Privacy, prestazione del consenso e algoritmo per determinare il rating reputazionale

Redazione Scientifica
27 Maggio 2021

In tema di trattamento di dati personali, il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificatamente in riferimento a un trattamento chiaramente individuato.

È quanto stabilito dal Supremo Collegio con l'ordinanza n. 14381/21, depositata il 25 maggio.

Il Tribunale di Roma accoglieva parzialmente il ricorso di una Onlus, annullando il provvedimento con il quale il Garante Privacy aveva disposto, ai sensi dell'art. 154, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 163/2016, il divieto di qualunque operazione di trattamento dei dati personali effettuata dalla suddetta associazione in connessione ai servizi offerti tramite una piattaforma web, con la funzione di elaborazione di profili reputazionali concernenti persone fisiche e giuridiche. L'obiettivo di questa piattaforma consiste nel contrastare fenomeni basati sulla creazione di profili non veritieri e di calcolare il c.d. “rating reputazionale” dei soggetti censiti, al fine di consentire ad eventuali terzi una verifica di reale credibilità.

Il Tribunale faceva salva l'efficacia del divieto relativo al trattamento dei dati personali solamente per l'attività inerente il c.d. “profilo contro” che riguarda soggetti terzi non associati.

L'Avvocatura dello Stato, per conto del Garante, ricorre quindi in Cassazione lamentandosi, tra i vari motivi, dell'omesso esame del fatto decisivo rappresentato dalla dedotta inconoscibilità dell'algoritmo utilizzato per l'assegnazione del punteggio di rating.
Il ricorso risulta fondato in quanto risulta l'effettiva impossibilità di conoscere l'algoritmo utilizzato per determinare il rating reputazionale.
E la Suprema Corte enuncia a riguardo il seguente principio di diritto: «in tema di trattamento di dati personali, il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificatamente in riferimento a un trattamento chiaramente individuato».

Nel caso di specie, la piattaforma web preordinata all'elaborazione di profili reputazionali di singole persone fisiche o giuridiche, incentrata su un sistema di calcolo con alla base un algoritmo finalizzato a stabilire i punteggi di affidabilità, non soddisfa il requisito della consapevolezza.
Pertanto, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma anche per le spese processuali.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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