Classamento: questioni processuali
20 Maggio 2021
Onera della prova
Nelle controversie riguardanti la verifica della attendibilità del provvedimento di classamento, emesso dall'Amministrazione in rettifica di quello proposto dal contribuente, a mezzo della procedura DOCFA di cui al D.M. Finanze 19 aprile 1994, n. 701, l'onere di provare nel contraddittorio con il contribuente gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa, nel quadro del parametro prescelto, spetta alla stessa Amministrazione, salva comunque la facoltà del contribuente di assumere su di sé l'onere di dimostrare l'infondatezza della pretesa di maggiore rendita catastale, avvalendosi dei criteri astratti utilizzabili per l'accertamento del classamento o del concreto raffronto con le unità immobiliari presenti nella stessa zona censuaria in cui è collocato l'immobile; ne consegue che il giudice del merito, dovendo verificare se la categoria e la classe attribuite all'immobile risultino adeguate secondo i dati presenti nella motivazione dell'atto, non può trarre tale prova positiva dall'insuccesso dell'onere probatorio assunto dal contribuente, in difetto dell'assolvimento dell'onere della prova posto a carico dell'Ufficio (Cass. n. 25037/2017).
L'atto di classamento costituisce, infatti, l'esito di un procedimento specificamente regolato dalla legge, che esprime un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica, in relazione alla quale la presenza e l'adeguatezza o non della motivazione rilevano, non già ai fini della legittimità, ma della attendibilità concreta del giudizio accennato e, in sede contenziosa, della verifica della bontà delle ragioni oggetto della pretesa indicata in motivazione (Cass. n. 5404/2012).
Non rileva, ai fini della prova, la sola circostanza che la relazione sia fornita da un organo deputato, quale ruolo istituzionale, proprio alla razionalizzazione e quantificazione del valore di mercato attribuibile ai beni oggetto degli atti di trasferimento in quanto, in tal modo, si attribuisce alla perizia di stima dell'agenzia del territorio una forza dimostrativa speciale e superiore a quella degli opposti elementi addotti dalle parti private in ragione della sola sua provenienza dalla parte pubblica. Questa impostazione tradisce la violazione del principio fondamentale della ‘parità delle armi' vigente anche in un processo, come quello tributario, che non ha natura inquisitoria, e nel cui ambito sono ammesse anche prove atipiche liberamente valutabili; con esclusione di vincoli valutativi o ‘preferenze' probatorie che non siano espressamente previste dalla legge.
Si è in proposito affermato che: “poiché dinanzi al giudice tributario l'amministrazione finanziaria è sullo stesso piano del contribuente, la relazione di stima di un immobile, redatta dall'Ufficio tecnico erariale, prodotta dall'amministrazione finanziaria costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto. Nondimeno, nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente” (Cass. n. 14418/14).
Si è osservato che: “In tema di accertamenti tributari, qualora la rettifica del valore di un immobile si fondi sulla stima dell'UTE o di altro ufficio tecnico, che ha il valore di una semplice perizia di parte, il giudice investito della relativa impugnazione, pur non potendo ritenere tale valutazione inattendibile solo perché proveniente da un'articolazione dell'Amministrazione finanziaria, non può considerarla di per sé sufficiente a supportare l'atto impositivo, dovendo verificare la sua idoneità a superare le contestazioni dell'interessato ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi ed essendo, altresì, tenuto ad esplicitare le ragioni del proprio convincimento”. (Cass.n. 9357/15).
La perizia allegata dall'Amministrazione finanziaria non è assistita da efficacia probatoria qualificata e preminente (in quanto atto pubblico solo circa la sua provenienza, non anche le valutazioni e le stime in essa svolte) rispetto a quella procurata dalle parti private ed agli altri elementi di prova da queste ultime addotti. Anche se il giudice di merito può basare il proprio libero convincimento anche soltanto su di essa non può esimersi dall'esplicitare in maniera non assiomatica le ragioni di tale prevalenza in rapporto al quadro istruttorio globale.
Infatti “dinanzi al giudice tributario l'Amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente, sicché la relazione di stima di un immobile redatta dall'Ufficio tecnico erariale, prodotta dall'Amministrazione finanziaria, costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto.
Ne discende che, qualora la rettifica del valore di immobili si fondi sulla stima effettuata dall'UTE, o da altro organo tecnico dell'Amministrazione, il giudice investito dalla relativa impugnazione come non può ritenere la suddetta stima "istituzionalmente" inattendibile - limitandosi a considerare l'Ufficio che la abbia redatta quale articolazione tecnica dell'Amministrazione, ontologicamente legata all'ente impositore - così non può considerarla attendibile tout court, senza verificare se la stima sia o meno idonea a superare le contestazioni dell'interessato ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi, esplicitando in motivazione le ragioni del proprio convincimento” (Cass. n. 17702/2009; n. 9099/2012; n. 2193/2015). Contraddittorio endoprocedimentale
La giurisprudenza di legittimità ritiene, nel caso di immobili oggetto di stima, diretta la non necessità dell'esperimento del previo sopralluogo (cfr., Cass. civ. sez. VI-T 16 marzo 2015, n. 5185) e, con riferimento all'intervento delle Sezioni Unite riguardo alla problematica relativa all'esistenza o meno di un principio generale nell'ordinamento del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale ne ha limitato l'affermazione all'area dei tributi armonizzati, altrimenti potendo ravvisarsi la nullità del relativo procedimento e dell'atto a seguito di esso emanato solo nei casi in cui la sanzione di nullità sia espressamente prevista da specifica disposizione di legge. (cfr. Cass. civ. SS.UU. 9 dicembre 2015, n. 24823).
Ai sensi dell'art. 52 comma 2-bis d.P.R. n. 131/1986, nell'ipotesi di avviso di rettifica e liquidazione «la motivazione dell'atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. L'accertamento è nullo se non sono osservate le disposizioni di cui al presente comma».
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità «In tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'Ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l'esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l'onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l'enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l'applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l'infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi dell'art. 52, comma 2-bis, del d.P.R. n. 131/1986, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull'avviso di accertamento»( cfr. Cass.22148/2017).
L'Ufficio deve anche assolvere al diverso ed ulteriore onere, previsto dall'art. 52 comma 2-bis d.lgs. n. 131/1986, di allegare o riportare nei suoi elementi essenziali, ove la motivazione abbia un contenuto comparativo, le "precedenti stime" - assunte quale termine di riferimento.
Eredi
Deve ritenersi, conformemente al maggioritario orientamento della S.C. (cfr Cass. civ, Sez. trib., n. 1472/2005, id. n. 15571/2006), ancorchè vi siano pronunce di segno contrario (Cass. Sez. trib., n. 17206 del 23/07/2009) la sufficienza dell'avviso di liquidazione, qualora gli eredi, abbiano manifestato la volontà di avvalersi del sistema di valutazione automatica previsto dall'art. 12 del D.L. n. 70/1998, conv. in l. n. 154/1988, in riferimento ad immobili non iscritti in catasto, in quanto la determinazione dell'imponibile avviene sulla base della volontà espressa dello stesso contribuente, e l'ufficio, lungi dall'esercitare un qualche potere discrezionale di carattere tecnico, è tenuto a calcolare la maggiore imposta secondo il criterio prescelto, di valutazione c.d. automatica (v. anche Cass. 3046 e 15091/2000), come è confermato dal riferimento dell'art. 12 del d l. 70/1988 al solo comma 4 dell'art. 52 del TUIR, posto che la scelta per il valore "convenzionale", liberamente operata dal contribuente, per definizione esclude ogni possibilità di riferimento al valore ("effettivo") di mercato, senza possibilità di raffrontare le situazioni dei contraenti in relazione ad immobili già accatastati ovvero ad immobili in via di classamento.
La sufficienza dell'avviso di liquidazione va tuttavia coordinata con le esigenze di tutela del contribuente, sia in ordine alla correttezza del classamento, sia con riguardo alla corrispondente applicazione dei coefficienti che, partendo dalla rendita attribuita, consentono di giungere al valore "convenzionale" del bene, costituente la base imponibile. Le contestazioni dovranno riguardare vizi "propri" dell'avviso di liquidazione solo nel secondo caso, laddove i contrasti sulle modalità del classamento dovranno essere risolti attraverso l'impugnativa di quell'atto (art. 2, comma 2 - comma 3, per effetto della sostituzione intervenuta con l'art. 12, comma 2, della legge 448/2001 - del d.lgs. n. 546/1992); e l'impugnativa medesima, in caso di mancata conoscenza dell'atto di attribuzione della rendita, andrà necessariamente proposta unitamente a quella dell'avviso di liquidazione (art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992 cit.).
Infatti va salvaguardata la posizione del contribuente che deve essere posto in grado di conoscere i presupposti di fatto dell'avviso di liquidazione e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Seguendo tale indirizzo giurisprudenziale, il legislatore ha, con l'art. 74 della legge n. 342/2000, espressamente subordinato l'efficacia degli "atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati" alla loro notificazione, da cui decorre il termine per proporre ricorso ai sensi del cit. art. 19, comma 3, del d.lgs. 546/1992 (comma 1).
Qualora i coeredi, in sede di dichiarazione relativa ad immobile non ancora iscritto in catasto, abbiano chiesto di avvalersi del sistema automatico di valutazione, con istanza di attribuzione della relativa rendita catastale, gli avvisi di liquidazione dell'imposta, se emessi senza essere stati preceduti da separata comunicazione o notificazione (non necessarie anteriormente alle modifiche introdotte dall'art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342) a ciascun interessato, devono avere un contenuto tale che i contribuenti che non abbiano avuto previa conoscenza dell'atto di classamento siano posti in grado di controllare eventuali errori di calcolo nell'applicazione dei coefficienti e delle aliquote, e, quindi, contestare, oltre all'importo del tributo, anche gli ulteriori elementi posti a base dell'imposizione, compresa l'indicazione dei dati di classamento, consistenti nella indicazione della zona censuaria, della categoria, della classe e della consistenza della rendita ( Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26296 del 02/12/2005, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9008 del 18/04/2014).
Infatti il diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell'atto attributivo della rendita catastale - garantito dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546/1992, art. 2, comma 3, art. 19 comma 1 lett. f), art. 3, primo periodo - è correlato alla possibilità di contestarne fondamento e legittimità nel successivo giudizio di impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta, fondato su quel classamento, e ciò implica il recepimento degli elementi essenziali dell'atto "presupposto" (l'attribuzione di rendita)in precedenza adottato, nell'atto impositivo successivamente notificato, il quale, anche in forza del principio della trasparenza di cui L. n. 241/1990, art. 3, deve dunque essere strutturato in modo tale da consentire al contribuente la piena conoscenza anche dell'atto "presupposto".
Il provvedimento di classamento, che culmina con l'attribuzione della rendita, è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l'oggetto, secondo un'angolazione prospettica di carattere reale, tanto da richiedere la necessaria presenza nel giudizio in cui se ne contesti la legittimità e correttezza, di tutti i comproprietari (cfr. Cass. n. 15489/2010) Giudicato esterno
Secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione "il giudicato sostanziale di cui all' art. 2909 c.c. - il quale, come riflesso di quello formale previsto dall'art. 324 c.p.c. , fa stato ad ogni effetto tra le parti quanto all'accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso - si forma soltanto su ciò che ha costituito oggetto della decisione, ivi compresi anche gli accertamenti di fatto che abbiano rappresentato le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico per l'emanazione della pronuncia, con effetto preclusivo dell'esame degli stessi elementi in un successivo giudizio, quando l'azione in esso dispiegata abbia requisiti costitutivi (personae, petitum e causa petendi) identici. (Cass. Ord. n. 30169 del 15 dicembre 2017, Cass. n. 9954/2017, n.9486/2007, n.21096/2005, n. 5241/1999, n.4393/1997, n.5222/1996).
"Restano invece fuori dal giudicato gli accertamenti di fatto che non abbiano integrato antecedenti logici necessari della decisione e che pertanto non hanno costituito oggetto di quest'ultima nel senso sopra precisato, il cui contenuto ben può essere riesaminato in un giudizio successivo avente ad oggetto una domanda diversa da quella sulla quale è stata emessa la precedente decisione." (Cass. n. 9954/2017 cit). Spese per acquisizione di dati catastali
Occorre verificare se il disposto dell'art. 2673 c.c., relativo agli obblighi del conservatore, consenta di ritenere la estraneità del servizio offerto dalle Conservatorie dei registri immobiliari e dagli uffici del catasto alla “riutilizzazione” disciplinata dalla direttiva comunitaria n. 2003/98/CE, in quanto le funzioni di acquisizione e di conservazione dei dati ipocatastali, spettanti all'Agenzia delle Entrate e del Territorio, sono estranee alle successive attività di riutilizzazione commerciale. Il servizio elenco soggetti, secondo gli Uffici finanziari, altro non sarebbe che una modalità semplificata di ispezione dei registri immobiliari, ispezione che il Conservatore deve permettere (art. 2673 c.c.), svolgendo una funzione a lui attribuita in via istituzionale (art. 64, comma 1, del d.lgs. n. 300/1999). In definitiva, secondo l'Ufficio, la tabella delle tasse ipotecarie allegata al d.lgs. n. 347/1990 sarebbe comunque ricollegabile alla imposizione tributaria. Occorre anche individuare la normativa nazionale di recepimento della direttiva 2003/98/CE se nel (solo) d.lgs. n. 36/2006, oppure anche nel d.l. n. 262/2006, comunque estraneo all'attuazione della citata direttiva.
La direttiva 2003/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17/11/2003 si prefigge lo scopo di favorire il riutilizzo dei documenti e delle informazioni prodotte o detenute dalle Pubbliche Amministrazioni: “Più ampie possibilità di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico dovrebbero, tra l'altro, consentire alle imprese europee di sfruttarne il potenziale e contribuire alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro.” (ultimo periodo del quinto considerando).
Il raggiungimento di tale scopo passa per l'armonizzazione delle normative e delle prassi amministrative nazionali circa la possibilità offerta alle imprese di riutilizzare le informazioni e i documenti prodotti o detenuti dai soggetti pubblici, specialmente con riferimento alle condizioni giuridiche ed economiche del riutilizzo, onde evitare discriminazioni tra le imprese aventi sede negli Stati membri e differenze nelle possibilità di accesso alle informazioni e ai documenti in possesso degli enti pubblici tra uno Stato membro e un altro. Rilevante è l'incipit del nono considerando: “La presente direttiva non prescrive l'obbligo di consentire il riutilizzo di documenti. La decisione di autorizzare o meno il riutilizzo spetta agli Stati membri o all'ente pubblico interessato”.
Dagli artt. 5, 6 e 7 della direttiva citata, inoltre, si evince che, con i termini “tariffa” e “corrispettivo”, il legislatore comunitario non intendesse riferirsi alle somme aventi natura lato sensu tributaria o impositiva da corrispondersi in occasione della richiesta di espletamento di una funzione pubblica, quanto piuttosto alle somme dovute agli enti pubblici in cambio della facoltà, da essi concessa agli operatori economici richiedenti, di utilizzare le informazioni e i documenti in mano pubblica immettendoli nei processi produttivi, allo scopo di soddisfare le nuove esigenze di mercato della “società dell'informazione”. La direttiva 2003/98/CE è stata attuata, nell'ordinamento italiano, con il d.lgs. n. 36/2006, che all'art. 4, rubricato “Norma di salvaguardia”, comma 1, lett. d), così dispone: “sono fatte salve le disposizioni in materia di riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali e ipotecarie, anche con riferimento all'art. 1, commi da 367 a 373, della legge 30 dicembre 2004 n. 311”.
A sua volta, l'art. 1, comma 367, della legge n. 311/2004, dispone che “ai fini di contrasto di fenomeni di elusione fiscale e di tutela della fede pubblica, salvo quanto previsto nel comma 371, è vietata la riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali ed ipotecari, che risultino acquisiti, anche per via telematica in via diretta o mediata, dagli archivi catastali o da pubblici registri immobiliari, tenuti dagli uffici dell'Agenzia del territorio”. La facoltà di riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali ed ipotecari, acquisiti dagli archivi catastali o da pubblici registri immobiliari, tenuti dall'Agenzia del territorio, può essere concessa solo eccezionalmente (art. 1, comma 371). In ogni caso, sia che l'atto di riutilizzazione commerciale (a norma dell'art. 1, comma 368) sia stato posto legittimamente in essere (in quanto consentito dal soggetto pubblico creatore o detentore del dato, del documento o della informazione), sia che sia stato posto in essere in maniera “abusiva”, “sono comunque dovuti i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie, nella misura prevista per l'acquisizione, anche telematica, dei documenti, dei dati o delle informazioni catastali o ipotecari direttamente dagli uffici dell'Agenzia del territorio” (art. 1, commi 370 e 371).
Occorre accertare se la richiesta di rimborso presentata dalla società resistente abbia ad oggetto le somme versate a fronte del compimento di atti di riutilizzazione commerciale, che devono essere previamente autorizzati dall'Agenzia del territorio ai sensi dell'art. 1, comma 371, oppure le somme versate a titolo di tributi speciali catastali e di tasse ipotecarie nella misura prevista per l'acquisizione, anche telematica, dei documenti, dei dati o delle informazioni catastali o ipotecari direttamente dagli uffici dell'Agenzia del territorio.
La direttiva 98/2003/CE non si occupa, infatti di disciplinare l'entità delle tasse e dei tributi dovuti per il rilascio della documentazione ipocatastale che sono dunque, dovuti dal contribuente.
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