Cessione di azienda e profili interpretativi dell'art. 2560, comma 2, c.c.

Alberto Elmi
Martino Liva
18 Maggio 2021

In tema di cessione di azienda e relativi profili di responsabilità ex art. 2560, comma 2, c.c., rimane tuttora privo di una posizione definita il delicato contemperamento tra la tutela dell'affidamento dei creditori aziendali e l'esigenza del cessionario di potersi rappresentare l'entità del rischio incombente in caso di subentro nell'azienda. Mentre la giurisprudenza tradizionale ha storicamente interpretato i “debiti risultanti dai libri contabili obbligatori” in maniera restrittiva, l'arresto della Cassazione del 2019 sembrava aver cambiato le regole del gioco aprendo la strada a un'interpretazione più sostanzialistica, attenta al quadro probatorio generale oltre che al dato formale. La giurisprudenza più recente non sembra aver (ancora) fatto pienamente proprio il principio espresso da tale arresto, sebbene si possano comunque apprezzare dei risvolti in senso sostanziale.
Cessione di azienda: la disciplina e la ratio dell'art. 2560, comma 2, c.c.

Il codice civile regola le vicende circolatorie dell'azienda secondo una disciplina che mira ad assicurare efficienza nella circolazione dei beni aziendali, con attenzione però a garantire adeguata tutela ai creditori – in particolare quelli del cedente – per metterli al riparo da fenomeni elusivi.

Su queste due direttrici il legislatore ha disciplinato la sorte dei debiti e dei contratti (oltre a quella dei crediti, che esulano dall'argomento del presente focus) inerenti all'azienda con norme che prendono in considerazione, più che i rapporti interni tra cedente e cessionario (usualmente oggetto di regolamentazione pattizia tra le parti), il rapporto verso i terzi. In particolare, il codice civile disciplina: (i) il principio della successione automatica nei contratti, secondo il quale, in deroga alla regola generale, vi è il subentro automatico dell'acquirente nei contratti in essere funzionali all'esercizio dell'azienda non aventi carattere personale (art. 2558 c.c.) e (ii) la regola per cui la liberazione dell'alienante dai debiti aziendali presuppone l'espressa dichiarazione da parte di ogni singolo creditore, con responsabilità solidale dell'acquirente per i debiti dell'azienda ceduta (art. 2560 c.c.).

La giurisprudenza ha quindi messo in evidenza che la previsione di cui all'art. 2558 c.c. “debba applicarsi ogni qual volta il debito si ricolleghi a posizioni contrattuali non ancora definite” mentre quella dell'art. 2560 c.c. riguarda il caso in cui “il debito contrattuale non sia bilanciato da un credito corrispondente” (così Trib. Milano 9 aprile 2020, n. 2365; cfr. anche Cass. 3 gennaio 2020, n. 15, in Diritto & Giustizia 2020, 7 gennaio).

Evidenziato il “campo da gioco” entro cui si muove il focus, giova descrivere nel dettaglio il disposto di cui all'art. 2560 c.c..

La norma mira a regolare i rapporti esterni verso i creditori terzi, indicando (al comma 1) che l'alienante non è liberato dai debiti sorti prima della cessione, salvo consti il consenso dei creditori, confermando un principio generale in tema di obbligazioni secondo cui la sostituzione del soggetto passivo del contratto può avere luogo solo con il consenso del soggetto attivo; la norma prevede poi (al comma 2) una responsabilità aggiuntiva e solidale del cessionario per i debiti dell'azienda che risultano, al momento della cessione, “dai libri contabili obbligatori” dell'alienante, formalizzando, più o meno esplicitamente (come si vedrà meglio infra), un delicato contemperamento tra gli interessi dei creditori del cedente e gli interessi del cessionario del compendio aziendale.

Il legislatore ha quindi identificato nei risultati dell'attività aziendale lo strumento di garanzia più adeguato a tutelare i creditori, senza che ciò comporti una reale diminuzione della loro garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.. Essi infatti comunque beneficiano dell'intero patrimonio del debitore, il quale – per lo meno dal punto di vista quantitativo – non subisce una diminuzione per effetto dell'alienazione dell'azienda, posto che a fronte dell'uscita dal patrimonio del compendio aziendale, il patrimonio stesso si incrementa con il corrispettivo di cessione. Tuttavia, l'approccio seguito dal codice civile pare più dinamico: si adotta una soluzione che riflette la consapevolezza che la maggiore garanzia di soddisfacimento delle pretese creditorie sia data non tanto dal patrimonio del debitore (ex art. 2740 c.c.) quanto invece dai risultati del compendio aziendale trasferito.

Al riguardo, appare utile tenere a mente che la norma citata fa riferimento alla cessione di azienda ma vale, identica, anche per la cessione del ramo di azienda e il conferimento dell'azienda (o del ramo), dal momento che l'applicabilità degli artt. 2556 e ss. c.c. anche a tali fattispecie non è, per giurisprudenza costante, in discussione (cfr. al riguardo, tra le varie, Cass. 23 dicembre 2016 n. 26953).

La valenza dei “libri contabili obbligatori” nella giurisprudenza

L'articolo 2560, comma 2, c.c. tratteggia un particolare regime di responsabilità solidale, tramite un accollo cumulativo ex lege in capo al cessionario dei debiti inerenti l'esercizio dell'azienda ceduta. Trattasi di una responsabilità (in capo al cessionario) che è stata definita come “responsabilità senza debito”, (cfr. Cass. 3 marzo 1994 n. 2108), poiché esso si trova a essere responsabile per un debito sorto esclusivamente in capo all'alienante. Infatti, si è ribadito più volte in dottrina e in giurisprudenza come la solidarietà richiamata dal precetto in esame non determini alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale, rimanendo quindi il cedente quale debitore effettivo sostanziale, a cui è imputabile il fatto costitutivo del debito (cfr., per tutti, Cass. Civ. Sez I, 3 ottobre 2011 n. 20153 e Racugno, in Giur. Comm., 2013, II, 997). Da ciò deriva la possibilità per l'acquirente di agire in rivalsa nei confronti del cedente, dopo aver estinto il debito quale coobbligato in solido (salvo, pur sempre, patto interno contrario).

La norma si propone di conciliare interessi diversi, perseguendo una soluzione che contempera, da un lato, l'esigenza di tutelare l'affidamento dei creditori aziendali sulla redditività del compendio aziendale (sempre che in esercizio) e, dall'altro lato, l'esigenza del cessionario di potersi rappresentare l'entità del rischio incombente in caso di subentro nell'azienda.

Proprio quest'ultima esigenza ha portato storicamente la giurisprudenza a considerare la norma in questione quale norma avente natura eccezionale. L'approccio della giurisprudenza è stato quello di impedire, in maniera rigorosa, l'inclusione del cessionario nel perimetro di responsabilità, ove non vi fosse il concorso dei seguenti requisiti:

(1) debiti effettivamente in capo all'azienda;

(2) azienda necessariamente soggetta all'obbligo di tenuta di scritture contabili;

(3) debiti necessariamente risultanti dalle scritture contabili obbligatorie (con la conseguenza che il particolare regime di responsabilità dell'acquirente non opera per trasferimenti relativi i piccoli imprenditori e gli imprenditori agricoli che, ai sensi dell'art. 2214 c.c., non sono tenuti all'obbligo di tenuta delle scritture contabili; al riguardo, cfr. Cass. 9 marzo 2006, n. 5123, in Giust. civ. Mass. 2006, 3).

Si tratta, come detto, dell'interpretazione “tradizionale” alla norma data dai giudici (sia di merito che di legittimità), ben testimoniato, tra l'altro, da Cass. 9 ottobre 2009, n. 21481 (in Giur. comm. 2011, 1, II, 118), ove si legge che “l'iscrizione dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta nei libri contabili obbligatori è elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente dell'azienda”, senza che ciò possa essere derogato “dalla prova che l'esistenza dei debiti fosse comunque conosciuta da parte dell'acquirente”. Il ragionamento è riassumibile come segue: trattandosi di norma eccezionale, vale l'interpretazione letterale della norma, senza che sia possibile per l'interprete sfuggire dalle linee guida tratteggiate dal legislatore.

La lettura restrittiva poggia le sue fondamenta su esigenze di economicità e certezza nella circolazione dei beni: è difficile infatti che un potenziale acquirente si mostrerebbe interessato all'acquisto di un'azienda con un impianto debitorio non circoscritto o non circoscrivibile. Da qui, la Suprema Corte ha sempre ritenuto, fino all'arresto del 2019 (di cui infra), che ciò che rileva ai fini della responsabilità ex art. 2560, comma 2, c.c. sono solo i riscontri oggettivamente ricavabili dalle scritture contabili obbligatorie, non avendo alcun rilievo la conoscenza dell'esistenza di ulteriori debiti relativi all'azienda che l'acquirente abbia eventualmente ottenuto aliunde.

Insomma, secondo l'interpretazione tradizionale la presenza del debito nelle scritture contabili e, ab origine, l'esistenza di tali scritture contabili, sono condicio sine qua non per poter richiedere al cessionario il pagamento del credito di cui un creditore affermi di essere titolare, con esclusione della solidarietà dell'acquirente qualora i dati riportati nelle scritture contabili siano parziali e/o carenti nell'indicazione del soggetto titolare del credito, o comunque non chiari e/o non dettagliati (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 21 dicembre 2012, n. 23828).

Ciò, evidentemente, con l'esclusione di taluni crediti che beneficiano di un trattamento “di favore”, come quelli dei lavoratori, che seguono la speciale disciplina dell'art. 2112 c.c. che comporta la liberazione del cedente solo a seguito di una procedura assistita di tutela per il lavoratore e la possibilità, per quest'ultimo, di far valere le proprie pretese verso l'acquirente anche in assenza della presenza dei propri crediti tra le scritture contabili (potendo quindi usare qualsiasi elemento di prova).

I primi correttivi all'interpretazione tradizionale dell'art. 2560, comma 2 c.c.

L' interpretazione rigorosa dell'art. 2560, comma 2, c.c. è però apparsa non sempre coerente con la finalità di protezione dei creditori aziendali. Se è vero infatti che il requisito dell'iscrizione del debito nei libri contabili è volto ad evitare che il trasferimento di azienda divenga un'operazione troppo aleatoria per l'acquirente, è altrettanto vero che a seguito dell'operazione (senza apposita corretta iscrizione del debito) i creditori del compendio possono subire il depauperamento del patrimonio aziendale senza poter agire contro il cessionario (fatta eccezione per l'azione revocatoria). Per di più, i libri contabili non sono documenti pubblici a cui i creditori possono accedere per verificare l'effettiva annotazione dei debiti; per reperire tali scritture il creditore ha l'onore di agire in giudizio chiedendo un ordine di esibizione ex artt. 210 e 212 c.p.c., nonché ai sensi e per gli effetti dell'art. 2711 c.c..

Si è così fatta strada l'esigenza di temperare tale posizione, secondo un approccio più teleologico e sostanziale, inizialmente delimitato a due fattispecie principali:

- il caso dell'irregolarità delle scritture contabili, tale per cui se le irregolarità hanno un carattere, per così dire, specifico e sostanziale (cfr. Cass. 21 dicembre 2012, n. 23828 ove si parla di “dati riportati nelle scritture contabili […] parziali e carenti nell'indicazione del soggetto titolare del credito”), ne deriva l'esclusione della responsabilità dell'acquirente. L'acquirente, infatti, deve verificare le scritture contabili con diligenza ma, allo stesso tempo, poter fare affidamento su quanto rappresentato senza che gli si possa chiedere un quid pluris di indagine troppo oneroso;

- il caso, messo in luce (con un obiter dicta) dalla sentenza Cass., Sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5054 (in Giur. it., 2017, 2406). Ove è stato affermato che l'art. 2560, comma 2, c.c. incontra un limite “solo nella carenza di un'effettiva alterità soggettiva delle parti titolari dell'azienda: come nell'ipotesi di trasformazione, anche eterogenea, della forma giuridica del soggetto” oppure, nel caso di conferimento dell'azienda di un'impresa individuale in una società unipersonale. Precisazione utile per “smascherare” quei casi di trasferimento che, in definitiva, comportano un cambiamento formale ma non sostanziale nella titolarità dell'azienda.

La svolta del 2019: una lettura sempre più “sostanziale”

Il percorso “correttivo” dell'art. 2560, comma 2, c.c. trova un nuovo impulso in un caso giurisprudenziale che si interroga ancora sulla ratio della norma citata, avanzando il dubbio che l'interpretazione formalistica della norma finisca, talvolta, per avallare operazioni fraudolente.

Trattasi dell'ordinanza Cass. 10 dicembre 2019 n. 32134, ove i giudici hanno preso le distanze dalle letture di cui sopra per declinare una ratio di protezione dei creditori che tiene conto anche del quadro probatorio che emerge dalle risultanze processuali.

Pur ritrovandosi il consolidato orientamento secondo cui l'iscrizione dei debiti nei libri contabili obbligatori è da ritenersi elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità del cessionario (circostanza che non può essere surrogata dalla prova che l'esistenza dei debiti era conosciuta dal medesimo cessionario aliunde), si legge poi nella pronuncia che “la regola dell'art. 2560, comma 2, c.c. debba essere declinata in funzione della effettiva ratio di protezione contenuta nella norma, che non può prescindere dalle complessive emergenze processuali” e, a livello di principio, che “in tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà fra cedente e cessionario, fissato dall'art. 2560 c.c., comma 2, con riferimento ai debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, principio condizionato al fatto che essi risultino dai libri contabili obbligatori, deve essere applicato tenendo conto della "finalità di protezione" della disposizione, […] che consente all'interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per i quali essa è stata introdotta, e, dall'altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato”.

L'innovazione introdotta dalla pronuncia è data dalla sua prospettiva “sostanzialistica” che, per converso, era mancata nelle precedenti pronunce. Anche se non si può tralasciare che la fattispecie sulla quale la Corte è stata chiamata a pronunciarsi è un caso “di scuola”: il cessionario era una newco costituita dalla medesima compagine sociale al fine di trasferirvi l'azienda, con successiva messa in liquidazione della società cedente. È comunque evidente la discontinuità con il passato: facendo leva sulla lettura restrittiva tradizionale, la mancata, erronea e/o non chiara registrazione di un debito, in uno con la posizione di lontananza del creditore rispetto ai libri contabili del cedente, aprivano la strada ad operazioni in frode ai creditori.

La giurisprudenza successiva: un parziale ritorno al passato?

L'indirizzo impresso dall'arresto della Cassazione del 2019 è stato solo parzialmente raccolto dalla giurisprudenza successiva.

È stato messo in luce, innanzitutto, come la finalità primaria dell'art. 2560 c.c., comma 2 c.c. sia quella di “tutelare non già il cessionario - che appunto si avvale (già) del limite della conoscenza dell'esistenza del debito - bensì i creditori che, sul compendio aziendale poi fatto oggetto di cessione, hanno fatto riferimento (Cass. 6 luglio 2020, n. 13903). Con conseguente diritto, in capo ai creditori, di acquisire nel giudizio istaurato nei confronti del cessionario le scritture contabili del loro debitore originario.

Quale sia poi la valenza da assegnare a tali scritture contabili, dopo la pronuncia del 2019, è un tema tuttora non smarcato. In sintesi, ci si chiede se la presenza del debito nelle scritture contabili sia: (i) costitutiva della responsabilità del cessionario secondo la tradizionale lettura della norma, non potendo essere desunto nemmeno in via presuntiva, oppure (ii) un “mero” rilievo probatorio, che però è superabile (o quanto meno incrinabile) in caso di dimostrazione in altri modi dell'effettiva conoscenza del debito da parte dell'acquirente.

Testimonia il dibattito anche la più recente Cass. 7 ottobre 2020 n. 21561, che offre una chiave di lettura ancora diversa. Da un lato “strizza l'occhio” nei confronti della lettura tradizionale dell'art. 2560, comma 2, c.c., dall'altro, apre una via di tutela per i creditori eventualmente frodati da un'operazione di cessione di azienda non genuina, che tuttavia non transita da una interpretazione più “sostanzialistica” della dell'art. 2560, comma 2, c.c., ma bensì “dagli ordinari strumenti di impugnativa negoziale previsti”, prescindendo quindi dalla lettura restrittiva dell'art. 2560, comma 2, c.c. nei casi di operazioni in frode ai creditori.

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