Responsabilità della struttura sanitaria per il paziente deceduto "con il Covid-19": la prima pronuncia del Tribunale di Torino

26 Maggio 2021

Il presente contributo intende porre l'attenzione sul primo provvedimento reso dal Tribunale di Torino in relazione a prospettazione di responsabilità della struttura sanitaria per avere il paziente, deceduto, (anche) contratto infezione da Covid-19; una difficile decisione resa nell'equilibrio tra l'esigenza di tutela delle parti ed il rispetto dei principi posti dall'elaborazione giurisprudenziale in materia di responsabilità medica.
Inquadramento giuridico della fattispecie
Il provvedimento in esame è la prima pronuncia da parte del Tribunale di Torino (in particolare della IV Sezione Civile, avente specifica competenza tabellare in materia di responsabilità sanitaria) in merito ad un ricorso proposto ai sensi dell'art. 8 l. Gelli-Bianco n. 24/2017 che, come è noto, richiama il disposto dell'art. 696-bis c.p.c.. Sul punto va brevemente ricordato che il citato art. 8, rubricato “Tentativo obbligatorio di conciliazione”, dispone: “1. Chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilita' sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c. dinanzi al giudice competente. 2. La presentazione del ricorso di cui al comma 1 costituisce condizione di procedibilita' della domanda di risarcimento. E' fatta salva la possibilita' di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” e che l'esperienza della IV Sezione Civile del Tribunale di Torino, ad ormai quattro anni dall'entrata in vigore della l. 24/2017, vede una netta preferenza delle parti per il ricorso alla consulenza preventiva in funzione conciliativa. Questo trend si spiega perché con la consulenza tecnica il prospettato danno alla salute viene accertato da un Collegio Peritale nominato secondo quanto prescritto dall'art. 15, 1 comma, l. 24/2017 (“Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilita' sanitaria, l'autorita' giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o piu' specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici d'ufficio da nominare nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 8, comma 1, siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi”), e l'esistenza e la gravità della lesione viene quindi ad essere valutata secondo i barémes medico-legali (v. ROSSETTI, Il danno alla salute, Torino, 2017, 218 e 435). La parte ricorrente ed il suo difensore possono quindi ottenere, in via preventiva rispetto all'instaurazione del processo, una valutazione tecnica in ordine all'esistenza del fatto e all'entità del danno, e proprio sulla scorta di tale valutazione e sulla risoluzione delle questioni tecniche su cui si fondano le pretese risarcitorie del danno derivante da responsabilità sanitaria, le parti tutte coinvolte nella procedura possono trovare un accordo che renda superflua l'instaurazione del successivo giudizio di merito. In seconda battuta, laddove non riuscisse la conciliazione, il previo svolgimento dinanzi all'autorità giudiziaria del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. anticipa un segmento istruttorio fondamentale per la risoluzione di alcune cause caratterizzate – come quelle in tema di responsabilità sanitaria – da questioni soprattutto tecnico-scoientifiche (enfatizza questi aspetti la recentissima Corte cost., n. 87/2021; v. inoltre Cass., 13736/2020, per cui, in tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla CTU e alle correlate indagini peritali funzione “percipiente”, a condizione che la consulenza verta su elementi già allegati dalla parte ma che solo un tecnico sia in grado di accertare tramite le conoscenze e gli strumenti di cui dispone).
Il caso concreto
Ed il caso esaminato dal Tribunale di Torino si sarebbe astrattamente prestato ad essere oggetto di consulenza tecnica preventiva, dal momento che, come è dato leggere dal breve svolgimento in fatto del provvedimento che si annota, i ricorrenti, eredi di un anziano deceduto presso una casa di riposo, formulavano in atti una articolata prospettazione, anzitutto allegando che il de cuius, di anni 87, era “portatore di importanti comorbilità (tra le quali spiccano: insufficienza respiratoria cronica, insufficienza renale cronica, k al retto radio trattato, diabete mellito, ipotiroidismo, osteoporosi, sindrome ansioso-depressiva)” e che “fu dimesso dall'Ospedale San Luigi di Orbassano per proseguire riabilitazione motoria, in base a P.R.I. (acronimo di progetto riabilitativo individuale), presso la Casa di Cura Villa Iris s.r.l. (di seguito, casa di cura), ove rimase ricoverato in regime di convenzione sino al 13.3.2020 e poi in regime privato sino all'11.4.2020”, aggiungendo inoltre che il medesimo venne trasferito (per desaturazione, difficoltà respiratorie e febbre insorta il 3.4.2020) di nuovo d'urgenza in Ospedale, ove gli fu diagnosticata (anche) l'infezione da Sars-Covid e confermata quella da Staphilococcus hominis (già risultante dal referto del 7.4 della casa di cura); le allegazioni di cui al ricorso si concludono evidenziando che il paziente era di lì a poco deceduto in data 20.4.2020 e che la sua morte era stata annoverata tra i decessi c.d. “con Covid”. Senonchè, come si evince dal provvedimento in esame, in primo luogo il Giudice adito richiedeva una precisazione della prospettazione, che veniva quindi integrata da parte dei ricorrenti sia con “considerazioni medico-legali aggiuntive” sia con note legali espressamente finalizzate alla precisazione dell'inadempimento qualificato ascritto alla casa di cura, ma in ultima analisi il ricorso veniva dichiarato inammissibile.
La decisione del Tribunale di Torino alla luce della attuale elaborazione giurisprudenziale

Quanto deciso dal Tribunale di Torino contiene alcuni rilevanti passaggi motivazionali, degni di riflessione e di nota, che si riferiscono al fulcro del contenzioso di responsabilità sanitaria, così riassumibile: se da un lato tale tipologia di cause va istruita con il ricorso alla prova scientifica, e dunque a mezzo consulenza tecnica, per altro verso l'utilizzazione di tale istituto non può sopperire agli oneri (perlomeno) di allegazione gravanti su colui (il paziente) o coloro (nel caso qui in esame gli eredi del paziente deceduto) che si assume o si assumono essere stati danneggiati da medical malpractice.

Inequivoca e consolidata sul punto è la giurisprudenza della Suprema Corte, sia in termini generali (v. Cass., 20695/2013 secondo cui la CTU costituisce vera e propria fonte di prova se il fatto sia percepibile nella sua intrinseca natura solo mediante cognizioni e strumentazioni tecniche che il Giudice non possiede; v. Cass., 1181/2014; Cass., 26151/2011; Cass., 3130/2011; Cass., 6155/2009, secondo cui tuttavia, anche in caso di CTU percipiente, è quantomeno necessario che vengano dedotte le circostanze e gli elementi specifici posti a fondamento del diritto azionato, non potendo la parte rimettersi in toto all'accertamento svolto dal consulente) sia in specifico riferimento al contenzioso di responsabilità medica (v. la recente Cass., 19631/2020, secondo cui la CTU non può essere utilizzata per colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa una delle parti o per alleggerirne l'onere probatorio. Le parti, infatti, non possono sottrarsi all'onere probatorio di cui sono gravate, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., e pensare di poter rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente. Il ricorso al consulente deve essere disposto non per supplire alle carenze istruttorie delle parti o per svolgere una indagine esplorativa alla ricerca di fatti o circostanze non provati, ma per valutare tecnicamente i dati già acquisiti agli atti di causa come risultato dei mezzi di prova ammessi sulle richieste delle parti …”).

Una nota ed ancor recente pronuncia (v. Cass., 31886/2019) ha inoltre analiticamente rimarcato quali sono i limiti all'accertamento che il consulente tecnico d'ufficio può svolgere, a pena di integrale nullità della consulenza tecnica in caso di loro violazione (ed ha posto i seguenti basilari principi di diritto:

a) il c.t.u. non può indagare d'ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti;

b) il c.t.u. non può acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, nè acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova; a tale principio può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell'eccezione non possa oggettivamente essere fornita coi mezzi di prova tradizionali;

c) il c.t.u. può acquisire dai terzi soltanto la prova di fatti tecnici accessori e secondari, oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti;

d) i principi che precedono non sono derogabili per ordine del giudice, nè per acquiescenza delle parti;

e) la nullità della consulenza, derivante dall'avere il c.t.u. violato il principio dispositivo o le regole sulle acquisizioni documentali, non è sanata dall'acquiescenza delle parti ed è rilevabile d'ufficio), laddove poi, in materia di responsabilità sanitaria, sebbene si rinvenga anche la condivisibile affermazione secondo cui “il giudice non è rigidamente vincolato alle iniziali prospettazioni dell'attore, stante la inesigibilità della individuazione ex ante di specifici elementi tecnico-scientifici, di norma acquisibili solo all'esito dell'istruttoria e dell'espletamento di una C.t.u., potendo pertanto accogliere la domanda nei confronti della struttura in base al concreto riscontro di profili di responsabilità diversi da quelli in origine ipotizzati, senza violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato” (v. Cass. civ., 20 marzo 2018, n. 6850), è possibile assistere ad una sempre più approfondita elaborazione giurisprudenziale che, partendo da più risalenti pronunce (v. soprattutto Cass., Sez. un., 577/2008, secondo cui “l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno”), perviene alla configurazione, sotto il profilo della allegazione e della prova, del cd. doppio ciclo causale, secondo cui nei giudizi risarcitori da responsabilità sanitaria, viene appunto a delinearsi "un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle … mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)" (v. Cass., ord., 5487/2019; Cass., 19631/2020; Cass., 28991/2019: “negare che incomba sul paziente creditore di provare l'esistenza del nesso di causalità fra l'inadempimento ed il pregiudizio alla salute, come si assume nel motivo, significa espungere dalla fattispecie costitutiva del diritto l'elemento della causalità materiale. Il creditore, pertanto, è tenuto a provare, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e il danno lamentato; solo successivamente sorgono gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l'adempimento o che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Emerge così un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Se la prova della causa di esonero è stata raggiunta vuol dire che la situazione patologica è sì eziologicamente riconducibile all'intervento sanitario, ma il rispetto delle leges artis è nella specie mancato per causa non imputabile al medico. Ne discende che, se resta ignota anche mediante l'utilizzo di presunzioni la causa dell'evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale, se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l'imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore”).

In conclusione

Ebbene, rileggendo il provvedimento del Tribunale di Torino alla luce del complessivo quadro giurisprudenziale sopra schematicamente riepilogato, è possibile evidenziare che le parti nel proprio ricorso ex artt. 8 l. 24/2017 e 696-bis c.p.c. hanno formulato una pluralità di allegazioni, delineando un intreccio di svariate inadempienze addebitate alla struttura, sia in relazione alle terapie riabilitative del loro congiunto, che sarebbero state connotate da “inefficienze”, sia in relazione alla mancata informazione ai familiari, da parte della struttura, del “rischio pandemia”, ed inoltre prospettando omissioni sotto il profilo infettivologico, posto che la struttura non avrebbe “disposto in seguito isolamenti-mascherine e quanto altro disposto da norme cliniche-amministrative e giuridiche, a carico del personale e di tutti i degenti”.

Del tutto condivisibilmente il Giudice, che pure, secondo prassi virtuosa del Tribunale di Torino fondata a livello sistematico sul disposto dell'art. 164 c.p.c., ha invitato il ricorrente ad effettuare eventuali precisazioni ed integrazioni allo scopo di determinare l'oggetto della domanda e soprattutto i fatti costituenti le ragioni della domanda, affinchè meglio venissero definiti gli addebiti rivolti alla struttura (su tali aspetti sia consentito rinviare a TASSONE, CTP ex lege Gelli: riflessioni sull'applicazione dell'istituto in base all'esperienza della IV Sez. Civ. del Tribunale di Torino, in www.ridare.it), non ha potuto che constatare l'intrecciarsi di allegazioni, per alcuni versi generiche, per altro verso riferite ad un paziente, deceduto, affetto da numerose gravi patologie preesistenti, tutte astrattamente rilevanti a livello di indagine sul nesso di causalità (v. la nota Cass., 28986/2019, richiamata dalla recente Cass., 514/2020, in materia di menomazioni preesistenti “concorrenti” in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall'illecito).

Inoltre la prospettazione del decesso “con COVID” e dunque anche, a livello perlomeno concausale, determinato non solo dalle pregresse patologie da cui era affetto il de cuius, ma anche dall'aver contratto il virus, implicherebbe, come evidenziato dal Giudice del Tribunale di Torino nel suo provvedimento, che vengano allegati dalla parte precisi inadempimenti di natura medico-sanitaria relativi alla mancata/insufficiente sorveglianza infettivologica, con un riferimento ai protocolli in uso presso la struttura ed alla loro concreta applicazione o meno (emerge invece dal provvedimento in esame che i ricorrenti avrebbero prospettato la totale mancanza di protocolli, circostanza peraltro smentita dalle produzioni della struttura resistente), circostanze rispetto alle quali non risulta tanto opportuno disporre consulenza tecnica, quanto piuttosto effettuare istruttoria orale nel merito, cioè sull'effettivo rispetto, da parte del personale della struttura, delle misure cautelari e di precauzione contenute nei protocolli.

Anche a poter prescindere da quanto sopra, poi, il voler esaminare le assai compromesse e pregresse condizioni in cui versava il de cuius nella loro portata causale, anche in relazione alla contratta infezione da Covid-19, implica l'espletamento di costosa CTU medica multispecialistica (dovendosi valutare il diabete mellito, le croniche insufficienze renali e respiratorie, l'osteoporosi e le altre gravi patologie indicate in ricorso).

In ultima analisi, dunque, la condivisibile declaratoria di inammissibilità del ricorso discende dalla considerazione, espressa in motivazione soprattutto in punto di fatto ma riconducibile a tutti i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza più sopra citata, per cui l'esistenza di molteplici articolate circostanze relative al quadro clinico del paziente e la complessità della impostazione di una controversia in materia di infezione correlata all'assistenza, oltretutto relativa ai primi mesi dell'anno 2020 e dunque ai primi mesi di sviluppo del contagio da COVID-19, virus di cui neppure ad un anno di distanza possono dirsi sussistere consolidate conoscenze ed opinioni scientifiche, necessita di maggiore e più meditato approfondimento ad opera delle parti e dei difensori, perché il Giudice civile adito non è altrimenti in grado di formulare un quesito peritale che sia (ritualmente) percipiente e non sia (invece inammissibilmente) esplorativo.

Tale conclusione assume ancora maggior rilievo se si considera che il ricorso al procedimento ex art. 696-bis c.p.c. come richiamato dall'art. 8 l. 24/2017 non è certo “a costo zero”, dal momento che il criterio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c. trova applicazione nell'ambito dei procedimenti di istruzione preventiva, tra i quali può farsi rientrare il procedimento ex art. 696-bis c.p.c., solamente nell'ipotesi in cui il ricorso introduttivo di tale giudizio sia dichiarato inammissibile o rigettato, mentre qualora il ricorso introduttivo di tale procedimento sia ritenuto ammissibile, e si dia quindi corso all'accertamento richiesto, il criterio al quale occorre attenersi nella liquidazione delle spese relative a tale procedimento è quello generale di cui all'art. 8 del D.p.R. 115/2002 (così Trib. Verona, ord. 31.12.2015).

Orbene, nel caso di specie, considerata la assoluta novità della questione (evidentemente in riferimento all'addebito di responsabilità della struttura per aver il paziente contratto il Covid-19) il Tribunale di Torino, pur dichiarando inammissibile il ricorso, ha integralmente compensato tra le parti le spese di lite (sulla compensazione delle spese di lite ed i suoi presupposti, v. ex multis Cass., 4360/2019; Corte cost., 77/2018; Cass., 11217/2016), ma tale evenienza non è detto debba sempre ripetersi e, per altro verso, laddove il ricorso dovesse essere ritenuto ammissibile, solo allegazioni precise e puntuali costituiscono valido fondamento per una CTU medico-legale percipiente tale da porre le basi per una eventuale conciliazione o tale da costituire utile prova preventiva per l'instaurando giudizio di merito, così da ammortizzare l'onere dei relativi costi, che costituiscono indefettibile anticipazione a carico della parte ex art. 8 TU 115/2002 e vanno quindi necessariamente posti a carico della parte ricorrente (principio ribadito dalla recentissima sentenza n. 87/2021 della Corte Costituzionale).

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