"Certificazione verde" e mobilità delle persone al tempo del coronavirus

Vito Amendolagine
19 Maggio 2021

Il presente elaborato, muovendo dalla recente istituzione del certificato verde sanitario approvato dal Governo italiano sul modello del green pass ideato dalla Commissione europea, al fine di garantire la mobilità in sicurezza delle persone rispettivamente all'interno di un singolo Stato e tra le Regioni presenti all'interno del territorio nazionale di uno stesso Stato, e tra gli Stati dell'UE, si sofferma sulle connesse problematiche riguardanti l'introduzione di tale misura, in relazione ai principali aspetti giuridicamente rilevanti, riguardanti i diritti fondamentali degli stessi soggetti destinatari del suddetto strumento abilitante alla libera circolazione.
Dall'autocertificazione alla “certificazione verde" in attesa del green pass europeo

L'autocertificazione è un documento temporaneo introdotto nel marzo del 2020 al fine di consentire all'interno di una singola “zona rossa” istituita dal Governo, la mobilità temporanea delle persone presenti sul territorio nazionale italiano al tempo del coronavirus, per effetto del susseguirsi dei numerosi d.p.c.m. restrittivi di alcune libertà fondamentali della persona, tra cui particolare risalto ha avuto quella - introdotta dal decreto #iorestoacasa# - di muoversi liberamente anche nello stesso comune di residenza, conseguente alla precedente dichiarazione dello stato di emergenza nel gennaio dello stesso anno.

Con l'approvazione del d.l. 22 aprile 2021, n.52, recante misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da covid-19, a seguito dell'introduzione dei vaccini anticoronavirus, si è passati ad una nuova fase, e nell'ottica di potere consentire la ripresa - graduale - della libera circolazione delle persone sia all'interno del territorio nazionale di uno stato membro, sia all'interno della stessa comunità europea, nell'art. 2 del citato decreto, rubricato misure relative agli spostamenti, si è ricorsi alla creazione di uno strumento ad hoc - la certificazione verde - attestante lo status sanitario posseduto dalla singola persona a cui si riferisce, sotto il profilo della sua idoneità a viaggiare in condizioni di sicurezza, comprovante alternativamente lo stato di avvenuta vaccinazione contro il sars-cov-2 o guarigione dall'infezione da sars-cov-2 con la contestuale cessazione dell'isolamento prescritto in seguito ad infezione da sars-cov-2, disposta in ottemperanza ai criteri stabiliti con le circolari del Ministero della salute, ovvero l'effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus sars-cov-2. In particolare, in base al citato art. 2 del decreto “Riaperture”, si prevede che gli spostamenti in entrata ed in uscita dai territori collocati in zona arancione o rossa sono consentiti anche ai soggetti muniti delle certificazioni verdi covid-19 di cui all'art. 9 dello stesso decreto.

Al fine di consentire quanto prima la massima agibilità possibile delle persone all'interno del territorio nazionale, procedendo di pari passo con l'andamento della campagna vaccinale, per un periodo semestrale, ed in attesa dell'approvazione del “green pass” europeo, è stata quindi prevista la possibilità di avvalersi di tale forma di certificazione attestante il possesso di una delle tre condizioni sopra considerate.

Un certificato per consentire la mobilità e la partecipazione delle persone ad eventi aperti al pubblico

La certificazione verde sanitaria, che nella versione digitale sarà fruibile attraverso un sistema di app dedicato per consentirne l'uso attraverso smartphone con indicazione di un QR code da verificare sul dispositivo mobile, modellato sul green pass destinato a circolare in ambito europeo, è chiaramente pensata per una vasta e variegata platea di potenziali utenti, tenuto conto che nel concetto di mobilità, il legislatore ha ricompreso anche la partecipazione ad eventi di massa (ad esempio, la presenza negli stadi per assistere alle partite di calcio od a concerti musicali, od ancora, per accedere negli ampi spazi aperti al pubblico comunque destinati ad accogliere eventi culturali, di svago, musicali o di altro genere, per potere accedere nei musei, palazzetti dello sport, cinema, congressi, convegni, sale ricevimenti, etc.) in cui è importante garantire che la partecipazione delle persone “in presenza” avvenga nel rispetto delle condizioni di sicurezza derivanti dalla circolazione del virus.

Non è ancora chiaro se a disposizione dei meno giovani, la stessa certificazione verde da cartacea - col tempo, destinata ad essere sostituita dal green pass europeo - prenderà una forma simile a quella della tessera sanitaria o carta d'identità, dotata di un microchip, la cui esibizione, consentirà di verificare immediatamente all'attualità lo status sanitario posseduto dal suo titolare unitamente ai restanti dati personali impressi sullo stesso documento elettronico.

La ratio che ha indotto il Governo - seguendo le orme della commissione europea che per prima ha pensato ad un provvedimento normativo specifico al fine di introdurre il passaporto sanitario, anch'esso disponibile in versione digitale, corredato di un codice QR contenente le informazioni anche sul tipo di vaccino inoculato, ovvero se l'intestatario ha già contratto in passato il virus, indicando altresì i dati clinici aggiornati per conoscere se è munito degli anticorpi - all'introduzione del certificato verde, oltre a fondarsi chiaramente su ragioni di carattere sanitario, è stata giustificata anche da valutazioni rilevanti sul piano squisitamente economico, al fine di consentire con la ripresa della possibilità di viaggiare in sicurezza, anche la ripartenza dell'industria del turismo, all'interno di una singola Regione, o tra più Regioni all'interno dello stesso territorio nazionale - si pensi ai numerosi cittadini che intendono raggiungere la seconda casa posta in una Regione diversa da quella in cui risiedono - che rappresenta uno dei settori sino ad oggi maggiormente colpiti dalla pandemia, insieme a quelli della ristorazione e dei trasporti, in particolare, quello aereo, anche sulle tratte nazionali, per le note difficoltà a garantire in spazi piccoli e chiusi il rispetto delle più elementari misure di sicurezza volte a prevenire il rischio di contagio.

Non è ancora chiaro se il certificato verde occorrerà anche per accedere a tutta una serie di locali piccoli e grandi aperti al pubblico (pub, bar, ristoranti, pizzerie, negozi, locali e gallerie commerciali aperte nella grande distribuzione, etc.).

Le principali problematiche legate all'introduzione del certificato verde

Una premessa: in futuro, l'attuale certificazione verde italiana, pur non essendo obbligatoria, in quanto, in sua mancanza, potrà essere richiesto un test negativo al Covid, di riflesso, potrebbe candidarsi seriamente a diventarlo, laddove finisca per diventare praticamente indispensabile, quale requisito richiesto per accedere ad un qualunque ambiente aperto al pubblico, e non si disponga nell'immediato, di un test comprovante la negatività al virus non più vecchio di 48 ore.

Ciò posto, una possibile soluzione alle principali problematiche che potrebbero sorgere per effetto dell'introduzione del certificato verde, passa inevitabilmente dall'equo bilanciamento tra l'interesse riguardante la preservazione della salute del singolo individuo, e, più in generale, della stessa collettività, ed i restanti diritti fondamentali collegati alla tutela della privacy e della parità di trattamento delle persone al fine di evitare ogni possibile forma discriminatoria.

Fatta questa debita premessa, i dubbi sulla certificazione verde - in pratica gli stessi che si porranno anche per il green pass europeo - riguardano soprattutto quelli legati al rispetto della privacy e la possibilità di incorrere in discriminazioni legale alla salute della persona laddove si arrivi a garantire la libera circolazione soltanto ai soggetti che ne sono in possesso - ed in grado quindi di documentare - lo status sanitario certificato, limitando fortemente i diritti e le libertà fondamentali di tutti i restanti soggetti che invece ne sono sprovvisti.

Orbene, muovendo dall'ordine sopra considerato, una prima domanda potrebbe allora essere quella riguardante l'individuazione dei soggetti autorizzati alla raccolta, conservazione, utilizzo e trattamento dei dati sanitari, non senza precisare che poiché trattasi pur sempre di dati sensibili che possono travalicare - per effetto del singolo soggetto a cui appartengono i dati sottoposti a “trattamento” - l'autorità di un singolo Paese, si pone l'ulteriore dilemma se la relativa competenza appartenga esclusivamente ad un'autorità pubblica del singolo Stato o se invece ne occorra anche una sovranazionale?

Ulteriore problema è se i suddetti compiti possano essere delegati ad un soggetto privato, e se il titolare dei dati possa o meno revocare liberamente il proprio consenso.

Quello che è sembrato subito certo al legislatore è che per regolamentare i suddetti aspetti, estremamente delicati, in quanto costituenti un evidente strumento di profilatura e schedatura sanitaria del singolo individuo, al quale si riferiscono i relativi dati informativi, occorre una legge ordinaria, che tenga conto dei principi costituzionali esistenti in materia, al fine di garantirne il relativo controllo da parte dell'istituzione a ciò preposta.

In tale ottica, non è certo un caso se l'art. 9, comma 10 del d.l. n.52/2021 rinvia ad un d.p.c.m. - sentito il Garante per la protezione dei dati personali - l'individuazione delle specifiche tecniche per assicurare l'interoperabilità delle certificazioni verdi covid-19 e la Piattaforma nazionale -DGC, nonchè tra questa e le analoghe piattaforme istituite negli altri Stati membri dell'Unione europea, tramite il Gateway europeo, così come le modalità di aggiornamento delle certificazioni, le caratteristiche e le modalità di funzionamento della suddetta Piattaforma nazionale -DCG, la struttura dell'identificativo univoco delle certificazioni verdi covid-19 e del codice a barre interoperabile che consente di verificare l'autenticità, validità ed integrità delle stesse, l'indicazione dei soggetti deputati al controllo delle certificazioni, i tempi di conservazione dei dati raccolti ai fini dell'emissione delle certificazioni, e le misure per assicurare la protezione dei dati personali contenuti nelle stesse certificazioni.

Nel primo caso, il rischio è legato al corretto trattamento dei dati personali sensibili dei cittadini nell'utilizzo di una app per l'uso della certificazione, problema che del resto già si è posto nel recente passato per l'app Immuni relativa al tracciamento dei soggetti positivi al coronavirus, sebbene in modo completamente diverso, atteso che il relativo funzionamento riguardava la verifica se tra i codici intercettati nell'incrocio delle reti Bluetooth fosse emerso o meno un codice già presente nell'elenco di quelli associati ad utenti già risultati positivi al test, mentre la seconda ipotesi che qui interessa, riguarda la disparità di trattamento tra chi ha scelto di vaccinarsi e coloro che invece, non hanno potuto o voluto sottoporsi al relativo trattamento sanitario.

Infatti in quest'ultimo caso, il meccanismo di identificazione riguarda l'intestatario del codice QR ovvero della tessera elettronica che dovrà essere presentato di volta in volta fisicamente al soggetto responsabile di verificare le informazioni presenti nella suddetta app o documento elettronico al fine di concedere il nulla osta a far sì che l'intestatario possa accedere alla partecipazione ad un determinato evento aperto al pubblico (entrata allo stadio o ad un teatro, cinema, museo, convegno, ma anche a sale ricevimenti per partecipare a matrimoni, feste, riunioni, od anche in versione small, per entrare nei locali merceologici di vendita retail o più semplicemente, per la vendita al pubblico di cibi e bevande, come bar, pub, pizzerie, ristoranti, fastfood, etc.).

In tutti questi casi, è evidente che si pone un complesso problema di bilanciamento delle esigenze di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti dell'individuo, in relazione ai quali, la precedenza accordata nel presente momento storico per effetto della pandemia in corso, all'interesse ritenuto prevalente, di tutela della salute individuale e pubblica, non può spingersi sino al punto di annullare completamento il diritto ad un'efficace tutela della privacy del singolo soggetto coinvolto in occasione dei controlli svolti sul territorio.

In ordine al secondo problema qui considerato, si è già detto che esso è rappresentato dalla possibile discriminazione del singolo individuo per ragioni sanitarie qualora non possieda la certificazione verde italiana, da esibire nei confronti del singolo soggetto privato o pubblico chiamato a verificarne il possesso prima di consentirne l'accesso ad un qualsiasi luogo aperto al pubblico sia esso privato o pubblico (istituzionale).

Infatti, tra due soggetti, uno dei quali vaccinato o guarito e l'altro sprovvisto di entrambi tali requisiti, quest'ultimo verrebbe a trovarsi nella singolare situazione discriminatoria in cui si vedrebbe negare - per una chiara ragione di natura sanitaria, peraltro neppure riferita al proprio stato di salute di essere immune dal contagio, ma unicamente all'impossibilità di “dimostrarlo” nell'immediatezza - l'accesso ad uno spazio aperto al pubblico, con la conseguente impossibilità di partecipare a qualunque evento destinato a svolgersi nell'anzidetto luogo.

L'unico modo per sopperire a tale situazione in base a quanto previsto dall'art. 9 del d.l. n.52/2021 è avere fatto un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus sars-cov-2 entro le 48 ore, ma è davvero immaginabile riuscire a farlo in tempo utile per potere partecipare ad un singolo evento attraverso l'accesso ad un qualsiasi luogo aperto al pubblico, come un bar od un pub per effettuare una consumazione o per recarsi al cinema, od ancora per entrare in un supermercato od in un negozio?

Ciò per tacere della sopportazione degli eventuali costi per l'esecuzione del test, che magari non tutti i soggetti interessati hanno la possibilità economica di fare (e ripetere) nel tempo, risultando a maggiore ragione così evidente anche sotto tale ulteriore aspetto, l'elemento discriminatorio riferito alla difficoltà per la persona, di potere allegare l'esistenza di un determinato status sanitario.

Ad ogni buon conto, una cosa è prenotare il test in tempo utile prima di partire per un viaggio di lavoro o per una vacanza, od ancora, prima di partecipare ad un qualsiasi evento di massa, ed altro conto è doverlo fare invece prima di entrare in contatto diretto con i luoghi aperti al pubblico, che di norma, sono soliti essere frequentati quotidianamente dalle persone.

Non solo, la certificazione verde dovrebbe riguardare anche i minori, ragione per cui l'individuazione di una soluzione giuridicamente accettabile per prevenire le suddette problematiche - anche con riferimento al tema della privacy e della correlata sicurezza nella profilazione dei dati sanitari che li riguardino - dovrebbe assumere carattere prioritario, ragione per cui il d.l. n.52/2021 su tale punto specifico potrebbe essere integrato in sede di conversione in legge.

L'impatto della certificazione verde sulle attività della persona per effetto di un “default” del sistema informatico

Quid juris se una “falla” o “bug” nel sistema informatico in uso all'amministrazione che dovrà gestire le informazioni destinate a circolare con QR code dovesse impedire a singoli utenti di essere correttamente certificati dalla relativa app nel momento in cui dovessero averne bisogno per accedere all'uso di determinati servizi od attività?

Appare evidente che in caso di malfunzionamento “a monte” del sistema informatico per una qualsiasi ragione, magari anche per effetto di “virus”, malware od altre attività illecite di hackeraggio, si verrebbe di fatto a “bloccare” improvvisamente la libera circolazione delle persone - ad esempio i cd. “pendolari” - all'interno del territorio nazionale, nell'ambito della mobilità interregionale.

A ben vedere un'analoga quaestio potrebbe aversi in futuro anche riguardo all'introduzione del green pass europeo, ad esempio, nel caso in cui una persona per determinate ragioni si trovi all'estero, ed in attesa di rientrare in Italia (o viceversa), possa essere “bloccata” prima di accedere all'aeroporto per effetto dell'impossibilità - temporanea - di ricevere il cd. “nulla osta” non potendo essere in un dato momento temporale “certificata” come idonea dal punto di vista sanitario per effetto della disabilitazione temporanea dei servizi telematici collegati all'app di cui si discorre.

Nell'ipotesi qui considerata, l'effetto immediato sarebbe quello della perdita del volo, e con esso, la possibilità di rientrare tempestivamente in Italia per il disbrigo di tutta una serie di atti ed attività che potrebbero anche rivelarsi urgenti, come il sottoporsi a controlli, accertamenti od interventi chirurgici già programmati.

Una situazione del genere non sarebbe del resto nuova, essendosi già verificato un caso simile proprio nel 2020 con l'app Immuni, a causa di un “bug” che ne ha bloccato i controlli e con essi la stessa possibilità di utilizzo su tutta una serie di dispositivi mobili (L. Longo,Bug di Immuni, per giorni alcuni utenti non protetti dall'app contro il Covid-19, 13 settembre 2020).

L'ulteriore problema legato alla durata temporale della certificazione verde

L'art. 9 del d.l. n.52/2021 prevede che la certificazione verde ha una validità di sei mesi a fare data rispettivamente dal completamento del ciclo vaccinale, dall'avvenuta guarigione o quarantotto ore dall'esecuzione del test, ed è rilasciata, su richiesta dell'interessato, nella prima ipotesi, in formato cartaceo o digitale, dalla struttura sanitaria ovvero dall'esercente la professione sanitaria che effettua la vaccinazione contestualmente alla stessa, al termine del prescritto ciclo, recando l'indicazione del numero di dosi somministrate rispetto al numero di dosi previste per l'interessato; nella seconda ipotesi dalla struttura presso la quale è avvenuto il ricovero del paziente affetto da covid-19, ovvero, per i pazienti non ricoverati, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta, tenendo presente che tale certificazione cessa di avere validità qualora, nel periodo di vigenza semestrale, l'interessato venga identificato come caso accertato positivo al sars-cov-2; nella terza ed ultima ipotesi, dalle strutture sanitarie pubbliche o private - autorizzate od accreditate - e dalle farmacie che svolgono i relativi test, ovvero dai medici di medicina generale o pediatri di libera scelta.

Soltanto nei casi riguardanti la vaccinazione e la guarigione è previsto che contestualmente al rilascio della certificazione verde da parte della competente struttura sanitaria o dell'esercente la professione sanitaria, anche per il tramite dei sistemi informativi regionali, la stessa debba essere resa disponibile nel fascicolo sanitario elettronico dell'interessato.

Conseguentemente, un'ulteriore problema potrebbe sorgere dalla stessa durata limitata della certificazione sanitaria non essendo ancora note eventuali indicazioni una volta superata la suddetta barriera temporale, né sull'individuazione delle procedure occorrenti per la sua eventuale rinnovazione - ad esempio, attraverso il semplice controllo degli anticorpi o se invece serva soltanto la rinnovazione del vaccino - né sulle modalità riguardanti la relativa procedura, trattandosi anche in questa ipotesi, di acquisire i pregressi dati clinici (se già presenti nel fascicolo elettronico) combinati con quelli raccolti nell'immediatezza del nuovo trattamento - dunque, classificabili a priori come “sensibili” - in quanto riferiti strettamente alla persona interessata.

In conclusione

La certificazione verde di cui all'art. 9 d.l. n.52/2021 rappresenta una prima soluzione, applicabile - come recita il comma 9 della stessa norma citata - in ambito nazionale fino alla data di entrata in vigore degli atti delegati per l'attuazione delle disposizioni di cui al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificazioni interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test ed alla guarigione per agevolare la libera circolazione all'interno dell'Unione Europea durante la pandemia di covid-19 che abiliteranno l'attivazione della Piattaforma nazionale - DGC. - ideata al fine di evitare in ambito nazionale possibili disparità di trattamento fra i pass rilasciati dalle autorità sanitarie di un singolo Stato - stabilendone, a certe condizioni, la perfetta equivalenza, atteso che l'art. 9, comma 8 dello stesso d.l. n.52/2021 prevede espressamente che le certificazioni verdi covid-19 rilasciate in conformità al diritto vigente negli Stati membri dell'Unione europea sono riconosciute, come equivalenti a quelle italiane e valide se conformi ai criteri definiti con circolare del Ministero della Salute, riservando analogo trattamento per le certificazioni rilasciate in uno Stato terzo (extraUE) a seguito di una vaccinazione riconosciuta nell'Unione europea e validate da uno Stato membro dell'Unione, essendo anch'esse riconosciute come equivalenti a quelle disciplinate in Italia e ritenute valide se conformi ai criteri definiti con circolare del Ministero della Salute italiano.

In realtà, qui sorge l'ulteriore problema del cd. “doppio binario”, poiché per quanto concerne le certificazioni verdi provenienti da Paesi extraUE non sembra essere sufficiente che la vaccinazione sia stata riconosciuta nell'Unione europea e validata da uno Stato membro dell'Unione, occorrendo altresì che siano anche conformi ai criteri definiti con la circolare del Ministero della Salute italiano.

A tale fine, occorrerebbe quindi stabilire previamente il rispetto dei criteri clinici e scientificamente predeterminati al fine di individuare un'unico standard normativo internazionale che riconosca la validità delle procedure che portano all'emissione del relativo documento sanitario attestante l'avvenuta vaccinazione o guarigione dal virus.

In tale modo si finirebbe con l'evitare “a monte” ogni genere di problematica giuridicamente rilevante in ordine ai provvedimenti amministrativi emessi dalla singola autorità locale, come recentemente accaduto in ambito nazionale con i cd. “Coronapass“ introdotti da un'ordinanza del governatore nella Provincia autonoma di Bolzano per accedere ai locali aperti al pubblico (ristoranti).

Negli spostamenti fra regioni di vario colore, il soggetto in possesso del certificato verde potrà spostarsi liberamente, sia pure con la distinzione tra chi si è già vaccinato - ricevendo il dosaggio nella misura ritenuta idonea a prevenire qualsiasi ipotesi di contagio dal virus o chi comunque risulta possedere i relativi anticorpi per essere già stato dichiarato guarito - e chi invece dovrà preventivamente sottoporsi al test al cui esito negativo è condizionato l'accesso ed il transito nell'ambito di una regione diversa da quella di residenza nel territorio nazionale.

Analogo discorso vale anche per i viaggi all'estero, in attesa che diventi operativo il green pass europeo.

In realtà, il vero problema per la libertà di circolazione - in attesa del superamento della pandemia - sembrerebbe essere legato all'effettivo valore delle certificazioni verdi e di quelle ad esse equivalenti emesse dalle autorità competenti in altri Stati UE od extra UE - al pari del green pass europeo quando sarà operativo - poichè, come sembra dimostrare il recente caso della doppia mutazione della variante indiana denominata B.1.617 del sars-cov-2, fino a quando non si avranno maggiori certezze sulla reale efficacia dei vaccini, anche in ragione di quello specificamente adottato dal singolo Stato, che per essere equipollente dovrà comunque risultare conforme ai parametri definiti dall'EMA, anche sulle varianti del virus nulla vieta al ministro della Salute di un determinato paese di emanare ordinanze restrittive per la circolazione delle persone, come quella attualmente emanata per tutti coloro - residenti e non che arrivano dall'India, i quali, a prescindere dal possesso o meno del certificato sanitario di cui si discorre, devono sottostare dal 26 aprile 2021 al test antigenico osservando un periodo di quarantena.

Riferimenti
  • G. Resta, La protezione dei dati personali nel diritto dell'emergenza Covid-19;
  • A. Celotto, “Immuni” e la Costituzione;
  • M. Iaselli, Coronavirus e privacy: attenti alle pericolose derive tecnologiche;
  • A. Ciccio Messina, Certificazioni verdi Covid-19: l'autorizzazione per gli spostamenti si confronta con la tutela della privacy.

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