La ristrutturazione aziendale mal si concilia con lo straining
05 Maggio 2021
Massima
Una fattispecie può integrare un'ipotesi di straining allorquando il datore adotti iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante condizioni lavorative "stressogene" e, dunque, siano a tale fine predisposte. Questa condizione non è ravvisabile qualora la situazione di amarezza, determinata ed inasprita dal cambio della posizione lavorativa, sia eziologicamente connessa a processi di riorganizzazione e ristrutturazione coinvolgenti interamente l'impresa, difettando l'elemento soggettivo imprescindibile per la configurazione dello straining.Il caso
Il Tribunale di Bergamo accoglieva in parte il ricorso proposto dal lavoratore e, accertato il demansionamento dello stesso, condannava la parte datoriale al risarcimento del danno alla professionalità. La decisione veniva sostanzialmente confermata in appello. I giudici di seconde cure rilevavano che, successivamente alla riorganizzazione aziendale del 2003, il mutamento delle mansioni assegnate al ricorrente ne aveva determinato un demansionamento: l'incarico assegnato, infatti, non tanto dal punto di vista del suo inquadramento professionale quanto rispetto al valore e al contenuto professionale delle precedenti mansioni, era stato ritenuto dequalificante. Dopo la seconda ristrutturazione avvenuta nel 2007, al lavoratore erano stati proposti due nuovi ruoli che però venivano dallo stesso rifiutati ingiustificatamente. Il demansionamento patito andava, pertanto, rimodulato fino al giugno del 2007.
Avverso quest'ultima decisione il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione affidato ad otto motivi. Il datore presentava ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Il dipendente, in sintesi, asseriva la violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. per avere la Corte di appello escluso il demansionamento per il periodo successivo al 2007, errando nella comparazione delle funzioni di sua competenza. La comparazione non era stata effettuata con riferimento al periodo precedente il 2003, ma con riferimento a quello successivo, tra il 2003 ed il 2007. Lamentava infine il mancato pieno risarcimento del danno non patrimoniale patito, nonché l'esclusione del denunciato straining e del connesso risarcimento del danno.
Con il ricorso incidentale il datore denunciava, in sintesi, l'erroneità della valutazione circa il demansionamento tra il 2005 ed il 2007 nonché il quantum del risarcimento riconosciuto per tale periodo.
La questione giuridica
Ai fini del demansionamento quali sono le mansioni che il giudice deve considerare al fine di valutare l'effettivo svilimento della professionalità? Può configurarsi un'ipotesi di straining laddove il mutamento delle funzioni svolte dal lavoratore siano conseguenza diretta di una riorganizzazione dell'impresa nella sua interezza? La soluzione della Corte
Sia il ricorso principale che quello incidentale sono stati rigettati.
Ai fini che qui interessano, si riporta succintamente la motivazione della sentenza.
Il giudice di legittimità ha evidenziato che i ruoli offerti al lavoratore nel 2007 dovevano ritenersi idonei a colmare il precedente demansionamento. Suddetta idoneità doveva essere valutata alla luce dell'orientamento giurisprudenziale in materia secondo cui l'equivalenza delle mansioni ex art. 2103 c.c. deve intendersi come conservazione della professionalità del dipendente in senso dinamico, recte come capacità del lavoratore di recuperare nel nuovo posto di lavoro la potenzialità acquisita.
Quanto al profilo risarcitorio, la Corte ha rilevato l'insufficienza degli elementi probatori forniti dal lavoratore: l'asserito pregiudizio di natura non patrimoniale da demansionamento, infatti, deve essere allegato e provato, non essendo configurabile alla stregua di un danno in re ipsa. In assenza di allegazioni circa la rilevanza costituzionale della lesione alla persona e della sua gravità, inoltre, non è possibile fare riferimento al procedimento per presunzioni, che richiede pur sempre la presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, fondati su elementi diversi dal fatto in sé, esclusi i meri disagi o fastidi.
Il giudice di legittimità ha rilevato il difetto di elementi dimostrativi utili a provare un intento vessatorio o punitivo del datore nell'assegnazione delle mansioni inferiori. Le modifiche del ruolo ricoperto dal lavoratore, infatti, risultavano inserite nell'ambito di processi di riorganizzazione e ristrutturazione generale. È stato rammentato che lo straining è ravvisabile allorquando il datore adotti iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante condizioni lavorative "stressogene", ma non quando - come nel caso in esame - la situazione di amarezza, determinata ed inasprita dal cambio della posizione lavorativa, sia determinata dai processi di riorganizzazione e ristrutturazione coinvolgenti l'impresa nella sua interezza. Osservazioni
Lo straining è stato definito come una “situazione di stress forzato” in cui la vittima subisce almeno un effetto negativo duraturo nell'ambiente lavorativo a causa di una condotta “attuata appositamente contro una o più persone…in maniera discriminante” (Trib. Bergamo, 21 aprile 2005, n. 286). Il lavoratore, quindi, è sottoposto ad una situazione di stress forzato, ossia superiore a quello connesso alla natura del lavoro, mediante azioni direzionate intenzionalmente nei suoi confronti. Le modalità sono varie e, tra queste, è possibile certamente includere il mutamento di mansioni, come nel caso in esame.
Nonostante la diversità evidenziata dalla giurisprudenza tra lo straining ed il mobbing – recte l'assenza di continuità e sistematicità – non potrebbe non tenersi conto anche del profilo soggettivo delle fattispecie, ossial'esigenza di valutare l'intenzionalità della condotta del superiore gerarchico.
Laddove l'elemento psicologico venisse pretermesso, superando così anche l'esigenza di uno specifico e distinto accertamento giudiziale, risulterebbe non agevole stabilire in modo netto e certo il confine tra lo straining e lo stress occupazionale. La presenza della componente dolosa rappresenta, infatti, il vero discrimen tra le due fattispecie, in particolare nei casi in cui la condotta del superiore si presenti come formalmente lecita.
In difetto di una pluralità di comportamenti vessatori protratti nel tempo e posti in essere in modo sistematico, è configurabile lo straining, quale forma attenuata di mobbing (Cass. 7844/2018), purché l'atto stressogeno sia stato scientemente attuato nei confronti della vittima. L'intenzionalità è pertanto ineliminabile.
La giurisprudenza, tuttavia, non ha sempre ritenuto l'aspetto psicologico indispensabile: lo straining sarebbe configurabile anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio in quanto “lo stress forzato” può anche derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in una situazione di alta tensione o intenso disagio per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo (Cass. ord. n. 7844/2018). Anche in queste ultime ipotesi, tuttavia, non sembra possibile staccare completamente la situazione stressogena dalla consapevolezza dello strainer (Cass. n. 3291/2016).
La questione ha interessato anche la fattispecie di mobbing. In una prospettiva di tipo "soggettivo", l'accento sul profilo del dolo è finalizzato ad evitare derive verso una responsabilità oggettiva. La condotta dovrebbe essere espressione di un disegno finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore: è sufficiente un generico animus nocendi, cioè una semplice volontà di danneggiare la vittima, potenzialmente dimostrabile anche mediante presunzioni ex art. 2729 c.c.
Da un punto di vista “oggettivo”, invece, si è contestato il valore irrinunciabile dell'elemento psicologico del “persecutore”: affinché possa parlarsi di mobbing (e dunque anche di straining in quanto suo minus) sarebbe sufficiente una condotta oggettivamente, rectius intrinsecamente diretta o idonea a danneggiare l'integrità psico-fisica del lavoratore, così superando le difficoltà connesse all'accertamento di “fumose” componenti psicologiche della fattispecie.
Nel tentativo superare la dicotomia tra le due tesi sopra citate, appare opportuno evidenziare nuovamente come la prova dell'elemento psicologico possa essere fornita anche in modo indiretto, recte presuntivamente. Sebbene nello straining non possa farsi leva sulla ripetitività delle condotte, la pretestuosità delle ragioni addotte a giustificazione del singolo atto datoriale ben potrebbe manifestare l'intento persecutorio.
L'astratta volontà vessatoria potrebbe essere rivestita di concretezza mediante l'obbiettività della condotta ed il duplice esame – soggettivo e oggettivo – esprimerebbe la sua massima utilità in tutti i casi di formale legittimità delle scelte datoriali. La finalità illecita della condotta dovrà essere apprezzata dal giudice tenendo conto di tutte le circostanze di fatto caratterizzanti il caso specifico.
Tale approccio sembra essere stato seguito dalla Suprema Corte nella decisione in commento: sebbene il demansionamento possa in astratto configurare un'ipotesi di straining, l'intento persecutorio deve essere escluso ove le ragioni giustificanti in concreto l'adibizione del lavoratore a diverse mansioni – recte la ristrutturazione aziendale – siano provate. Tale circostanza, interessando l'organizzazione dell'impresa in generale, è inconciliabile con la volontà di pregiudicare direttamente il singolo lavoratore.
Per approfondire - G. Pezzini, La (discutibile) qualificazione dello straining come un minus del mobbing, ma a oneri probatori invariati, inResp. Civ. Previd. 2, 2020, pp. 0496C ss.; - A. Aloisi, Oltre al danno, la prova dell'intento vessatorio. il mobbing tra tesi "soggettiva" e complessità dell'azione, in Arg. dir. lav., 2018, 2, pp. 594 ss.; - C. Lazzari, Le disfunzioni dell'organizzazione del lavoro: mobbing e dintorni, in Dir. Sicur. Lav., 2018, n. 2, pp. 3 ss.; - M. Lambrou, Rapporto di lavoro e danni da straining, in DPL, 2018, n. 47-48, pp. 2856 ss.; - E. Signorini, Ambiente di lavoro e conflitto: il fenomeno dello straining, in Resp. Civ. Prev. 1, 2017, pp. 0311B ss. |