La doppia imposizione economica e giuridica e il contrasto giurisprudenziale

Fabio Gallio
11 Maggio 2021

Tra i contrasti giurisprudenziali più accesi e recenti, vi è quello che riguarda la possibilità o meno da parte di un soggetto che riceve dividendi da un altro soggetto residente in un altro Paese UE di potere usufruire contemporaneamente dei benefici previsti dalla Direttiva c.d. “madre-figlia” e dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Premessa

Tra i contrasti giurisprudenziali più accesi e recenti, vi è quello che riguarda la possibilità o meno da parte di un soggetto che riceve dividendi da un altro soggetto residente in un altro Paese UE di potere usufruire contemporaneamente dei benefici previsti dalla Direttiva c.d. “madre -figlia” e dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Infatti, come si verificherà di seguito, una parte della giurisprudenza ritiene che ciò non sia possibile, in quanto ciò potrebbe comportare un doppio beneficio in capo al percettore del dividendo.

Altra giurisprudenza, al contrario, ritiene che ciò sia possibile, in quanto, solo in questo modo, è possibile eliminare il rischio di una doppia imposizione.

Prima, però, di procedere con l'analisi, si ritiene opportuno soffermarsi brevemente sulla Direttiva che regolamenta la tassazione dei dividendi che vengono distribuiti a favore di soggetti residenti in altri Paesi dell'Unione Europea.

La Direttiva madre-figlia per la distribuzione di dividendi

Si ritiene utile illustrare brevemente la ratio e l'evoluzione della normativa fiscale concernente i flussi di dividendi erogati a soggetti non residenti consolidatasi in sede comunitaria e, successivamente, recepita dall'ordinamento nazionale.

In linea generale, i dividendi corrisposti a soggetti esteri, in relazione a partecipazioni non relative a stabili organizzazioni, sono attualmente tassati, ai sensi dell'art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, mediante l'applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di imposta pari al 26% (ai sensi dell'art. 3 del d.l. n. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 89/2014, la nuova misura della ritenuta si applica a partire dai dividendi percepiti dal 1° luglio 2014. Precedentemente la ritenuta era pari al 27%.).

Al momento dell'entrata in vigore della Direttiva n. 435/90/CEE (cd. Direttiva “madre-figlia”), avvenuta il 30 luglio 1990, la ritenuta da applicare era addirittura pari al 32,4% dell'importo erogato. Al contrario, le società residenti che distribuivano dividendi a soggetti italiani non dovevano operare alcuna ritenuta, analogamente a ciò che accade oggi.

Prima dell'emanazione della Direttiva de qua, molti ordinamenti nazionali, tra i quali quello italiano, penalizzavano fiscalmente le relazioni tra società “madri” e società “figlie” residenti in Stati membri diversi rispetto a quelle instaurate tra “raggruppamenti” di società operanti nel medesimo Stato membro, determinando un grave ostacolo alla libertà di insediamento delle imprese nel mercato comune.

Il provvedimento comunitario ha inteso realizzare una sostanziale uniformità nel regime impositivo dei trasferimenti di utili nell'ambito di alcuni gruppi di società operanti in Stati diversi della Comunità. Uno degli obiettivi alla base dell'emanazione della Direttiva “madre-figlia” era quello di eliminare, a certe condizioni, la doppia imposizione che subiva la società “madre” e determinata dall'imposizione dei dividendi distribuiti dalla società “figlia”: una prima volta nello Stato ove si era prodotto l'utile, solitamente mediante una ritenuta cd. “in uscita”; una seconda volta nel proprio Stato di residenza, attraverso le imposte sul reddito.

A tal fine, il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno, come esplicitato nel preambolo del provvedimento, “esentare da ritenuta alla fonte, salvo in taluni casi particolari, gli utili conferiti da una società figlia alla propria società madre”.

La Direttiva de qua, dopo aver subìto numerose modifiche, è stata abrogata dalla Direttiva n. 2011/96/UE, ma la ratio della disciplina comunitaria è rimasta sostanzialmente invariata. Infatti, il considerando n. 3 del provvedimento più recente recita che: “La presente direttiva intende esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre”. Ancor più esplicitamente, nel considerando n. 8 si afferma che “Per garantire la neutralità fiscale, è […] opportuno esentare da ritenuta alla fonte, salvo in taluni casi particolari, gli utili conferiti da una società figlia alla propria società madre”.

Conformemente alle premesse, l'art. 5 della Direttiva n. 2011/96/UE afferma, in maniera tranchant, che “Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte”.

Le condizioni previste per potere beneficiarie di tale esenzione sono le seguenti.

In particolare, l'articolo 2, lettera a), della direttiva europea stabilisce quanto segue:

Ai fini dell'applicazione della presente direttiva si intende per:

  • i) "società di uno Stato membro" qualsiasi società;
  • ii) che abbia una delle forme enumerate all'allegato I, parte A;
  • iii) che, secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, sia considerata come avente il domicilio fiscale in tale Stato membro e, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con uno Stato terzo, non sia considerata come avente tale domicilio fuori dell'Unione;
  • iv) che, inoltre, sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle imposte elencate nell'allegato I, parte B, o a qualsiasi altra imposta che venga a sostituire una delle imposte sopraindicate”.

La parte A dell'allegato I della Direttiva 2011/1996 contiene l'elenco delle società di cui all'articolo 2, lettera a), punto i), di tale direttiva, mentre nella parte B di detto allegato I figura l'elenco delle imposte di cui all'articolo 2, lettera a), punto iii), della medesima direttiva.

In merito a tali elenchi, si ricorda che recentemente la Corte di Giustizia Europea (con la sentenza del 2 aprile 2020, n. C-458/18) si è occupata del regime fiscale comune applicabile alle società “madri” e “figlie” di Stati membri diversi, verificando se questo istituto può essere utilizzato anche nel caso in cui la distribuzione di dividendi avvenga a favore di una società residente a Gibilterra.

Infatti, la problematica è sorta in quanto Gibilterra è un territorio europeo di cui uno Stato membro, vale a dire il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, assume la rappresentanza nei rapporti con l'estero, ai sensi dell'art. 355, punto 3, TFUE, e a cui si applicano le disposizioni dei trattati.

Malgrado ciò, alcune parti del Trattato dell'Unione europea non si applichino a Gibilterra, tant'è che è esclusa dal territorio doganale dell'Unione.

Malgrado questo, secondo parte privata, la società residente in Gibilterra potrebbe essere equiparata a una società registrata nel Regno Unito ed ivi è soggetta all'imposta sulle società , la quale corrisponderebbe alla “corporation tax” nel Regno Unito di cui all'allegato I, parte B, ultimo trattino, della medesima direttiva.

Al contrario, secondo parte erariale, l'allegato I della Direttiva 2011/1996 conterebbe un elenco espresso e tassativo, sia delle società (parte A), sia delle imposte (parte B) cui essa si applica. Pertanto, considerato che tale direttiva definisce in modo tassativo il suo ambito di applicazione, quest'ultimo non potrebbe essere esteso alle società registrate a Gibilterra e ivi soggetti passivi di imposta, non essendo consentito interpretare estensivamente la legislazione tributaria.

Quest'ultima interpretazione è prevalsa e la Corte di Giustizia ha stabilito che l'articolo 2, lettera a), punti i) e iii), della, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società “madri” e “figlie” di Stati membri diversi, in combinato disposto con l'allegato I, parte A, lettera ab), e parte B, ultimo trattino, della medesima, dev'essere interpretato nel senso che le nozioni di “società registrate a norma del diritto del Regno Unito” e di “corporation tax nel Regno Unito”, contenute in dette disposizioni, non riguardano le società registrate a Gibilterra e ivi assoggettate all'imposta sulle società.

Infine, si ricorda che, relativamente ai dividendi pagati a o ricevuti da una società svizzera, è possibile applicare l'Accordo tra Comunità europea e Confederazione elvetica del 26 ottobre 2004 (c.d. madre-figlia con la Svizzera).

(Per un maggiore approfondimento si rinvia, per esempio, alla risposta all'interpello n. 57 pubblicata in data 15 febbraio 2019, e alla risposta all' interpello n. 380, pubblicato in data 11 settembre 2019.) (Cfr. la risposta da interpello del 2 marzo 2021, n. 135, con la quale l'Agenzia delle Entrate ha confermato - riprendendo la risposta 57/2019 - che i dividendi corrisposti a holding svizzere possono beneficiare del regime di esenzione da ritenuta previsto dall'articolo 9 dell'accordo fra Svizzera e Ue sullo scambio automatico di informazioni finanziarie nella versione modificata dal protocollo di modifica dell'accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera firmato il 27 maggio 2015 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2017).

Il recepimento della Direttiva nell'ordinamento nazionale mediante l'art. 27-bis del d.P.R. n. 600/1973

La Direttiva “madre-figlia” è stata recepita nell'ordinamento italiano mediante l'inserimento dell'art. 27-bis del d.P.R. n. 600/1973, il quale, al verificarsi di determinate condizioni, offre alle società “madri” la possibilità di richiedere alle società “figlie” la non applicazione della ritenuta alla fonte o, in alternativa, il rimborso della medesima all'Agenzia delle entrate.

I requisiti richiesti sono di due tipi: soggettivi, in relazione al socio estero; oggettivi, concernenti la partecipazione nella società italiana.

Quelli soggettivi sono i seguenti:

  1. il socio estero deve rivestire una delle forme previste nell'allegato della Direttiva n. 435/90/CEE (lett. a);
  2. il medesimo soggetto deve risiedere, ai fini fiscali, in uno Stato membro dell'Unione europea, senza essere considerato, ai sensi di una Convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residente al di fuori dell'Unione europea (lett. b);
  3. il socio estero deve essere soggetto ad una delle imposte indicate dall'art. 2 della predetta Direttiva, senza fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati (lett. c).

Le condizioni di natura oggettiva, invece, sono le seguenti:

  1. la partecipazione diretta nella controllata italiana non deve essere inferiore al 10% del capitale;
  2. la partecipazione deve essere detenuta ininterrottamente per almeno un anno (lett. d).

Il secondo comma dell'art. 27-bis stabilisce che, ai fini dell'applicazione del primo comma, “deve essere prodotta una certificazione, rilasciata dalle competenti autorità fiscali dello Stato estero, che attesti che la società non residente possieda i requisiti indicati alle lettere a), b) e c) del comma 1”, mentre per dimostrare la sussistenza del requisito indicato alla lettera d) è sufficiente una dichiarazione scritta da parte della controllante.

Affinché la società “figlia” possa legittimamente non applicare la ritenuta occorre, però, soddisfare due condizioni ulteriori, fissate dal terzo comma del medesimo articolo. La disposizione richiede, in primo luogo, che la società beneficiaria faccia una espressa richiesta in tal senso al soggetto che eroga i dividendi; in secondo luogo, che l'istanza e la documentazione attestante la sussistenza delle cinque condizioni appena indicate pervengano alla società “figlia” prima della data di pagamento degli utili .

Come sancito dalla giurisprudenza di merito (cfr. la sentenza della CTP Pescara del 18 febbraio 2020, n. 27), la Direttiva c.d. “madre-figlia”, che esenta da ritenuta i dividendi distribuiti tra società europee, non richiede come condizione che il pagamento avvenga a favore del beneficiario effettivo.

Pertanto, l'Agenzia delle Entrate, per giustificare il mancato rimborso di una ritenuta applicata, deve dimostrare che l'operazione è stata effettuata a favore di strutture artificiose e non limitarsi a sostenere che il soggetto avente causa non è il beneficiario effettivo. Tale tesi risulta coerente anche con la normativa nazionale che rinvia alla disciplina dell'abuso del diritto per contestare le distribuzioni dei dividendi

Merita, inoltre, di essere ricordata la norma prevista dall' art. 27, comma 3-ter, del d.P.R. n. 600/1973, nel frattempo entrato in vigore. Si precisa che tale norma è stata emanata con il fine di livellare il carico impositivo gravante sui dividendi corrisposti a soggetti residenti nella UE e nello Spazio Economico Europeo (SEE) che non possiedono i requisiti per poter usufruire della Direttiva «madre-figlia» a quello gravante sui dividendi corrisposti a soggetti residenti (si veda la circ. n. 26/E del 21 maggio 2009 dell'Agenzia delle Entrate).

Infatti, va ricordato che la suddetta disposizione stabilisce che deve essere operata la ritenuta a titolo di imposta con l'aliquota dell'1,2% (precedentemente dell' 1,375%) sugli utili corrisposti alle società e agli enti:

  1. residenti nell'UE e nel SEE che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze emanato ai sensi dell'art. 168-bis del TUIR;
  2. ivi soggetti ad un'imposta sul reddito delle società simile all'IRES.

Come chiarito dalla circolare dell'Agenzia delle entrate (la numero n. 32 dell'8 luglio 2011.), la ritenuta dell'1,375%, derivante dal prodotto tra la quota di dividendi fiscalmente rilevante per i soggetti italiani ex art. 89 del d.P.R. n. 917/1986 (5%) e l'aliquota IRES vigente dal 1° gennaio 2008 (27,5%), era applicabile ai soli dividendi erogati a partire dalla medesima data, mentre la ritenuta da applicare ai dividendi erogati prima di tale data era pari all'1,65%, poiché l'aliquota IRES da applicare era pari al 33%.

Ora, essendo l'aliquota lRES pari al 24%, tale ritenuta è pari all'1,2%.

Lo scopo della Direttiva: l'eliminazione della doppia imposizione economica

Come sancito recentemente dalla Corte di Giustizia europea, la Direttiva “madre-figlia” in commento mira ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro e a facilitare, in tal modo, il raggruppamento di società a livello dell'Unione. Tale Direttiva tende così ad assicurare la neutralità, sotto il profilo fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società “figlia” con sede in uno Stato membro alla sua società “madre” stabilita in un altro Stato membro (sentenze del 1° ottobre 2009, Gaz de France - Berliner Investissement, C-247/08, EU:C:2009:600, punto 27, e dell' 8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a., C-448/15, EU:C:2017:180, punto 25).

Al fine di assicurare l'obiettivo della neutralità, sotto il profilo fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società “figlia” con sede in uno Stato membro alla sua società “madre” stabilita in un altro Stato membro, si mira ad evitare, in particolare, una doppia imposizione di tali utili, in termini economici, vale a dire ad evitare che gli utili distribuiti siano colpiti, una prima volta, a carico della società “figlia”, e, una seconda volta, a carico della società “madre” (in tal senso, sentenze del 3 aprile 2008, Banque Fèdèrative du Crédit Mutuel, C-27/07, EU:C:2008:195, punti 24, 25 e 27, nonché del 12 febbraio 2009, Cobelfret, C-138/07, EU:C:2009:82, punti 29 e 30).

Come affermato, però, da recente giurisprudenza europea, occorre evitare, non solo la tassazione diretta dei dividendi in capo alla società “madre”, ma anche quella indiretta, intesa come conseguenza dell'applicazione di meccanismi che, sebbene accompagnati da esenzioni o deduzioni generate dalla volontà di tenere conto delle imposte pagate dalla società “figlia” nel proprio Stato, in concreto potrebbero causare in capo alla società “madre” un trattamento deteriore rispetto a quello che spetterebbe qualora la due società (“madre e figlia”) fossero dello stesso Stato (pronuncia del 19 dicembre 2019 relativa alla causa C-389/18, Brussels Securities).

A questo punto, è necessario sottolineare che la doppia imposizione può essere di due tipologie:

  1. quella economica, che si verifica quando due Stati sottopongono a imposizione contribuenti diversi per lo stesso reddito;
  2. quella giuridica che si verifica qualora due Stati sottopongono a imposizione lo stesso contribuente per lo stesso reddito (cfr. sentenza della Corte di Cassazione del 29635 del 14 novembre 2019).

Come sopra precisato, la Direttiva europea, esentando da ritenuta il dividendo distribuito, permette di evitare la doppia imposizione economica.

Quello giuridica, invece, che si verifica quando il soggetto che riceve i dividendi viene tassato una prima volta con la ritenuta nel Paese della fonte, ed una seconda in quello di residenza, può essere eliminata attraverso uno di due possibili modi alternativi:

  1. l'”exemption method”, che prevede, come indicato nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, ad esempio, stipulate tra Italia e gli Stati della Germania e del Brasile, la non tassazione del dividendo nel Paese della “madre”, ovvero;
  2. il “credit method” che prevede il riconoscimento di un credito d'imposta.

Tali strumenti permetterebbero, se applicati contemporaneamente anche con la Direttiva, di evitare la c.d. “imposizione economica a catena” che si verifica, quando il dividendo distribuito dalla “figlia”, oltre ad avere subito la tassazione in capo a quest'ultima, sconta una seconda tassazione in capo alla “madre”, se pur, in determinati casi, in forma ridotta (in Italia la base imponibile del dividendo è pari al 5% dell'importo distribuito, se sono rispettati i requisiti dell'art. 89 del TUIR).

I rimedi contro la doppia imposizione: il contrasto giurisprudenziale

Nell'ordinamento tributario italiano, la doppia imposizione è vietata dall'art. 163 del d.P.R. del 22 Dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche TUIR), secondo il quale la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi.

Anche l'art. 67 del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600 sancisce che la stessa imposta non può essere applicata più volte, in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi.

Pertanto, per evitare la doppia imposizione, è necessario adottare tutti gli strumenti giuridici necessari, anche internazionali, compresa la Direttiva europea, come recepita in Italia, e le Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Infatti, le Convenzioni, una volta recepite nel nostro ordinamento interno con legge di ratifica, acquistano il valore di fonte primaria, ai sensi dell'art. 10, comma 1, Cost. (che prevede il sistema di adattamento dell'ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale) e dell'art. 117 Cost. (che prevede l'obbligo comune dello Stato e delle Regioni di conformarsi ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ed agli obblighi internazionali), come peraltro ribadito, nella materia tributaria, anche dall'art. 75 del d.P.R. n. 600/1973 (il quale sancisce che “Nell'applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia”) e dall'art. 169 del d.P.R. n. 917/1986 (per il quale le disposizioni del TUIR si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione).

Ci si chiede a questo punto se la sola applicazione dell'esenzione della ritenuta, come previsto dalla Direttiva europea, sia o meno sufficiente per eliminare completamente la doppia imposizione.

Secondo quanto previsto da recente giurisprudenza, nel caso in cui tale doppia imposizione non sia eliminata completamente, sarebbe possibile applicare anche i benefici della Convenzione.

Infatti, è stato ricordato che il concorso formale tra norma bilaterale e norma comunitaria è risolto, nel senso della sopravvivenza della prima, dall'art. 7, paragrafo 2, della stessa Direttiva UE, laddove viene disposto che la stessa direttiva lascia impregiudicata l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi. Pertanto, la permanente efficacia degli accordi bilaterali sarebbe resa esplicita dall'art. 7, paragrafo della stessa Direttiva, che non intende superare la “competizione” di efficacia normativa tra diverse fonti dell'ordinamento secondo il criterio generale di gerarchia e che, soprattutto, escluderebbe, in linea di principio, e fatta ovviamente salva la valutazione caso per caso, che la sola compresenza nell'ordinamento di Direttiva e di Convenzione bilaterale implichi l'automatica espunzione dell'una a favore dell'altra (così sentenza della Corte di Cassazione del 20 novembre 2019 n. 30140).

Del resto, come sancito dalla stessa Corte di Cassazione (cfr. sentenza della Corte di Cassazione del 31 gennaio 2020, n. 2313),l'esenzione da ritenuta nello Stato della società che eroga il dividendo (nel caso di specie, l'Italia) non garantisce che esso non sia sottoposto ad imposizione nello Stato della società percipiente (quindi il Regno Unito). Occorre quindi verificare che non si realizzi una forma di imposizione “indiretta” del dividendo, che si ha quando l'utile è incluso nella base imponibile della società madre determinando così un trattamento deteriore rispetto al caso di distribuzione puramente domestica.

Questa verifica, secondo la Corte di Cassazione, prescinde dalla circostanza che in concreto la tassazione sia stata evitata nel Regno Unito mediante norme interne di esenzione o deduzione.

Considerato che tale pronuncia della Suprema Corte ha ammesso il rimborso del credito d'imposta sui dividendi ai sensi della Convenzione Italia-Regno Unito, sulla base della constatazione per cui la doppia imposizione non viene meno con l'esenzione da ritenuta prevista dalla direttiva 2011/96/UE, la stessa sembra contrastare con quanto sancito da altre sentenze.

Infatti, si ricorda che i giudici di legittimità, in altre occasioni, hanno negato l'utilizzo contemporaneo dell'esenzione della ritenuta e del credito d'imposta riconosciuto dalla Convenzione.

Ad esempio, è stato previsto che una società “madre” francese che riceve dalla società “figlia” italiana dividendi esenti da tassazione per effetto dell'attuazione in Francia della direttiva 90/435/CEE non ha diritto al credito d'imposta previsto dall'art. 10, paragrafo, 4, lett. b, Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, ratificata con L. 20/1992, in quanto l'esenzione di fonte comunitaria esclude la doppia imposizione che il credito di fonte pattizia è diretto a neutralizzare (cfr. sentenza della Corte di Cassazione del 6 ottobre 2017 n. 23367).

In tale ipotesi, la sommatoria della detassazione e del credito di imposta, secondo i giudici, eccederebbe la finalità di evitare la doppia imposizione, generando semmai una fattispecie di c.d. doppia-non imposizione. In altri termini, il percettore francese di dividendi esenti che ottenesse anche “l'avoir fiscale” sommerebbe due benefici tributari (cfr. pronunce della Corte di Cassazione del 24 febbraio 2017, n. 4771 e del 19 ottobre 2018, n. 26412).

Per quanto riguarda la giurisprudenza unionale, si ricorda che, nel coordinare regime di direttiva e regime di convenzione, è stato precisato che il credito d'imposta è uno strumento fiscale diretto ad evitare, in termini economici, una doppia imposizione degli utili distribuiti sotto forma di dividendi: una prima volta a carico della società controllata e una seconda volta a carico della società capogruppo beneficiaria dei dividendi (Corte di Giustizia del 25 settembre 2003, C-58/01, Océ van der Grinten, paragrafo 56).

La Corte del Lussemburgo ha altresì osservato che quando la società madre beneficia nel proprio Stato di una tassazione dei dividendi ad aliquota zero il rischio di doppia imposizione [...] degli utili che le sono stati distribuiti dalla sua società figlia è escluso (Corte di Giustizia dell'8 marzo 2017, C-448/15, Wereldhave, paragrafo 40).

Dello stesso tenore, altra sentenza della Suprema Corte, che si è occupata della distruzione di dividendi in Lussemburgo ed ha sancito che la soggezione ad imposta nello Stato estero non va intesa in astratto, come mera riconducibilità della società madre tra i soggetti passivi della rilevante imposta estera, ma come assoggettamento in concreto a detta imposta dei dividendi percepiti (La numero 25490 del 10 ottobre 2019) (Cfr. ordinanza della Corte di Cassazione del 5 febbraio 2020, n. 2617).

Contrariamente a tale tesi, la stessa Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile i benefici delle convenzioni contro le doppie imposizioni (nel caso in oggetto quella tra Italia e Svizzera), anche nel caso in cui il soggetto estero percettore del reddito non paga le imposte nello stato di residente, essendo un'associazione senza scopo di lucro, pur essendo considerato un soggetto d'imposta (Cfr. ordinanza della Corte di Cassazione del 17 aprile 2019, n. 10706).

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