Barbara Vari
17 Maggio 2021

Nella quantificazione del danno biologico si distingue l'accertamento della natura dell'invalidità dalla sua quantificazione in punti percentuali. Quest'ultima, quando non deve seguire apposite tabelle imposte per legge, avviene sulla base di barèmes la cui scelta attiene a un piano valutativo e non fattuale e su cui pertanto non vi è l'obbligo per il Giudice di stimolare il contraddittorio quando rilevi la questione di ufficio.

Il caso. In primo grado la vittima di medical malpractice ottiene il risarcimento del danno biologico, sulla base della determinazione da parte del CTU di un grado di invalidità pari al 40%, e del danno morale. I Giudici di Appello rilevano che nella consulenza non fossero stati esplicitati i parametri seguiti e – sulla base dei criteri che essi ritengono invece di osservare – quantificano la percentuale di invalidità al 25%, con conseguente riduzione del danno liquidato. Il danneggiato impugna la sentenza, anche perché asseritamente nulla per violazione dell'art. 101 c.p.c., poiché la Corte avrebbe deciso “a sorpresa” di rivalutare il quantum di invalidità permanente «in base a parametri di quantificazione delle conseguenze tratti da manuali ritenuti autorevoli (Linee Guida SIMLA 2016), omettendo di sollecitare le parti ad interloquire sulla questione di applicabilità di detti parametri e sul contenuto di essi». La Suprema Corte rigetta il motivo di ricorso, reputandolo infondato.

La valutazione equitativa del danno non patrimoniale derivante da danno alla salute: la decisione della Suprema Corte. L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al Giudice dagli artt. 2056 e 1126 c.c. (richiamato dal primo) non dà luogo a un giudizio di equità, bensì a un giudizio di diritto, caratterizzato dalla c.d. equità giudiziale correttiva o integrativa; in tale contesto il Giudice, che effettua una valutazione discrezionale, deve fornire indicazioni sul processo logico seguito e sugli elementi considerati per addivenire alla quantificazione del danno.

Con particolare riferimento alla quantificazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla salute, che utilizza il “sistema a punto variabile”, occorre distinguere (a) l'accertamento della invalidità permanente (per es., nel caso in esame, la riduzione della fertilità, la claudicatio ed altri postumi dell'intervento chirurgico mal riuscito) e (b) la sua espressione in punti percentuali di invalidità, che avviene sulla base di tabelle, dette anche barèmes, che ricollegano i possibili postumi invalidanti a una percentuale di invalidità. Mentre il primo accertamento riguarda un fatto, che il danneggiato deve allegare e provare in giudizio, il secondo attiene al piano valutativo: il barème, come criterio di giudizio circa il grado di invalidità permanente del danneggiato è, in quanto tale, nella disponibilità del Giudice oltre che del consulente tecnico (la cui valutazione sotto questo profilo è sempre sindacabile dal giudice come peritus peritorum). Per questo motivo la Suprema Corte esclude che il mancato contraddittorio sui criteri scelti per quantificare i punti di invalidità possa comportare una violazione dell'art. 101 c.p.c., con un richiamo ai suoi precedenti che escludono l'obbligo di stimolare il contraddittorio per le questioni di solo diritto. Tale scelta può entro certi limiti essere però sottoposta al sindacato di legittimità, tenuto conto che la valutazione equitativa del danno ai sensi dell'art. 1226 c.c. impone da un lato di considerare le specificità del caso concreto, dall'altro di rispettare il principio di uguaglianza e quindi di garantire la parità di trattamento a parità di circostanze. Nel caso in esame, tuttavia, non si può ravvisare alcun error in iudicando della Corte d'Appello, che nella liquidazione equitativa del danno biologico ha tenuto in considerazione il quadro patologico accertato (profilo sopra indicato sub a) ma non ha accolto la quantificazione percentuale della CTU, carente nell'esplicitare i parametri seguiti nella sua valutazione (profilo sopra indicato sub b), e che il Giudice di secondo grado ha provveduto invece a rideterminare seguendo in particolare i barèmes elaborati da autorevole e aggiornata letteratura scientifica (le Linee Guida della SIMLA del 2016) oltre che - in parte – quelli positivizzati dalla tabella predisposta in base all'art. 139 del Codice delle Assicurazioni private.

Oltre lo ius litigatoris: alcune indicazioni della Suprema Corte. La sentenza che qui brevemente si commenta rappresenta un ulteriore tassello del mosaico che la Terza Sezione civile della Cassazione ha disegnato nel corso degli anni, contribuendo a plasmare lo statuto del danno alla persona del nuovo millennio; essa ha uno spiccato stile pedagogico e contiene interessanti affermazioni che vanno oltre il caso esaminato e che ci indicano possibili traiettorie future. Lo spazio concesso ci permette solo di segnalare due profili di una sentenza che merita di essere letta. Con riferimento al rapporto del Giudice con i barèmes, gli Ermellini naturalmente distinguono le ipotesi in cui le tabelle sono imposte dalla legge (come accade per le c.d. micropermanenti nel caso di sinistri stradali e di responsabilità medica) dalle altre, in cui la liquidazione è lasciata alla valutazione equitativa del Giudice. Con riferimento alla prima ipotesi, essi lamentano come la mancata predisposizione della tabella unica nazionale per le lesioni di non lieve entità prevista dall'art. 138 del CAP ha un prezzo non solo in termini di aumento del contenzioso in materia ma anche di certezza del diritto, con effetti sul principio di valore costituzionale di uguaglianza.

Il principio di trattamento uguale a parità di condizioni impone poi di maneggiare con cautela le (inevitabilmente) diverse tabelle elaborate dalla scienza medico-legale e comporta che la liquidazione equitativa del Giudice che fosse inidonea a garantirlo non sarebbe coerente con l'art. 1226 c.c. – «nella sua portata normativa delineata dal ‘diritto vivente'» - e sarebbe pertanto illegittima. La Corte, che richiama alcune sue precedenti sentenze presentate come punti di emersione di questo principio, ne fa derivare due conseguenze: che – quantomeno all'interno del medesimo ufficio giudiziario - sia doveroso per i Giudici indicare un unico barème (scelto considerandone l'autorevolezza scientifica e la vicinanza temporale) ai medici legali, perché lo utilizzino per valutare la percentuale di invalidità; che – a fronte di una specifica contestazione in tal senso – debba essere considerata contraria all'art. 1226 c.c. la sentenza che non abbia valutato se il barème utilizzato sia scientificamente condiviso e aggiornato e sia stato applicato correttamente.

(Fonte: Diritto e Giustizia.it)

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