Escluso il c.d. “caso d'uso” se l'esibizione documentale avviene nel corso di una verifica

21 Maggio 2021

Nel caso di consegna, nel corso di una verifica fiscale, di un atto di transazione si configura l'ipotesi del c.d. “caso d'uso” ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986, con conseguente tassazione nella misura del 3%?

Nel caso di consegna, nel corso di una verifica fiscale, di un atto di transazione si configura l'ipotesi del c.d. “caso d'uso” ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986, con conseguente tassazione nella misura del 3%?

L'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986, dispone che “si ha caso d'uso quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento”.

Stando alla littera legis, ricorre la fattispecie del “caso d'uso” quando un atto viene depositato:

  • per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative, oppure
  • per essere acquisito agli atti, presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali ed i rispettivi organi di controllo.

Nel caso dell'“esibizione”, la messa a disposizione del documento in favore del terzo è mediata da un ordine/invito rivolto da questo ultimo, di solito in sede di contraddittorio e/o di verifica, nei confronti della Parte che ne ha la disponibilità materiale; tale “messa a disposizione” del documento difetta, quindi, della “volontarietà” della consegna dell'atto (intesa nella più precisa assunzione di assenza di propria spontanea iniziativa della Parte alla consegna al terzo), e nel contempo dell'acquisizione definitiva dello stesso in capo al soggetto terzo, avuta considerazione del fatto che l'originale del documento, dopo la sottoposizione al terzo, deve rientrare nella disponibilità del soggetto che lo ha presentato.

Al contrario, nel caso del “deposito” ex art. 6 del d.P.R. n. 131/1986, il soggetto che è in possesso del documento, senza alcuna mediazione (cioè in assenza di qualsiasi ordine, invito in sede di contraddittorio e/o verifica), bensì spontaneamente, di propria iniziativa, consegna lo stesso al terzo, affinchè questo ultimo ne acquisisca definitivamente la materiale disponibilità dell'originale.

In merito la giurisprudenza formatasi non è numerosa; si segnalano le seguenti pronunce apprezzabili per l'iter logico giuridico seguito.

Si tratta di:

Commissione Tributaria Provinciale di Parma, sez. II, sent. n. 118 del 28 aprile 2021

Che ha annullato un avviso di liquidazione emesso dall'Agenzia delle Entrate sul presupposto del “caso d'uso”, tassando (nella misura del 3%) ex officio ai sensi dell'art. 9 Tariffa Parte I ed art. 1 lett. a) Tariffa Parte II, un contratto di finanziamento consegnato dalla società contribuente su esplicita istanza dei verificatori.

Il Collegio ha osservato che l'azione disciplinata dall'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986 attraverso il verbo “deposita” comporta la volontà, e certamente non un obbligo, di chi intenda far conoscere un atto ai terzi: vuoi le sedi giudiziarie, vuoi le amministrazioni pubbliche. La scelta di procedere o meno, perciò, è tipicamente soggettiva, ben sapendo l'autore dei riflessi giuridici che tale modus può rivestire.

Proseguono i Giudici nel rilevare che “La fattispecie di cui all'odierno giudizio ha visto la ricorrente dover, NON depositare, bensì esibire e consegnare all'Ufficio controlli della Direzione Provinciale di Parma il documento denominato "scambi corrispondenza e giustificativi finanziamenti soci". Nello stesso Verbale, in fondo, l'Ufficio controlli ammonisce il contribuente che un comportamento non collaborativo può farlo incorrere nelle decadenze di cui all'art. 32 TUA”.

Pertanto, “non si è proceduto in piena autonomia a depositare un atto: lo si è consegnato per effetto di una sorta di onere fiscale, ossequioso del principio di collaborazione statutaria (…) La ricorrente non ha volutamente consegnato, assimilabile in quel contesto ad un materiale deposito, il contratto di finanziamento, bensì si è dovuta attenere ad una esplicita e chiara richiesta dell'Ufficio Controlli. L'eventuale omissione avrebbe potuto far incorrere alla ricorrente serie conseguenze, in particolare la probabile contestazione verso di essa di componenti positive non dichiarate. Rebus sic stantibus, si concretizza nel caso di specie l'esclusione del caso d'uso in quanto il "deposito" è avvenuto ai fini di un adempimento che ha sollecitato la Pubblica Amministrazione finanziaria o, che dir si voglia, di un obbligo previsto dalla legge (cfr. art. 32 TUA)”.

Commissione Tributaria Provinciale di Ancona, sez. I, sent. n. 81 del 30 gennaio 2019

La quale ha annullato un avviso di liquidazione con cui l'Amministrazione aveva ritenuto essersi configurato il c.d. “caso d'uso” per avere la contribuente esibito una scrittura privata nel corso di una verifica fiscale, su espresso invito a “fornire” detto atto ed al fine di giustificare l'effettuata deduzione di un costo.

I Giudici hanno accolto il ricorso della contribuente ritenendo non essersi configurata una condotta volontaria volta al deposito rilevante di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986 essendo, invece, il comportamento della società il frutto di una scelta sostanzialmente obbligata.

Il Collegio ha rilevato come a fronte di un chiaro invito a giustificare i costi dichiarati, effettuato da pubblici ufficiali nel corso di un accertamento, non possa affermarsi che il soggetto verificato abbia agito con il precipuo intento di effettuare un deposito rilevante ai fini dell'imposta di registro.

La stessa “acquisizione agli atti” è avvenuta “per una scelta dei verificatori, che dovevano controllare la bontà delle valutazioni effettuate in sede dichiarativa dalla parte e che, infatti, hanno ritenuto di dover trattenere una copia del documento”.

Prosegue la Commissione nello statuire che “riprova di ciò è il fatto che, se non fosse intervenuto l'accertamento, la parte non avrebbe mai effettuato detto deposito, non avendone alcun interesse (…) E se così non fosse, del resto, ogniqualvolta una parte, nel corso di una verifica fiscale, ottemperi all'invito ad esibire un atto che ricada in quelli elencati nella parte II della Tariffa di cui al citato T.U. sull'imposta di registro, ci troveremmo di fronte ad un'ipotesi di c.d. caso d'uso che darebbe luogo al pagamento delle imposte”.

Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, sez. VI, sent. n. 511 del 29 giugno 2015

Nel caso deciso dalla Commissione bresciana l'Ufficio, a seguito delle risposte fornite da un contribuente relativamente ad un questionario inviatogli per il redditometro (quindi, anche in questo caso, in una fase istruttoria del procedimento di accertamento), aveva emesso avviso di liquidazione ai fini dell'imposta di registro. In modo particolare il contribuente, a supporto delle risposte fornite nel questionario, aveva anche allegato due scritture private dalle quali risultava un prestito di rilevante ammontare del padre a suo favore. Per l'Amministrazione Finanziaria si configurava l'ipotesi di registrazione di “caso d'uso” prevista dall'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986. La Commissione di Brescia ha accolto il ricorso del contribuente statuendo che “la fattispecie di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986 non si configura in questa ipotesi, atteso che non si è trattato di deposito finalizzato all'acquisizione o all'adempimento di una obbligazione amministrativa, bensì solo di esibizione di documenti confermativi di una realtà di fatto. La legge sul redditometro, quando sorgono delle situazioni non chiare, impone alla P.A. di chiedere al contribuente la prova di quanto da lui indicato nel questionario prodotto. E, il contribuente, poiché deve puntualizzare chiaramente la propria posizione finanziaria, ha l'obbligo di ottimamente specificarla. Cosa che il ricorrente ha fatto, esibendo un documento atto a chiarire quanto da lui sostenuto. Non ha egli prodotto, ad esempio in caso di ricorso, una documentazione destinata a provare quanto diversamente sostenuto da parte avversa”.

I Giudici Bresciani hanno, altresì, commentato la posizione oltremodo rigorosa dell'Amministrazione Finanziaria (e tale posizione rigorosa è stata assunta dall'Ufficio anche nella fattispecie de qua), affermando che “qui pare che l'Ufficio sia stato molto fiscale, addentrandosi in una interpretazione sicuramente temeraria.

Infatti, non solo chiede alla parte di dimostrare quanto da lui affermato; ma addirittura ne modifica la fattispecie trasformandola da semplice esibizione a vero e proprio deposito documentale di natura amministrativa: facendone discendere obblighi e conseguenze che la legge non prevede e che sono veri e propri comportamenti illegittimi”.

Stante il panorama giurisprudenziale di cui si è data contezza, non si configura, pertanto, la fattispecie di “caso d'uso” quando la “dazione” di un atto giuridico venga posta in essere non di spontanea iniziativa dall'interessato nel contesto di un procedimento amministrativo introdotto dallo stesso, bensì a seguito di una precisa scelta dei verificatori; è l'invito formulato dall'Amministrazione nei confronti del contribuente a far sì che manchi qualsiasi condotta volontaria del contribuente volta al deposito rilevante di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986.

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