Il curatore non può proporre personalmente, senza ministero del difensore, istanza di fallimento

Sergio Sisia
06 Maggio 2021

L'istanza di fallimento, in quanto proposta personalmente dal curatore, rende nulla la sentenza dichiarativa di fallimento non essendo applicabile la sanatoria prevista dall'art. 182, comma 2, c.p.c. la quale presuppone che l'atto di costituzione in giudizio sia stato comunque redatto da un difensore.
Massima

L'istanza di fallimento, in quanto proposta personalmente dal curatore, rende nulla la sentenza dichiarativa di fallimento non essendo applicabile la sanatoria prevista dall'art. 182, comma 2, c.p.c. la quale presuppone che l'atto di costituzione in giudizio sia stato comunque redatto da un difensore.

Il caso

La Corte d'appello di Caltanissetta rigettava il reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Gela che aveva dichiarato, su istanza personale del curatore ex art. 147, comma 5, l. fall., il fallimento della (super)società di fatto tra una s.r.l. e una s.n.c., nonché di quest'ultima e dei suoi soci illimitatamente responsabili. La Corte territoriale, in sintesi, riteneva infondato il motivo col quale era stata eccepita la nullità della sentenza per difetto di assistenza tecnica del curatore, rilevando: “(…) i) che l'istanza può essere presentata anche in proprio; ii) che l'eventuale difetto di rappresentanza, sanabile ai sensi dell'art. 182 c.p.c., era stato in effetti sanato in sede di reclamo” (cfr. p. 1 della sent.). Avverso detta decisione la s.n.c. e uno dei suoi soci illimitatamente responsabili proponevano ricorso per Cassazione, denunziando: (i) la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 15 e 147 l.fall. per “difetto di rappresentanza tecnica del curatore”, in quanto, essendo il procedimento ex art. 147 l. fall. un procedimento con parti contrapposte in posizione antagonista che trae origine da una domanda analoga a quella ex art. 6 l.fall., destinato a concludersi con un provvedimento idoneo ad incidere sui diritti fondamentali della persona, la rappresentanza processuale tecnica è imprescindibile, così come in ogni procedimento camerale che risolve una controversia su diritti o su status con un provvedimento di carattere decisorio, suscettibile di passare in giudicato, senza possibilità di sanatoria ex art. 182 c.p.c., come affermato, invece, dalla Corte d'appello; (ii) la violazione e falsa applicazione dell'art. 2290 c.c., degli artt. 10 e 11 l.fall. in ragione della mancata notifica del ricorso in estensione agli eredi del socio defunto; e (iii) per “Omessa insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 5, relativamente all'art. 115 c.p.c.” (cfr. p. 2 della sent.), essendo stato dichiarato il fallimento da un collegio di cui faceva parte il giudice delegato dell'originario fallimento della s.r.l., senza decidere iuxta alligata et probata, utilizzando atti e documenti non resi noti ai fallendi, oltre che in assenza della prova dell'esistenza della c.d. super società di fatto.

La questione

La Cassazione, con la sentenza in commento, ha accolto il primo motivo del ricorso, con assorbimento dei restanti, contestando, in primo luogo, l'affermazione della Corte territoriale secondo cui “(…) pure assumendo, in tesi, che l'istanza del curatore L. Fall., ex art. 147, comma 4, richieda la rappresentanza tecnica (...) la questione andrebbe comunque sussunta nell'ambito della previsione dell'art. 182 c.p.c., comma 2, con la sola conseguenza dell'obbligo per il giudice di promuovere la sanatoria (ciò in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del difetto, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali - cfr. Cass. SU sent. n. 9217/2010 e, per il caso specifico di difetto di rappresentanza processuale, Cass. SU sent. n. 28337/2011)”; di conseguenza, l'avvenuta costituzione della curatela fallimentare con il ministero del difensore in sede di reclamo avrebbe sanato “l'assunto difetto di rappresentanza” (cfr. par. 3.1 della sent.).

La Suprema Corte contesta, prima di tutto, la predetta statuizione della corte territoriale (anche perché, come si vedrà sub 2. de “Le questioni giuridiche”, è quella che potrebbe avere l'avallo di alcune decisioni della stessa Suprema Corte) affermando, e chiarendo, i seguenti principi, già affermati peraltro in altre occasioni.

1. La necessità per il curatore che agisca ai sensi della l. fall., art. 147, co. 4, (cui rinvia il successivo co. 5) di avvalersi del ministero di un difensore.

Preliminarmente, la Corte Suprema rileva che “(…) in assenza di un'espressa disposizione di legge sulla necessità o meno della difesa tecnica, occorre considerare la natura del procedimento per dichiarazione del fallimento, cui quello in estensione L. Fall., ex art. 147, comma 4, fa espresso richiamo (mediante il rinvio alle disposizioni contenute nella L. Fall., artt. 15,18 e 22)”. In proposito, la Cassazione osserva che “(…) pur essendo stato di recente precisato che il procedimento per la dichiarazione di fallimento (…) non può essere assimilato in toto al rito ordinario di cognizione” (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 22 agosto 2018,n.20957, e Cass. Civ., Sez. I, ord. 7 maggio 2020, n. 8611), dottrina (cfr. G. Olivieri, La dichiarazione di fallimento, in G. Olivieri-P. Piscitello (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Napoli, 2007, 41; M. Vitiello, Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma organica al decreto correttivo (a cura di S. Ambrosini), Bologna, 2008, 21; e E. Righetti, Il diritto fallimentare riformato in G. Schiano di Pepe (a cura di), Commento sistematico, Padova, 2007, 55) e giurisprudenza (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20661; Cass. Civ., Sez. I, 12 agosto 2016, n. 17078 ; Cass. Civ., Sez. I, 22 maggio 2013, n. 12550; Cass. Civ., Sez. I, 2 aprile 2012, n.5257; Cass. Civ., Sez. I, 22 gennaio 2010, n. 1098; e Cass. Civ., Sez. I, 28 ottobre 2010, n. 22110) convergono sulla qualificazione del procedimento “prefallimentare” come giudizio camerale a carattere contenzioso e a cognizione piena.

Ciò premesso, la Cassazione ribadisce l'applicabilità della regola generale di cui all'art. 82 c.p.c., co. 3, “(…) norma, si noti, ora integralmente recepita dal D.Lgs. n. 14 del 2019, art. 8 [rectius: “9”], comma 2, per tutte le procedure disciplinate dal CCII”, secondo cui “Salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla Corte di appello le parti devono stare in giudizio con il patrocino del procuratore (…)”. In questo senso, nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Milano, 23 novembre 2017, in Il Caso.it; App. Brescia, 21 agosto 2014, ivi; Trib. Mantova, 27 gennaio 2011, ivi; Trib. Modena, 2 ottobre 2009, in Il Fallimento, 2010, 120; Trib. Roma, 18 agosto 2008, ivi, 2008, 1202 e Trib. Santa Maria Capua Vetere, 23 gennaio 2008, in Dirittoitalia.it. Irrilevante è del resto l'ipotesi del “ricorso del debitore” finalizzato al proprio fallimento ex artt. 6 e 14 l. fall., per il quale non è previsto il ministero obbligatorio del difensore (in proposito, cfr. Cass. Civ., Sez. I, 16 settembre 2009, n. 19983, laddove, incidentalmente, si legge che “(…) Il ricorso non ha neppure natura giuridica di domanda giudiziale (come reso evidente dal fatto che non è necessario il patrocinio di difensore)”), come consentito in altri procedimenti unipersonali che si svolgono in camera di consiglio (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 29 novembre 2006, n. 25366 e Cass. Civ., Sez. I, 20 marzo 2013, n. 6861) “(…) almeno se e fino a quando la sua istanza non confligga con l'intervento avanti al tribunale di soggetti, portatori dell'interesse ad escludere la dichiarazione di fallimento, ciò implicando lo svolgimento di un contraddittorio qualificato, che potrebbe definire diversamente la natura contenziosa del procedimento” (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 18 agosto 2017, n. 20187, e, ancora, Cass. Civ., Sez. I, 14 giugno 2019, n. 16117). In proposito si è osservato in dottrina che “(…) se si reputa che oggetto del procedimento sia, tanto nell'art. 14 quanto nell'art. 15 l. fall., il diritto di vedere regolato nelle forme dell'esecuzione concorsuale i rapporti credito-debito, e si coglie in contrapposizione delle parti, quando l'istanza di fallimento provenga dal debitore, nella presenza di creditori che potrebbero essere interessati ad una diversa regolazione del rapporto (senza contare – ma questo evidentemente non basterebbe a condizionare la ricostruzione in linea generale della natura del processo – che ci potrebbe trovare a dover fare i conti, in caso di una società insolvente, con i soci illimitatamente responsabili di essa, interessati ad escludere gli effetti del fallimento in estensione), si comprende perché anche il c.d. auto-fallimento abbia luogo nelle forme della giurisdizione contenziosa, e perché il problema della difesa tecnica si ponga in analoga misura tanto quando il giudizio sia iniziato dal creditore, quanto quando invece lo stesso sia avviato su iniziativa del debitore” (cfr. I. Pagni, I provvedimenti cautelari a tutela del patrimonio e dell'impresa nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Antonio Caiafa (a cura di), Le procedure concorsuali, Tomo I, Padova, 2011, 226, nt. 33).

2. I limiti della sanatoria ex art. 182, co. 2 c.p.c. nel caso in cui il curatore non si sia avvalso del ministero di un difensore.

Precisato quanto sopra sub 1., la Suprema Corte ribadisce poi l'applicabilità dell'art. 182, co. 2 c.p.c. all'ambito fallimentare, trattandosi di norma non eccezionale, “(…) suscettibile di interpretazione estensiva ed applicazione analogica” (già affermata, peraltro da Cass. Civ., Sez. I, 6 marzo 2018, n.5259, proprio in tema di procedimento prefallimentare, Cass. Civ., Sez. VI, 30 novembre 2016, n. 24485, e Cass. Civ., Sez. VI, 24 ottobre 2013, n.24068, nell'ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo e da Cass. Civ., Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 13711 in un giudizio ex L. n. 89 del 2001).

Passando ai limiti di applicabilità della norma in questione, la pronuncia in esame, nel circoscriverla alla sola ipotesi in cui l'atto di costituzione in giudizio sia stato comunque redatto dal difensore, in quanto, “(…) nel consentire la sanatoria con effetti ex tunc in caso di invalidità della procura o quando questa sia mancante, presuppone che [l'atto] di costituzione in giudizio sia stato comunque redatto dal difensore e non trova perciò, applicazione nella diversa fattispecie in cui l'atto processuale” - come nel caso di specie il ricorso del curatore L. Fall., ex art. 147, commi 5 e 4 - “sia stato redatto e proposto personalmente dalla parte (non abilitata nemmeno ai sensi dell'art. 86 c.p.c.) e solo successivamente sia stato ratificato da un difensore al quale la procura sia stata conferita posteriormente alla formulazione dell'atto processuale di riferimento, allorquando il termine perentorio per il suo legittimo compimento sia già spirato, con la conseguente configurazione del corrispondente effetto decadenziale” , sembra, come si vedrà oltre, discostarsi da talune sue pronunce, in realtà però per riaffermare principi già indicati in precedenza.

3. La mancata integrazione del contraddittorio.

Riaffermati i principi sopra esposti, il Supremo Collegio osserva a conclusione che la rilevata nullità della “istanza”, ex art. 147, comma 4 l. fall., in quanto proposta personalmente dal curatore, rende nulla la sentenza dichiarativa di fallimento ed assorbe le ulteriori contestazioni mosse con i due restanti motivi di ricorso, rendendo altresì superfluo il rilievo della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei creditori che avevano proposto il ricorso per la dichiarazione di fallimento della s.r.l., litisconsorti necessari in sede di reclamo, richiamando in proposito il principio più volte espresso (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 24 febbraio 2016, n. 3621, e, ancora di recente, Cass. Civ., Sez. II, 23ottobre 2020, n.23315) secondo cui se il giudice di primo grado non ha disposto l'integrazione del contraddittorio e la corte d'appello non ha rimesso la causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c., comma 1, resta viziato l'intero procedimento e si impone, in sede di legittimità, l'annullamento, anche d'ufficio, delle pronunce emesse ed il rinvio della causa al giudice di prime cure giusta l'art. 383 c.p.c., u. c., salvo che l'impugnazione risulti assolutamente infondata in tal caso, in forza del principio della ragionevole durata del processo, essendo del tutto ininfluente sull'esito del procedimento.

Le soluzioni giuridiche

1. In verità, quanto al principio sub 1, non mancano nella giurisprudenza di merito decisioni che, in considerazione proprio di una diversa qualificazione dell'istanza del curatore, hanno ritenuto invece possibile il deposito, personalmente e senza necessità dell'assistenza del difensore, dell'istanza per l'estensione del fallimento sociale al socio illimitatamente responsabile (cfr. App. Firenze, 18 maggio 2010, in Giur. merito, 2010, 10, 2481, secondo cui “La disposizione di cui all'art. 147 l. fall. disciplina semplicemente una segnalazione volta ad attivare i poteri officiosi del tribunale problematiche, in relazione alla quale non vi è necessità alcuna che il curatore si munisca di difensore”. La stessa Cass. Civ., Sez. I 9 giugno 2014, n. 12947 ha ritenuto che “(…) il curatore, per promuovere il procedimento di cui alla L.F., articolo 147, comma 4, non è obbligato a munirsi dell'autorizzazione del giudice delegato” (si noti che, non a caso, questa pronuncia, ha anche precisato che l'autorizzazione, ai sensi dell'art. 25 n. 6 della l. fall. non è richiesta in quanto “(…) ancorché l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento non possa più essere assunta dal giudice d'ufficio, il relativo procedimento non appare riducibile ad un processo fra parti contrapposte, in cui l'istante assume la veste di attore ed il fallendo quella di convenuto, vuoi perché il legittimato all'azione non è titolare di un diritto soggettivo al fallimento del debitore, vuoi perché l'accoglimento della domanda è idoneo a dar luogo ad un accertamento costitutivo valevole erga omnes”.

2. D'altra parte, quanto alla questione sub 2, la Cassazione, disattendendo i richiami della Corte territoriale (le richiamate Cass. Civ. Sez. Un., 19 aprile 2010, n. 9217, e Cass.Civ.Sez. Un., 22 dicembre 2011, n.28337, le quali ultime, avvalendosi dell'art. 182 c.p.c., nel testo modificato dall'art. 46 l. 18 giugno 2009 n. 69, hanno cassato la decisione del Consiglio Nazionale Forense che aveva dichiarato l'inammissibilità del ricorso avverso un provvedimento disciplinare emesso da un Consiglio territoriale, sul rilievo che il difensore era sfornito della procura speciale) ha, correttamente, delineato e riaffermato i confini per l'applicabilità del comma 2 dell'art. 182 c.p.c., ritenendo di escluderla al caso di specie. Del resto, ancora di recente (cfr. Cass. Civ. Sez. lav., 29 luglio 2020, n.16252) ha affermato che “va distinta l'ipotesi in cui si versi in un caso di nullità della costituzione in giudizio di una parte rappresentata e difesa da un avvocato ma senza che sia stata rilasciata la procura in suo favore nelle forme di legge, il cui vizio è, perciò, sanabile attraverso la successiva regolarizzazione mediante il conferimento di un'apposita procura in un termine perentorio concesso dal giudice proprio in virtù di quanto sancito dal citato art. 182 c.p.c., dall'ipotesi in cui, invece, la parte appellante si sia illegittimamente costituita, fin dall'origine (con riferimento all'atto della proposizione del gravame), ad esempio, personalmente, senza nemmeno l'apparente rappresentanza tramite un difensore legalmente esercente ed abilitato e, quindi,senza neppure il conferimento di un - sia pure soltanto meramente affermato - ius postulandi in favore di apposito legale. In tale ultimo caso, infatti, la costituzione si deve ritenere, in grado di appello, inammissibile ab initio, con conseguente sua insanabilità per effetto di una non più consentita successiva attività di regolarizzazione. Sul punto, Cass. Civ. Sez. VI, 4 ottobre 2018, n.24257, ha precisato che nel caso in cui la parte appellante si sia illegittimamente costituita, fin dall'origine (con riferimento all'atto della proposizione del gravame), personalmente, senza nemmeno l'apparente rappresentanza tramite un difensore legalmente esercente ed abilitato e, quindi, senza neppure il conferimento di un - sia pure soltanto meramente affermato - ius postulandi in favore di apposito legale, la costituzione, in grado di appello, deve ritenersi inammissibile ab initio, con conseguente sua insanabilità per effetto di una non più consentita successiva attività di regolarizzazione (per come evincibile, in via interpretativa e sistematica, anche da quanto stabilito da Cass. S.U. 27 aprile 2017 n. 10414, con la quale è stato statuito che l'art. 182 c.p.c., comma 2, come novellato, non è applicabile nel caso in cui il ricorso dinanzi al C.N.F. sia stato presentato personalmente dall'avvocato non iscritto all'albo o sospeso dall'esercizio della professione, trattandosi di ricorrente privo di ius postulandi). Giustamente quindi, secondo Cass. Civ., Sez. III, 22 maggio 2014, n.11359, l'art. 182, primo comma, cod. proc. civ. va interpretato nel senso che il giudice che rilevi l'omesso deposito della procura speciale alle liti, rilasciata ai sensi dell'art. 83, comma terzo, cod. proc. civ., che sia stata semplicemente enunciata o richiamata negli atti della parte, è tenuto ad invitare quest'ultima a produrre l'atto mancante, e tale invito può e deve essere fatto, in qualsiasi momento, anche dal giudice dell'appello, sicché solo in esito ad esso il giudice deve adottare le conseguenti determinazioni circa la costituzione della parte in giudizio, reputandola invalida soltanto nel caso in cui l'invito sia rimasto infruttuoso. Tali precisazioni, ribadite in sostanza dalla pronuncia in esame, sono quanto mai opportune se si considera non solo che, ancora di recente, Cass. Civ., Sez. II, 29 ottobre 2020, n.23958 ha affermato che il raggio dell'art. 182 c.p.c. si estende alla sanatoria anche alle ipotesi di inesistenza degli atti processuali e non solo di loro nullità e, ancor prima, Cass. Civ., Sez. II, 7 maggio 2018, n.10885, ha ritenuto che il giudice che accerti un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione è tenuto a promuovere la sanatoria, “senza il limite delle preclusioni derivanti dalle decadenze processuali, anche qualora la procura manchi del tutto, restando irrilevante la distinzione tra nullità e inesistenza della stessa”.

Osservazioni

Le questioni affrontate dalla sentenza in esame si intrecciano almeno con altre due questioni.

1. Il riconoscimento delle spese legali.

La necessità per il curatore, come per i creditori, di essere assistiti da un difensore, finisce per interessare, indubbiamente, il tema dibattuto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, se le spese legali affrontate dal creditore, che presenti l'istanza di fallimento ex art. 6 l. fall. debbano essere riconosciute nello stato passivo e se, nella ipotesi positiva, debbano essere ammesse, alternativamente, (i) in privilegio, (ii) in prededuzione o (iii) in chirografo.

Quanto all'opzione sub (i) si è sostenuta l'ammissione al passivo (F. De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, Padova, 2012, 347) anche con il riconoscimento del privilegio per le spese di giustizia di cui agli artt. 2755, 2770 e 2777 c.c., sulla base di un'assimilazione alle spese sostenute per l'espropriazione di beni, (F. Del Vecchio, Le spese e gli interessi nel fallimento, Milano, 1988, 55; Cass. 23 ottobre 1959, n. 3040; Cass. 22 aprile 1959, n. 1201). Cass. Civ., Sez. I, 24 maggio 2000, n. 6787, ha rilevato infatti che “(…) il privilegio per le spese di giustizia al credito maturato per l'attività relativa alla richiesta di fallimento, valorizzando il principio fissato nell'art. 95 c.p.c. - in forza del quale le spese sostenute dal creditore procedente sono a carico di chi subisce la esecuzione, con il privilegio degli artt. 2755, 2770 e 2777 - e rinvenendo un sostanziale parallelismo tra il creditore procedente nella esecuzione singolare ed il creditore istante nella procedura concorsuale "tale da attribuire anche a quest'ultimo il diritto alla ripetizione prelatizia delle spese sostenute per l'esercizio dell'unico mezzo consentitogli al fine di recuperare il proprio credito, che è poi mezzo realizzante il suo come l'interesse degli altri creditori, cui indubitabilmente giova la sottrazione dei beni alla disponibilità dal debitore e la loro destinazione al soddisfacimento dei propri crediti, in forza della dichiarazione di fallimento da lui (obbligatoriamente) richiesta”. Detto principio è stato ribadito, sia pure in via incidentale, da Cass. Civ., Sez. I, 20 gennaio 2006, n. 1186, e ancora da Cass. Civ., Sez. I, 23 dicembre 2016, n. 26949.

Quanto all'opzione sub (ii) Trib. Terni, 22 marzo 2012, in Il Caso.it ha ritenuto invece che a seguito delle innovazioni introdotte dalla riforma della l. fall. (la quale ha sostanzialmente abrogato l'iniziativa d'ufficio e dettagliatamente procedimentalizzato la fase prefallimentare ex art. 15, l. fall., iscrivendola tra i procedimenti in camera di consiglio ed istituzionalizzando, con l'art. 22, la pronuncia sulle spese e sulla responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c.) deve ritenersi prevalente l'orientamento giurisprudenziale che esige la difesa tecnica ai fini dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento. Deve pertanto essere superato l'orientamento che negava l'ammissione al passivo delle spese processuali sostenute dal creditore nel corso dell'istruttoria fallimentare in ragione della facoltatività della nomina del difensore di fiducia, spese che, conseguentemente, sono da mettersi in prededuzione sia pur con collocazione chirografaria. Allo stesso modo, secondo il già citato sub 1 decr. Trib. Milano, 23 novembre 2017, il credito del professionista che abbia assistito il debitore nella preparazione della documentazione per la proposizione dell'istanza di fallimento in proprio, sebbene sia attività che può essere svolta personalmente dal debitore ma che lo stesso ha scelto per ragioni di opportunità o di convenienza (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 9 settembre 2014, n. 18922), deve ritenersi assistito da prededuzione in quanto “(...) se tali spese son ritenute prededucibili dalla Suprema Corte quando l'assistenza tecnica non è necessaria (fallimento in proprio), non possono che esserlo parimenti quando, invero, la difesa processuale è prescritta come indispensabile (fallimento su istanza di parte[privata])”. In definitiva, il costo sostenuto dal creditore istante deve essere ripetibile nei confronti della massa dei creditori (nella sede propria della formazione dello stato passivo), in considerazione del fatto che l'apertura del concorso non sarebbe potuta avvenire in assenza di quell'attività professionale che ha messo capo alla sentenza dichiarativa di fallimento. Nello stesso senso, cfr. Trib.Treviso 7 marzo 2017, in Il Caso.it e, ancora, Trib. Napoli, 13 aprile 2018, n. 1039, in Filodiritto.com.

Quanto alla opzione sub (iii), Trib. Bologna n. 2464/2005, ha ritenuto di rigettare il privilegio per tali spese, sulla scorta delle seguenti considerazioni (in parte, peraltro, già prese in considerazione e non condivise dal Supremo Collegio):

a) la equiparazione della dichiarazione di fallimento ad un pignoramento generale è condivisibile sul piano descrittivo, ma non implica necessariamente l'applicazione degli istituti propri della esecuzione individuale e, tra questi, le disposizioni di cui all'art. 95 c.p.c.; in particolare, l'equiparazione tra la dichiarazione di fallimento e l'atto di pignoramento, di cui all'art.54, comma 3, l. fall., è dettata nella ipotesi specifica della disciplina degli interessi dei crediti che già siano assistiti da privilegio e non come presupposto per il riconoscimento del privilegio stesso;

b) mentre gli effetti conservativi a vantaggio dei creditori si realizzano immediatamente con l'atto stesso di pignoramento, l'istanza di fallimento costituisce un presupposto, non necessario (cfr. art.6, ultima parte, l. fall.), della successiva dichiarazione di fallimento, che, a sua volta, presuppone una fase istruttoria prefallimentare disposta dall'Ufficio, indipendentemente dalla insistenza del creditore istante;

c) il privilegio richiamato dall'art. 95 c.p.c. è privilegio speciale, mobiliare ovvero immobiliare a seconda dell'oggetto della esecuzione, coerente con l'immediatezza del vincolo di indisponibilità che con il pignoramento viene a gravare su beni specificamente individuati; estendendo tale privilegio all'ipotesi del fallimento, esso, venendo a gravare su tutto, indistintamente, il patrimonio del fallito (patrimonio la cui integrale acquisizione ben può essere differita nel tempo ovvero eventuale), viene a trasformarsi in un privilegio generale, non contemplato dalla legge ed in contrasto con il disposto di cui all'art. 2745 c.c.. L'assistenza di un difensore è ritenuta necessaria per la presentazione della istanza di fallimento salvo il caso in cui sia presentata in proprio: quindi, non essendo il creditore abilitato a proporre personalmente l'istanza di fallimento, sulla scorta delle precedenti sentenze, vengono ammesse al chirografo le spese per diritti e onorari del legale oltre alle spese vive sostenute (marca da bollo e spese per certificati). Per l'ammissione in via chirografaria delle spese in questione si veda anche Trib. Modena, 3 marzo 1980 in Giur. Comm. 1981, II, 340 e vi è poi chi come Trib. Padova, 5 luglio 2005, in Fall., 2006, 28, ha ritenuto che le predette spese competono solo limitatamente alle spese vive, atteso che al creditore non serve il patrocinio legale per presentare l'istanza di fallimento”; altri provvedimenti, in sede di esame dello stato passivo, non di rado, escludono poi l'insinuazione del credito in quanto mancante, nell'ordinamento giuridico, una norma che ammetta e preveda tale possibilità. A fronte di questo variegato panorama giurisprudenziale e al di là delle richiamate pronunce di merito in senso contrario, la pronuncia in commento sembra doversi leggersi a favore, ancora una volta, della ripetibilità nei confronti della massa dei creditori (nella sede propria della formazione dello stato passivo) delle spese legali supportate dall'istante il fallimento, in considerazione del fatto che l'apertura del concorso non sarebbe potuta avvenire in assenza di quell'attività professionale.

2. La preventiva autorizzazione del giudice delegato.

Oltre al patrocinio del curatore, è stata inoltre ritenuta necessaria la preventiva autorizzazione del giudice delegato. Come rilevato chiaramente da App. Milano, Sez. IV, 20 giugno 2013, n. 2699, in Il Caso.it, sulla scia peraltro di Cass. Civ., Sez. I, 8 maggio 2013, n. 10732, "(...) attesa l'autonomia del fallimento in estensione rispetto alla prima dichiarazione di fallimento riguardante la società, con l'istanza di estensione si apre una procedura del tutto autonoma, anche se coordinata con la prima procedura, e pertanto/qualora l'iniziativa sia assunta dal Curatore, quest'ultimo deve necessariamente essere autorizzato dal Giudice Delegato ex art. 25 1. fall.”. Nello stesso senso, Trib. Roma, 26 luglio 2017, in Il Caso.it, rilevato che il ricorso era stato presentato senza la preventiva autorizzazione del giudice delegato, ha ritenuto che tale autorizzazione sia necessaria in quanto, stante l'abrogazione del fallimento d'ufficio, il procedimento di estensione del fallimento assume carattere contenzioso e quindi sottoposto alla regola di cui all'art. 25 l.fall.. Peraltro, come si è già rilevato sub 1 delle “Questioni giuridiche”, Cass. Civ., Sez. I, 9 giugno 2014, n. 12947, proprio dopo aver sostenuto che la mancanza dell'autorizzazione del curatore a stare in giudizio si risolve in un difetto di legittimazione processuale sanabile in ogni momento con efficacia retroattiva anche per i precorsi gradi di giudizio (ricordando che, ai sensi dall'attuale testo dell'art. 182, comma 2, c.p.c., il giudice che rilevi l'esistenza di tale vizio ha l'obbligo, e non più la mera facoltà, di assegnare un termine perentorio per la sanatoria e non può emettere una pronuncia di rigetto nel rito se non dopo che tale termine sia inutilmente decorso) ha precisato che il curatore non è obbligato a munirsi dell'autorizzazione del giudice delegato a stare in giudizio per promuovere il procedimento di estensione del fallimento di cui all'art. 147, comma 4, l.fall.. Inoltre, sostiene sempre la richiamata pronuncia, la decisione di agire o di resistere in giudizio non può più configurarsi come frutto di una scelta sostanzialmente spettante al giudice delegato, ma deve, al contrario, ritenersi una scelta del curatore, rispetto alla quale l'autorizzazione del giudice testimonia l'avvenuto controllo della legittimità (e non anche del merito) dell'iniziativa, controllo che non è necessario qualora detta iniziativa sia doverosa e la legittimazione del curatore sia già espressamente prevista dalla legge come nell'ipotesi dell'estensione del fallimento di cui all'art. 147, comma 4, l. fall..

Alla luce dei rilievi e richiami esposti in precedenza, è evidente quindi come, non solo la necessità per il curatore di munirsi dell'assistenza tecnica, ma anche il riconoscimento delle spese legali all'avvocato che lo ha assistito, così come la necessità o meno per il curatore dell'autorizzazione ex art. 25 l.fall., siano questioni la cui soluzione dipende dalla qualificazione del procedimento “prefallimentare” come giudizio camerale a carattere contenzioso e a cognizione piena; qualificazione che la pronuncia in oggetto sembra aver ulteriormente precisato e affermato.

Guida all'approfondimento

F. De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, Padova, 2012, 347; G. Olivieri, La dichiarazione di fallimento, in G. Olivieri-P. Piscitello (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Napoli, 2007, 41;

I. Pagni, I provvedimenti cautelari a tutela del patrimonio e dell'impresa nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Antonio Caiafa (a cura di), Le procedure concorsuali, Tomo I, Padova, 2011, 226, nt. 33;

E. Righetti, Il diritto fallimentare riformato in G. Schiano di Pepe (a cura di), Commento sistematico, Padova, 2007, 55;

M. Vitiello, Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma organica al decreto correttivo (a cura di S. Ambrosini), Bologna, 2008, 21.

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