La parabola della distinzione tra fattibilità economica e fattibilità giuridica

19 Maggio 2021

L'Autore si sofferma sulla distinzione tra i concetti di "fattibilità economica" e "fattibilità giuridica", ripercorrendo l'evoluzione normativa, giurisprudenziale e le posizioni della dottrina. I limiti tra i due concetti, come evidenziato, sono destinati progressivamente a sfumare e la distinzione verrà definitivamente meno per effetto delle nuove disposizioni del Codice della crisi e della normativa europea.
Inquadramento, contesto culturale e normativo

L'approdo dell'elaborazione giurisprudenziale sulla fattibilità ha ulteriormente precisato i limiti tra i due concetti, destinati forse progressivamente a sfumare con l'introduzione del Codice della crisi e ad essere inesorabilmente travolti dal rasoio di Ockham.

La distinzione è centrale per comprendere il termometro della privatizzazione della crisi di impresa, seppure in un contesto di sicura incertezza ideologica.

Se si pone lo sguardo all'evoluzione del diritto concorsuale, dopo i primi entusiasmi verso un arretramento dell'incidenza giurisdizionale della stagione delle riforme a partire dal 2006, il perimetro di sindacato del tribunale si è progressivamente espanso.

L'argine all'incertezza del mantice interpretativo sul sindacato del tribunale è stato parzialmente eretto con la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica.

E' noto che il sindacato di fattibilità giuridica nel concordato preventivo si riferisce alla non incompatibilità del piano con norme inderogabili, mentre il sindacato di fattibilità economica riguarda la realizzabilità del piano, ma solo nei limiti della sua eventuale manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Rimane tradizionalmente riservata ai creditori la sola valutazione della convenienza della proposta rispetto all'alternativa fallimentare, oltre a quella della specifica realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione prevista per ciascuno di essi.

Secondo la Suprema Corte sulla distinzione non ha inciso nemmeno il comma 4 dell'art. 160 l.fall. (introdotto dal d.l. n. 83/2015, conv. con modif. dalla l. n. 132/2015), laddove prevede che la proposta di concordato deve assicurare in ogni caso il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari nel concordato liquidatorio (Cass. 15 giugno 2020, n.11522).

La distinzione tra poco verrà definitivamente meno, per effetto delle nuove norme del CCII e della normativa europea.

S'intende qui ripercorrere per sommi capi questo percorso.

L'introduzione della nozione di fattibilità del piano concordatario

I primi significativi cambiamenti alla procedura concordataria rispetto alla legge fallimentare sono stati introdotti con la Riforma operata dal D.L. 32/2005, tra i quali si trova l'inserimento del concetto di “fattibilità” del piano, modellato sulla feasability del Chapter Eleven: all'art. 161 l. fall. si richiedeva al terzo professionista attestatore di redigere una relazione che attestasse la fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali. Il significato della locuzione veniva affidato agli interpreti.

La ‘fattibilità' è un calco dall'inglese “feasibility”, della quale ripete solo in parte l'estensione semantica.

La giurisprudenza ha elaborato le prime interpretazioni della nozione di fattibilità muovendo dall'art. 162 l. fall., ai sensi del quale “il Tribunale può concedere un termine al debitore per apportare integrazioni e produrre nuovi documenti”, riconoscendo al giudice la possibilità di svolgere un sindacato di attuabilità del piano: in sede di ammissione del concordato, il giudice avrebbe potuto procedere non solo alla verifica di legittimità formale, con un controllo notarile della documentazione, ma sarebbe potuto entrare nel merito della proposta formulando un giudizio prognostico circa le prospettive di successo del piano.

In questo contesto, negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore del D.L. 35/2005, sono maturati due opposti filoni giurisprudenziali: il primo, minoritario, per il quale il sindacato di legittimità poteva estendersi sino ad annoverare le probabilità di adempimento del piano; il secondo, maggioritario, escludeva, invece, la possibilità per il Tribunale di verificare la fattibilità della proposta già asseverata dall'attestatore, salva l'ovvia verifica di coerenza dell'elaborato dell'esperto.

Secondo quest'ultima impostazione, in assenza di opposizioni all'omologa, vista la natura più marcatamente privatistica del concordato, il sindacato di fattibilità economica era riservato ai soli creditori.

Autorevole dottrina ha individuato cinque argomenti che accumunavano le tesi prospettate a sostegno dell'illimitatezza del sindacato giurisdizionale: i) il riconosciuto potere di richiedere l'integrazione del piano e dei documenti previsto nell'art. 162 l. fall; ii) la possibilità di disporre d'ufficio i mezzi istruttori, nel caso di opposizioni all'omologazione; iii) il possibile difetto di indipendenza dell'attestatore; iv) l'eliminazione dell'inciso “completezza e regolarità della documentazione” previsto nell'art. 163 l. fall., che avrebbe imposto doveri officiosi di attivazione del giudice; v) la comunicazione della proposta al pubblico ministero.

Giunta al vaglio di legittimità, la questione ha trovato soluzioni nettamente contraddittorie.

Da un lato, con la pronuncia n. 18864/2011, la Corte aveva statuito che la valutazione del giudice si sarebbe dovuta estendere alla fattibilità del piano, nel caso in cui il Tribunale avesse ravvisato un “vizio genetico della causa” del concordato tale da renderlo ictu oculi inattuabile.

Dall'altro, con la sentenza n. 13817/2011, la Corte ha enunciato l'opposto principio per il quale non sarebbe spettato al Tribunale verificare la fattibilità economica del piano, perché essa spettava esclusivamente ai creditori, che potevano denunciarne le probabilità di insuccesso attraverso l'opposizione all'omologazione.

La seconda delle due pronunce è stata oggetto di una puntualizzazione ad opera di una parte della dottrina, che ha ricollegato il concetto di fattibilità al tema del voto informato dei creditori. Secondo una simile impostazione, la valutazione sulla fattibilità spetterebbe soltanto ai creditori: la valutazione del Tribunale non doveva quindi sovrapporsi ad essa. Il Tribunale doveva limitarsi a verificare che la proposta fosse pienamente nota alla massa, affinché i creditori potessero votare consapevolmente.

Altre tesi dottrinarie hanno offerto ipotesi alternative, accogliendo talvolta la soluzione restrittiva, che predicava interpretazioni fortemente riduttive dei poteri di verifica del Tribunale valorizzando l'aspetto privatistico, talvolta quella estensiva, imponendo così l'intervento delle Sezioni Unite.

L'evoluzione giurisprudenziale: dalla nota sentenza della Cassazione n. 1521/2013 a oggi. L'esigenza di un intervento

L'esigenza di un intervento nomofilattico sulla delimitazione dei poteri del Tribunale in relazione alla verifica della fattibilità del concordato diventò sempre più impellente, soprattutto perché all'epoca il concordato destava qualche sospetto: con l'introduzione del concordato in bianco e del silenzio assenso con il DL. n. 83/2012, l'istituto si prestava infatti a facili abusi, potenzialmente amplificati dall'incertezza ermeneutica sulla fattibilità.

Questo è il contesto nel quale fu elaborato l'intervento delle Sezioni Unite n. 1521/2013.

Per quanto qui interessa, la Corte è intervenuta scindendo la fattibilità, declinata nelle sottocategorie cui si è fatto cenno: la “fattibilità giuridica” e la “fattibilità economica”.

Con “fattibilità giuridica”, la Corte si riferisce alla verifica di non incompatibilità del piano con le norme inderogabili, mentre, per ‘fattibilità economica' intende il giudizio prognostico sulla effettiva realizzabilità del piano.

La dicotomia della Corte muoveva dalla richiamata natura mista del concordato e si concentrava sulla causa concreta dell'istituto: in tanto è giustificabile il sacrificio dei creditori, in quanto la proposta sia in grado di determinare il risanamento, con modalità che cambiano caso per caso e dunque non sono sempre preconizzabili sotto il profilo economico.

E, concludevano le Sezioni Unite, il Tribunale poteva verificare esclusivamente la fattibilità giuridica, intesa come realizzabilità della proposta sotto l'angolo visuale della causa concreta del concordato, essendogli sottratto un potere di controllo sul piano economico, rimesso ai soli creditori, perché questa valutazione consiste in un giudizio prognostico con margini di opinabilità e di errore che si traducono inevitabilmente in un fattore di rischio per i soggetti interessati.

E in ipotizzata coerenza con l'impianto generale dell'istituto del concordato preventivo, un simile rischio avrebbe dovuto gravare sulla massa.

Il tentativo ermeneutico non è riuscito a eliminare le ambiguità sottostanti alla causa concreta del concordato anche per l'effetto dell'introduzione di nuove norme che, ancora una volta, spingevano il baricentro delle procedure minori verso una forma di più marcata eterotutela, capace di dare impulso a letture assai più interventiste e in grado, di conseguenza, di ampliare il sindacato del Tribunale rispetto ai limiti fissati dalle Sezioni Unite.

Successivamente, la l. 132/2015 ha reintrodotto la percentuale minima di soddisfazione per i creditori chirografari al venti percento nel concordato liquidatorio, con l'art. 160, comma 4, l. fall.

La reintroduzione della misura minima di soddisfacimento ha comportato un nuovo impulso per le tesi che sostenevano l'ampliamento del sindacato del Tribunale: la dottrina e la giurisprudenza, infatti, hanno, allargato le maglie del perimetro della fattibilità estendendola alla verifica della probabilità di raggiungimento delle percentuali minime con un grado prossimo alla certezza.

Secondo quest'ultima tappa evolutiva, se il Tribunale è chiamato a verificare l'idoneità del piano ad “assicurareil pagamento di almeno il 20% dell'ammontare dei crediti chirografari, il controllo giurisdizionale deve necessariamente oltrepassare la soglia della fattibilità giuridica ed entrare nel merito della fattibilità economica, restando la sola convenienza della proposta appannaggio del voto dei creditori, così come il raggiungimento delle percentuali superiori a quelle minime di legge.

E' questa la tesi della Corte d'Appello di Firenze del 27 febbraio 2016, n. 2023, approdata a ritenere la fattibilità economica del piano quale requisito di ammissibilità della procedura e, come tale, oggetto del sindacato diretto di merito da parte del giudice.

La pronuncia rende evidente l'infecondità ermeneutica della distinzione tra fattibilità giuridica ed economica, figlia della pronuncia a Sezioni Unite, descrivendola come un mostro semantico, laddove contesta che “…tale impostazione distorce il dettato normativo e si rivela intrinsecamente illogica. La locuzione “fattibilità giuridica” invero non sta nella legge, nasce dalla creatività dell'interprete al fine di sottrarre al giudice il potere/dovere di valutare la fattibilità economica della proposta concordataria, ma appare un mostro semantico, una sorta di ircocervo, come sarebbe l'inverso di “giuridicità fattuale”. L'aggettivazione, infatti, non solo è testualmente arbitraria, ma si pone in antinomia col sostantivo. Per afferrare compiutamente il significato della locuzione, occorre stabilire se il referente consista in un giudizio di diritto oppure di fatto. Nel primo caso, il composto lessicale diventa sinonimo di legittimità, nel senso che è giuridicamente fattibile ciò che è lecito, mentre non è fattibile ciò che illecito, ma allora l'espressione si risolve in innocua stravaganza terminologica. Volgendosi al mondo dei fatti, invece, la qualificazione “giuridica” della “fattibilità” diventa incongrua, essendo chiaro a chiunque che il termine “fattibilità” denota la possibilità di mettere in pratica un progetto, l'opportunità di tradurre un'idea in realtà, senza assumere alcuna inflessione giuridica. Siccome in claris non fit interpretatio, resta da spiegare perché il supremo Collegio abbia inteso sradicare il concetto di fattibilità dal piano fattuale (che gli è manifestamente congeniale) per trasporlo sul piano del diritto (che gli è manifestamente estraneo) attraverso un'aggettivazione incoerente”.

Il collegio fiorentino rimarca la differenza tra fattibilità e convenienza: la prognosi sulla concreta attuabilità del piano non rimane assorbita dalla valutazione relativa alla convenienza economica del concordato, che è rimessa ai creditori. La Corte, anzi, ricollega la legittimità del potere del controllo sulla fattibilità economica proprio facendo leva sulla limitazione del sindacato sulla convenienza e sulla meritevolezza, venuto meno con la stagione delle riforme del primo decennio del duemila.

Del resto, fattibilità economica e convenienza erano stati in qualche modo confusi anche nella sentenza delle Sezioni Unite del 2013, ma come è stato colto da autorevole dottrina, devono invece rimanere distinti: la convenienza si relaziona con la proposta e la sua valutazione è rimessa al solo ceto creditorio, mentre la fattibilità concerne il piano di concordato e non può che essere oggetto delle verifiche del Tribunale.

Nei successivi anni, la giurisprudenza formatasi a seguito della sentenza n. 1521/2013 è stata caratterizzata da un comune denominatore, che consisteva nel correlare la verifica della fattibilità del piano, intesa come controllo della causa concreta del concordato, alla verifica dell'idoneità della proposta al raggiungimento dello scopo perseguito: di fronte ad un piano manifestamente implausibile, al Tribunale veniva attribuito il potere di non ammettere la procedura.

In particolare, la Cassazione n. 4915 del 2017 ha statuito che il perimetro del potere di controllo del tribunale sulla fattibilità economica deve rientrare nei limiti della verifica della sussistenza o meno di una “assoluta, manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obbiettivi prefissati”.

E, nel caso di concordato con continuità aziendale, la giurisprudenza e la dottrina hanno letto persino come più intenso il giudizio di fattibilità: la verifica dell'andamento dei flussi di cassa è demandato al giudice giacché il piano con continuità deve essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa, nell'ottica di assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori.

La giurisprudenza maggioritaria tende a eliminare la distinzione tra fattibilità economica e giuridica, facendo confluire i due concetti nella più ampia categoria dell'ammissibilità, dove il controllo giudiziale si amplia e risulta limitato solo dalla convenienza della proposta.

E' in quest'ottica che si inserisce la pronuncia della Cassazione n. 11522 del 15 giugno 2020, che ammette una piena verifica della proposta almeno per il concordato liquidatorio e limitatamente al vaglio della misura minima prevista dalla legge, rimanendo invece lasciato al libero apprezzamento dei creditori debitamente informati il giudizio probabilistico circa il raggiungimento di percentuali superiori al venti percento eventualmente promesso dal concordato.

Considerazioni conclusive: il Codice della crisi e la Direttiva europea

Dalla disamina dell'evoluzione dell'interpretazione del concetto di fattibilità del piano operato dalle Corti e dalla dottrina, parrebbe che il destino della distinzione tra fattibilità giuridica ed economica sia segnato: essa potrebbe rimanere, a breve, un ricordo da annoverare nella storia del diritto fallimentare.

Del resto, se un piano non è fattibile sotto il profilo giuridico difficilmente potrà esserlo sul piano economico, con l'inevitabile conseguenza che il concordato risulterebbe privo di causa concreta e, come tale, inevitabilmente inammissibile.

Sembra questa l'interpretazione più plausibile del considerando n. 50 della direttiva UE 1023/2019, secondo il quale l'autorità giudiziaria o amministrativa deve rigettare i piani privi di prospettive ragionevoli di successo e incapaci di garantire la sostenibilità economica dell'impresa, e ciò ancorché il rilievo officioso sul punto sia rimesso alla discrezionalità della legislazione nazionale.

A conclusioni non dissimili sembra essere approdato anche il legislatore della riforma che richiama in più disposizioni la nozione di “ammissibilità” e non di “fattibilità giuridica” ma affida al Tribunale il compito di verificare la fattibilità economica del piano senza limiti (si vedano gli artt. 47; 48; 56; 70 CCI).

Tuttavia, il CCI apre un ulteriore spazio interpretativo di non poco conto, perché il potere di verifica è espressamente previsto non solo nella fase di ammissione della domanda, ma anche nella fase di omologazione (art. 47, comma 1, CCI) e ciò a prescindere dalla presenza di eventuali opposizioni: dunque, anche d'ufficio.

Una simile duplice controllo, pur non estraneo all'attuale tessuto normativo, potrebbe addirittura indurre a ritenere fondato un più intenso controllo giurisdizionale ufficioso sugli aspetti di fattibilità economica fino all'omologa medesima. Se così fosse, l'unico limite precluso al giudice sarebbe davvero solo la convenienza.

Resta il dubbio che, senza le sezioni specializzate pur inizialmente introdotte dalla riforma e poi abbandonate, i giudici delegati, soprattutto nei Tribunali più piccoli, possano garantire il bagaglio di conoscenze tecniche necessario per affrontare un giudizio probabilistico di natura schiettamente economica, e ciò soprattutto per i concordati in continuità.

In tal modo, tuttavia, il modello di ispirazione marcatamente privatistica del Chapter Eleven, che ha fondato la fisionomia dell'attuale concordato preventivo, perderà definitivamente le sue radici fondative.

La crisi d'impresa si avvierà così definitivamente verso un contesto assai più interventista, limitando forse indirettamente anche l'iniziativa economica per la rappresentazione delle conseguenze del suo sempre possibile insuccesso.

In un contesto in cui la ripresa dovrà essere spinta ad ogni costo, per evitare la desertificazione industriale imminente, è forse arduo supporre che una simile impostazione incentivi la vocazione a creare nuove iniziative imprenditoriali.

Guida all'approfondimento

F. Lamanna, Il controllo giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, in ilfallimentarista.it, 9 novembre 2012; Id., L'indeterminismo creativo delle SS.UU. in tema di fattibilità nel concordato preventivo: «così è se vi pare», in ilfallimentarista.it, 26 febbraio 2013; Id., Richiesta la rimessione alle SS.UU. sull'ineffabile ma ineludibile contrasto sulla sindacabilità nel merito del concordato preventivo, nota a

Cass. 15 dicembre 2011, n. 27063

, in ilfallimentarista.it, 9 gennaio 2012 ; G. Bozza, Il sindacato del Tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, in Il Caso.it, 2011, 182; R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano nel concordato preventivo, in Dir. fall., 2012, I, 109; S. Ambrosini, Il sindacato sulla fattibilità del piano concordatario e la nozione evolutiva degli atti in frode nella sentenza 15 giugno 2011, in il caso.it, documento n. 254/2011.; G. Carmellino, Il Giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo nella prospettiva delle Sezioni Unite, in Esecuzione forzata, 2013, 2.

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