inganno il deceptus) (sul tema, cfr. Cass., 12 novembre 2018, n. 29010, in Mass. Giust. Civ., 2018; Cass., 27 novembre 2012, n. 21094, in Guida dir., 2013, 11, 37; Cass., 12 giugno 2008, n. 15706, in Guida dir., 2008, 42, 84; Cass., 3 aprile 2003, n. 5139, in Foro It., 2003, I, 3047; Cass., 1° aprile 1996, n. 3001, in Corr. Giur., 1997, 81, secondo cui "non è annullabile per dolo la cessione della partecipazione sociale qualora il cedente, durante le trattative, abbia dato ai cessionari generiche assicurazioni in ordine alla solidità finanziaria e all'affidabilità sul mercato della società le cui quote siano oggetto di cessione"); o

(ii) per errore (sulla consistenza patrimoniale della target), il quale non è essenziale (sul tema, cfr. Cass., 19 luglio 2007, n. 16031, cit., secondo cui, in assenza di un'esplicita garanzia rilasciata dal venditore in merito alla consistenza patrimoniale della target, il valore economico delle partecipazioni compravendute non rientra fra le qualità dell'oggetto della prestazione ex art. 1429, n. 2), c.c. neppure quando il bilancio della target sia falso o nasconda, comunque, una situazione fattuale che imporrebbe l'applicazione delle norme in materia di riduzione del capitale sociale. Si vedano anche Trib. Milano, 4 agosto 2014, in Contratti, 2014, 1035; Trib. Roma, 16 aprile 2009, in Soc., 2010, 1203) né riconoscibile ("Posto che è impossibile ricorrere al criterio del valore reale come termine di riferimento per l'impugnativa del prezzo contrattuale" (così L. Renna, cit., 145)). Le qualità delle partecipazioni compravendute determinanti ai fini del consenso, infatti, "si limiterebbero a quelle che attengono (…) all'insieme di facoltà e diritti che [le partecipazioni] conferiscono al loro titolare all'interno della società, senza considerazione alcuna in merito al valore di mercato di esse, quale può risultare dal bilancio, dallo stato patrimoniale della società e da tutti gli altri elementi che influiscono sul loro valore" (Cass., 19 luglio 2007, n. 16031, cit.);

(d) la rescissione per lesione (sul tema, cfr. F. Bonelli, cit., secondo il quale "la lesione ultra dimidium è certamente ardua da provare, data l'elasticità e soggettività dei criteri di valutazione delle azioni"; in senso conforme, O. Cagnasso, Trasferimento delle partecipazioni sociali, contratto aleatorio e rescissione per lesione, in Giur. It., 1992, I, 1, 604; D. Calabrese, Rescissione per lesione e alienazione di pacchetto azionario strategico, in Contr. e impr., 2002, 510; G. Iudica, Il prezzo nella vendita di partecipazioni azionarie, in Corr. Giur., 1991, 769).

L'eliminazione, o la compressione del relativo ambito di operatività, dei suddetti rimedi è anche legata ad esigenze di carattere commerciale: infatti, i rimedi messi a disposizione dall'ordinamento, se esperiti con successo, comporterebbero la caducazione ex tunc dell'efficacia del sale and purchase agreement, che è un effetto diametralmente opposto rispetto alle finalità perseguite dalle parti (sul tema, cfr. G. Salatino, cit., 299 secondo il quale "il più delle volte l'acquirente, a fronte di perdite che vanno ad intaccare la consistenza del patrimonio sociale della società target, avrà piuttosto l'interesse ad ottenere un ristoroeconomico che controbilanci la diminuzione del valore di detto patrimonio, che non ad esperire un rimedio che privi completamente di efficacia l'operazione"; V. Sangiovanni, cit., 208, secondo il quale "i rimedi previsti in generale dalla legge in presenza di vizi del bene (…) non sono di norma adatti alle esigenze dei soggetti coinvolti nelle acquisizioni societarie. Ciò vale specialmente per i rimedi "restitutori"").

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La tesi che qualifica le partecipazioni societarie come "beni di secondo grado".

Risulta invece minoritaria la tesi che, qualificando le partecipazioni come "beni di secondo grado" (così T. Ascarelli, Riflessioni in tema di titoli azionari, personalità giuridica e società tra società, in Banca borsa e tit. cred., 1952, I, 385), afferma la titolarità indiretta dei soci sui beni della società: secondo tale tesi, il trasferimento delle partecipazioni sociali comporta, ex se, il trasferimento dei beni sociali ad esse sottostanti.

Detto orientamento, poco diffuso in giurisprudenza (nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass., 9 settembre 2004, n. 18181, in Mass. Foro It., 2004; Cass., 20 febbraio 2004, n. 3370, in Giur. Comm., 2005, II, 130; Cass., 28 marzo 1996, n. 2843, in Giur. Comm., 1998, II, 362; Cass., 12 dicembre 1995, n. 12733, in Giust. Civ., 1996, I, 2649; nella giurisprudenza di merito, cfr. App. Cagliari, 26 settembre 2016, in Riv. giur. sarda, 2018, 175 e Trib. Lucca, 10 luglio 2015, in Giur. Comm., 2017, II, 400), è stato recentemente riproposto dalla Corte di Cassazione).

Nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte, successivamente all'acquisto del 70% del capitale di una S.r.l., e a fronte della garanzia di parte venditrice sulla conformità della situazione patrimoniale ed economica della target alle risultanze del bilancio chiuso al 31 dicembre 2008, parte acquirente aveva rilevato sopravvenienze passive dei precedenti esercizi tali da determinare lo scioglimento della target per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale.

Il Tribunale di Forlì - con decisione confermata dalla Corte d'Appello di Bologna (App. Bologna, 28 dicembre 2017, n. 3053, inedita) - pronunciava la risoluzione dei contratti di compravendita di partecipazioni sociali per inadempimento di parte venditrice (Trib. Forlì, sentenza n. 520/2014, inedita).

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha respinto (per motivi processuali) il ricorso di parte venditrice, precisando - in un obiter dictum - che le partecipazioni di società di capitali sono "beni di secondo grado (…) non del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale" e rappresentano le "posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all'esercizio dell'attività sociale". Pertanto, dal momento che "i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali" (ciò a prescindere dalla sussistenza o meno di un'esplicita garanzia al riguardo, venendo in soccorso del cessionario, in caso di assenza di specifiche pattuizioni contrattuali, il principio di buona fede), la Suprema Corte ha concluso affermando che "la differenza tra l'effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società (…) può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497 c.c. ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell'acquirente, l'esperimento di un'ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c.".

L'ordinanza della Corte di Cassazione ha ricevuto un'accoglienza piuttosto critica da parte dei primi commentatori, i quali hanno rilevato che:

(a) la qualificazione delle partecipazioni sociali come "beni di secondo grado" non è idonea a superare il rilievo per cui l'oggetto immediato del sale and purchase agreement - i.e. il diritto reale sulle partecipazioni compravendute - si traduce unicamente nell'acquisto delle posizioni giuridiche attive e passive che vanno a connotare il c.d. status socii (così A. Tina, cit., 735);

(b) non essendoci - nell'ambito della negoziazione di un sale and purchase agreement - alcun contraente debole da tutelare, il principio dell'affidamento secondo buona fede invocato dalla Corte di Cassazione non avrebbe cittadinanza; anche ammettendosi l'esistenza di una garanzia ex fide bona, questa non potrebbe portare a "surrogare le business warranties con garanzie convenzionali implicite", riconducendo all'interno dell'oggetto contrattuale beni con lo stesso assolutamente inconferenti (i.e. il patrimonio sociale) (così F. Marotta, La Cassazione ritorna sulle garanzie legali e convenzionali nella vendita di partecipazioni "di controllo": un déjà vu?, in Banca borsa e tit. cred., 2020, 546);

(c) l'aliud pro alio ex art. 1453 c.c.(che ricorre quando la cosa consegnata presenti difetti che le impediscono di assolvere alla propria funzione naturale) non sarebbe un istituto adeguato al caso di specie: infatti i soci, pur in presenza di perdite tali da erodere il capitale minimo, avrebbero potuto ricapitalizzare la società e, quindi, utilizzare le partecipazioni acquisite secondo le funzioni che le erano proprie (così F. Marotta, cit., 555. Avverso un'applicazione indistinta delle clausole generali, ed in particolare della clausola di buona fede, cfr. N. Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2015);

(d) la risoluzione ex art. 1497 c.c. viene avallata dalla Suprema Corte sulla scorta di un'impropria sovrapposizione tra i concetti di "valore" e "qualità" delle partecipazioni. Le qualità "essenziali" e "promesse" rilevanti ai fini dell'art. 1497 c.c. sono quelle che attengono alla struttura materiale e alla funzionalità della cosa venduta, mentre attraverso le clausole di garanzia aventi ad oggetto la consistenza patrimoniale della target le parti prevedono delle obbligazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del sale and purchase agreement. La garanzia pattizia ha, pertanto, un oggetto distinto da quello di cui all'art. 1497 c.c. (così A. Tina, cit., 747-749. Secondo F. Marotta, cit., 570, "la mancanza di qualità ex art. 1497 c.c. può essere invocata (…) in caso di vendita di partecipazioni prive del diritto di voto, non liberate, soggette a diritti di terzi o costituenti frazione più piccola, rispetto al capitale, di quella creduta e pattuita". Sul tema, cfr. F. Bonelli, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del venditore, in Dir. comm. internaz., 2007, 21; V. Pinto, Le garanzie "patrimoniali" nella vendita di partecipazioni azionarie di controllo: qualificazione giuridica e termini di prescrizione, in Riv. soc., 2003, 415).

Conclusioni

Aderendo all'orientamento maggioritario (orientamento ritenuto preferibile "sia perché è indiscutibile, sul piano giuridico, la alterità oggettiva tra la partecipazione oggetto di contratto ed il patrimonio della società, che appartiene ad altro soggetto giuridico e sul quale il socio non vanta diritti (…), sia perché, sul piano economico, le parti del contratto di cessione ben possono tutelare i propri interessi inserendo apposite clausole di dichiarazioni e garanzie eventualmente anche ad effetto risolutivo, sia perché la prassi degli affari ha ormai da tempo individuato acconce clausole capaci di tutelare pienamente il cessionario, sia perché diverse impostazioni ermeneutiche finiscono inevitabilmente per aprire spazi di incertezza applicativa particolarmente disfunzionali in questa delicata materia" [cfr. § 2 della sentenza annotata (Le domande attoree. La domanda principale di risoluzione del Contratto Preliminare e del Contratto: infondatezza)], il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda di risoluzione, nonché - seppur per altri motivi - quella di annullamento dei contratti.

Le argomentazioni addotte dai giudici meneghini si incardinano, oltre che sui temi giuridici già passati in rassegna al precedente § 4.1, anche su quanto emerso nella "prassi degli affari", che ha "individuato acconce clausole capaci di tutelare pienamente il cessionario". La piena tutela alla quale fa riferimento la Corte milanese è quella che, nel contesto di un sale and purchase agreement, si sostanzia nel rimedio indennitario, strutturato quale sole remedy (sulla validità della clausola di sole remedy e sulla compatibilità della stessa con l'art. 1462, cfr. L. Renna, cit., 312-314; G. Salatino, cit., 307-311). Le parti (in una fattispecie come quella in esame) rimettono a tale rimedio il riequilibrio contrattuale in relazione ad eventuali passività che dovessero intaccare la consistenza patrimoniale della target, evitando così l'esperibilità di rimedi la cui efficacia "caducante" divergerebbe rispetto ai fini commerciali perseguiti dalle parti medesime.

Occorrerà attendere le prossime pronunce di legittimità e di merito per capire se l'orientamento al quale ha aderito il Tribunale di Milano troverà il proprio consolidamento o se, invece, la giurisprudenza darà nuova linfa ad un dibattito che stenta a trovare un approdo definitivo.

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