La sentenza della Cass. n 10579/2021 e la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale

Cesare Trapuzzano
27 Maggio 2021

La sentenza della Cassazione, n. 10579/2021, ha evidenziato che il sistema tabellare per la liquidazione del danno parentale deve essere improntato al criterio dei punti, allo scopo di garantire adeguatezza e uniformità nelle valutazioni del pregiudizio. Occorre all'esito interrogarsi sugli spunti problematici che tale pronuncia propizia e sui possibili spazi di una lettura costruttiva del relativo dictum, nella prospettiva di confermare il già consolidato modello tabellare ambrosiano, che sul punto potrebbe meritare alcuni correttivi, pur conservando l'impianto di base che ne ha contraddistinto la sua diffusa applicazione sul territorio nazionale.
Inquadramento

Il danno da perdita del rapporto o da grave lesione (recte macro-lesione) del rapporto parentale – o più semplicemente il danno parentale – è un danno non patrimoniale, iure proprio, diretto e non in re ipsa, che si sostanzia nell'incisione del rapporto tra congiunti, compromettendo le relazioni affettive che si erano affermate tra vittima primaria e vittima secondaria prima che si fosse verificato l'illecito. Anche tale categoria di nocumento si esplica nella duplice direzione del pregiudizio da sofferenza interiore, sub specie di dolore, vergogna, rimorso, disistima di sé, paura, malinconia, disperazione, tristezza (c.d. sfera interna o morale) e nell'alterazione del sistema di vita che si era determinato prima del fatto lesivo (c.d. sfera esterna o dinamico-relazionale), in base alla ormai acquisita giurisprudenza sulla discriminazione degli aspetti rilevanti dell'unitario e onnicomprensivo danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti (Cass., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901; Cass., sez. III, ord. 27 marzo 2018, n. 7513; Cass., sez. III, ord.28 settembre 2018, n. 23469).

La liquidazione di tale voce di pregiudizio si è sviluppata, nel corso degli anni, avendo riguardo ai valori proposti dalla tabella milanese, la quale individua, in ragione del rapporto parentale inciso, un valore-base e un valore massimo personalizzato, secondo un meccanismo c.d. a forbice, la cui quantificazione rispetto alla fattispecie concreta è orientata dal riferimento a criteri tipizzati, che operano tutti in una duplice direzione, come: l'età della vittima primaria e secondaria, la convivenza tra la vittima primaria e secondaria e tra la vittima secondaria e altri congiunti, la consistenza e la sopravvivenza di altri componenti del nucleo familiare, la qualità e intensità delle relazioni affettive tra la vittima primaria e secondaria nonché tra la vittima secondaria e altri parenti. Cosicché per la perdita di un genitore, di un figlio o di un coniuge, anche separato (al quale sono equiparati la parte di un'unione civile e il convivente more uxorio), il giudice, alla luce dei dati più recenti forniti dalla tabella meneghina aggiornata all'anno 2021, può attenersi ad un valore-base di euro 168.250,00 e può procedere alla quantificazione entro la soglia massima di euro 336.500,00. Invece, per la perdita di un fratello o di un nonno il valore-base è pari a euro 24.350,00 mentre il valore massimo corrisponde a euro 146.120,00. Sempre nella logica di tale modello pretorio, l'individuazione dei soggetti legittimati, in base al rapporto parentale inciso, non ha una valenza tassativa: ben possono essere dedotte altre relazioni, purché ne sia dimostrato il sotteso substrato affettivo. Inoltre, allorché la lesione sia conseguenza dell'integrazione di un reato doloso, anche il limite massimo può essere sforato, tenuto conto della gravità della situazione che in concreto si è determinata. Infine, la liquidazione giudiziale deve specificamente motivare sulla scorta di quali circostanze sia stata tassata la somma concretamente riconosciuta ai congiunti che rivendicano il risarcimento di detta categoria di danno.

In virtù delle tabelle ambrosiane, per il danno da grave lesione del rapporto parentale gli indici di riferimento per la quantificazione dell'importo dovuto sono sempre rappresentati da quelli enucleati per il danno da perdita del congiunto, ma con riferimento al solo tetto massimo (da applicare solo allorché sia provato il massimo sconvolgimento della vita familiare), non essendo possibile ipotizzare un danno non patrimoniale “base”: pertanto, la forbice si amplia in quanto parte da un valore pari a zero. Rispetto a questo ampliamento la quantificazione deve essere appunto adattata alle emergenze del caso di specie, ossia deve tenere conto del fatto che, in conseguenza del fatto lesivo, la vittima primaria non è deceduta, ma ha subito delle macro-lesioni, tali da mutare con varia intensità, sino ad un mutamento radicale, le condizioni di vita che si erano cristallizzate prima che l'illecito si realizzasse: l'assistenza prestata dal congiunto, tale da cambiare più o meno profondamente l'agenda della propria quotidianità, costituisce, quindi, l'oggetto della tutela risarcitoria invocata, che deve osservare i menzionati parametri.

Per contro, la tabella adottata dal Tribunale di Roma, aggiornata all'anno 2019, prevede per la liquidazione del danno parentale un sistema a punti, che consente di determinare l'importo dovuto all'esito della moltiplicazione del valore del punto per la sommatoria dei punteggi spettanti alla stregua di fattori prefissati afferenti al rapporto parentale inciso. Segnatamente, il valore del punto per la perdita di un congiunto è pari a euro 9.806,70 mentre i punteggi sono attribuiti in ragione dei seguenti fattori: il rapporto di parentela esistente tra la vittima ed il congiunto, l'età della vittima e del congiunto, la convivenza tra la vittima e il congiunto superstite, la presenza all'interno del nucleo familiare di altri conviventi o di altri familiari non conviventi, fino al quarto grado incluso. Per il danno da grave lesione del rapporto parentale il valore del punto ammonta, invece, ad un massimo di euro 6.000,00, che deve essere comunque moltiplicato per la sommatoria degli indici innanzi richiamati.

Già da tempo i criteri elaborati dalla tabella milanese hanno avuto l'avallo della giurisprudenza di legittimità, che appunto – in forza di un dato fattuale consolidato, ovverosia dell'applicazione assai diffusa su scala nazionale (in base alle ricerche effettuate dal CNR, la maggior parte dei tribunali italiani adotta il sistema tabellare milanese per la quantificazione del risarcimento del danno non patrimoniale) – ha ritenuto che esigenze di adeguatezza (qualitativa) e uniformità (quantitativa) consigliano di avere riguardo a siffatto metodo di liquidazione: metodo, questo, che in tal senso ha assunto una valenza para-normativa (Cass., sez. III, 6 maggio 2020, n. 8532) ovvero di criterio-guida (Cass., sez. III, 22 gennaio 2019, n. 1553). Ed infatti, nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari. E all'uopo garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. –, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. All'esito, l'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito (così Cass., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408).

Sebbene la massima tratta dall'evocata pronuncia si riferisca espressamente al danno biologico, la sua portata applicativa, avvalorata dalle esplicite argomentazioni contenute nella motivazione, è stata pacificamente estesa ai plurimi criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, in tutte le sue manifestazioni, ivi compreso il danno parentale, atteso che il dato di fondo su cui la valenza di detto sistema si basa è sempre il medesimo: id est la circostanza che il metodo di quantificazione è quello più diffuso su scala nazionale. In proposito, ha precisato la S.C., la tabella diffusa dal Tribunale di Milano sin dal 2009 e denominata “Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante (...) dalla perdita o grave lesione del rapporto parentale” deve costituire “d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi equo, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l'entità” (Cass. n. 12408 del 2011, § 3.2.5 dei “Motivi della decisione”).

Le prime avvisaglie di un ripensamento

Negli ultimi anni la S.C. sembra avere fatto un passo indietro, avendo predicato, con precipuo riguardo al danno da perdita del rapporto parentale, la non assoluta vincolatività del sistema tabellare milanese. Così, in un primo momento, la Corte di legittimità ha sostenuto che, in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle “tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all'oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'id quod plerumque accidit; pertanto, nel caso di determinazione del danno a favore del convivente more uxorio del defunto, il giudice non può procedere ad una determinazione del relativo importo in misura inferiore a quella minima prevista dalla corrispondente forbice tabellare, realizzando una discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio, attesa l'espressa completa equiparazione, contenuta in dette tabelle, tra convivenze more uxorio e convivenze matrimoniali (Cass., sez. VI-III, ord. 29 maggio 2019, n. 14746).

Nel prosieguo, tale tendenza ha avuto un seguito, avendo la Corte ritenuto che, nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale – diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all'integrità psico-fisica – le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale; tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima ivi prevista senza dar conto nella motivazione di una specifica situazione, diversa da quelle già considerate come fattori determinanti la divergenza tra il minimo e il massimo, che giustifichi la decurtazione (Cass., sez. III, 14 novembre 2019, n. 29495; Cass., sez. VI-III, ord. 9 giugno 2020, n. 10924; Cass., sez. III, 18 marzo 2021, n. 7770; da ultimo, Cass., sez. III, ord. 5 maggio 2021, n. 11719).

Quindi, in altra pronuncia la S.C. ha evidenziato i limiti del sistema a forbice – vale a dire di un sistema che si snoda entro un range alquanto ampio, compreso tra un minimo e un massimo – predisposto dalle tabelle ambrosiane per la liquidazione del danno parentale (Cass., sez. VI-III, ord.1° luglio 2020, n. 13269). In premessa, la Corte ha rilevato che, per la stima del danno non patrimoniale da uccisione d'un prossimo congiunto, in mancanza di criteri legali, da molti anni gli uffici giudiziari di merito hanno concepito criteri standard, al fine di rendere omogenee e prevedibili le decisioni. Tra questi criteri larga diffusione ha avuto quello adottato dal Tribunale di Milano. Questo criterio consiste nello stabilire ex ante la misura del risarcimento in base alla natura del vincolo che legava la vittima ed il congiunto superstite (coniugio, filiazione, maternità, ecc.). Per ciascun tipo di vincolo parentale è prevista una somma variabile tra un minimo ed un massimo, molto divaricati tra loro. La scelta del risarcimento concretamente dovuto nel caso specifico è rimessa alla valutazione equitativa del giudice, secondo i parametri della tabella milanese. La stessa Corte ha rammentato che in seguito si sono registrate talune decisioni dissonanti (ed in particolare Cass. n. 29495 del2019, secondo cui “nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale (...) le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale”). Quindi, la pronuncia richiamata ha prospettato quale sia il punto critico del sistema tabellare milanese sulla liquidazione del danno parentale, senza esporsi su quale delle due dissenzienti opinioni sia preferibile. Infatti, ha osservato che un sistema che lascia al giudice la facoltà di scegliere il risarcimento ritenuto equo tra un minimo ed un massimo molto distanti tra loro è, nella sostanza, un sistema equitativo puro, con l'unico temperamento del divieto di scendere al di sotto, o salire al disopra delle soglie tabellari. In ragione del riferito assunto sulla qualificazione, in ordine a tale profilo, del sistema come equitativo puro, la Corte ha sostenuto che lo stabilire se la misura del risarcimento più adatta a ristorare il danno nel caso concreto sia quella minima, quella media o quella massima prevista dalla “tabella” è una valutazione di puro fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità. Per effetto di queste considerazioni la Corte, nel caso di specie esaminato, ha disatteso le relative censure, e ciò perché la “tabella” della cui mancata applicazione i ricorrenti si dolevano (diffusa dal Tribunale di Milano nell'anno 2014) prevedeva, quale risarcimento dovuto al genitore per l'uccisione d'un figlio, una somma variabile da un minimo di euro 163.990 ad un massimo di euro 327.990. All'esito, la Corte d'appello aveva liquidato, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale patito in conseguenza della perdita prematura di un figlio, la somma di euro 260.000. Il giudice di merito, dunque: a) non aveva violato l'art. 1226 c.c., così come interpretato da Cass. n. 12408 del 2011, perché aveva fatto correttamente riferimento, per la liquidazione del danno non patrimoniale, alla tabella diffusa dal Tribunale di Milano; b) non aveva violato il principio per cui, nella liquidazione del danno non patrimoniale, occorre fare riferimento alla tabella più recente in uso al momento della decisione, perché l'importo liquidato era compreso nel range previsto dalla tabella in uso al momento della decisione. Concludeva la citata ordinanza nel senso che alla Corte non era dato sindacare se, per le peculiarità del caso concreto, quell'importo avrebbe dovuto attestarsi sulla misura massima, su quella media o su quella minima prevista dalla tabella.

L'opzione nomofilattica per un sistema a punti

In esito ad una recente sentenza, la Corte è invece approdata ad un passaggio ulteriore, avendo affermato il principio secondo cui il sistema a forbice concepito dalla tabella milanese per la liquidazione del danno parentale non garantisce adeguatezza e uniformità di valutazione, dovendo, per converso, prediligersi un sistema tabellare a punti (Cass., sez. III, 21 aprile 2021, n. 10579). Cosicché la S.C. ha concluso nel senso che, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella.

E ciò muovendo dal rilievo secondo cui, attraverso il sistema del punto variabile per la misura del risarcimento a seguito di danno biologico, la tabella elaborata dall'ufficio giudiziario, per astrazione dalle sentenze di merito monitorate, rinvia in ultima istanza alla valutazione equitativa del danno di cui all'art. 1226 c.c. e identifica regole uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale. Si rientra, dunque, nella conversione della clausola generale in una pluralità di ipotesi tipizzate risultanti dalla standardizzazione della concretizzazione giudiziale della clausola di valutazione equitativa del danno. Con il precipitato che, trattandosi di un'opera di astrazione dalle decisioni della giurisprudenza di merito, la tabella non ha la cogenza del dettato legislativo e consente pertanto la riespansione della clausola generale se le peculiarità del caso concreto non tollerano la sussunzione nella fattispecie tabellare. Quando il caso concreto impone la presa di distanza rispetto alla standardizzazione tabellare dei precedenti della giurisprudenza, e si torni in modo diretto alla clausola generale ex art. 1226 c.c., determinante diventa la motivazione: la quale non è qui solo forma dell'atto giurisdizionale imposta dalla Costituzione e dal codice processuale, ma è anche sostanza della decisione. In ragione di tali rilievi, la Corte ha osservato che la funzione di garanzia dell'uniformità delle decisioni svolta dalla tabella elaborata dall'ufficio giudiziario è affidata al sistema del punto variabile, per il grado di prevedibilità che tale tecnica offre, con la conseguenza che, laddove il sistema del punto variabile non sia seguito, la tabella non garantisce la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell'uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza. Avendo riguardo al sistema tabellare milanese sulla liquidazione del danno parentale, la Corte ha pertanto dedotto che il modello a forbice ivi elaborato si limita a individuare un ampio differenziale, il quale costituirebbe una sorta di clausola generale, di cui si è soltanto ridotto, sia pure in modo relativamente significativo, il margine di generalità.

Nella fattispecie, il giudice di prime cure, facendo applicazione delle tabelle romane e tenendo conto del concorso di responsabilità nella misura del 50%, aveva liquidato, a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, la somma di euro 144.208,00 in favore del coniuge e la somma di euro 76.615,00 in favore del fratello della vittima primaria. In sede di gravame, la Corte di merito, facendo applicazione delle tabelle milanesi, aveva liquidato, allo stesso titolo, la somma di euro 73.669,00 per il coniuge e la somma di euro 12.496,50 per il fratello. La S.C., in applicazione del richiamato principio, ha cassato la decisione del giudice d'appello che, per liquidare il danno da perdita del rapporto parentale patito dal coniuge e dal fratello della vittima, aveva fatto applicazione delle tabelle milanesi, non fondate sulla tecnica del punto, bensì sull'individuazione di un importo minimo e di un “tetto” massimo, con un intervallo molto ampio tra l'uno e l'altro. L'annullamento della decisione si basa così sulla sproporzione tra la quantificazione operata alla stregua del sistema tabellare concretamente adottato (quello pretorio milanese) e la liquidazione che sarebbe conseguita all'applicazione di un sistema a punti. Occorre a tal fine guardare al profilo dell'effettiva quantificazione del danno, a prescindere da quale sia la tabella adottata, e solo nel caso di quantificazione non conforme al risultato che si sarebbe determinato seguendo una tabella basata sul sistema a punti secondo i criteri sopra indicati, a quale sia la motivazione della decisione.

In tale arresto, dunque, la Corte di legittimità ha valorizzato i seguenti profili:

a) solo il sistema tabellare a punti garantisce adeguatezza e uniformità di liquidazione;

b) in un sistema così concepito il valore medio del punto deve essere estratto dai precedenti specifici;

c) a fronte della determinazione del valore medio del punto, la valutazione del caso concreto deve basarsi sull'effetto moltiplicatore attribuito a punteggi ricavabili da circostanze rilevanti (che sono state debitamente delineate, quantomeno con riguardo a quelle essenziali);

d) è comunque sempre possibile l'applicazione di correttivi alla stregua della particolarità della situazione da ponderare; e) ove il caso sia eccezionale, la liquidazione può prescindere dal riferimento tabellare.

I possibili rilievi critici

Si premette che le circostanze rilevanti che consentono la quantificazione modulare (o secondo un criterio di modularità) del danno nel caso concreto non mutano nelle due tabelle poste in comparazione: la differenza si sostanzia soltanto nel fatto che la tabella romana attribuisce a tali fattori degli specifici punteggi mentre nella struttura delle tabelle milanesi i medesimi indici fungono da criteri di orientamento per la quantificazione in concreto, entro la forbice compresa tra un minimo-base e un massimo personalizzato.

Tanto premesso, si reputa che l'adesione nomofilattica ad un determinato sistema tabellare di liquidazione del danno non patrimoniale, in tutte le sue estrinsecazioni, in attesa dell'adozione dei provvedimenti legislativi sulla formulazione di tabelle uniche nazionali, possa avere una portata meramente dichiarativa e non già costitutiva. Ed invero, atteso che il riferimento tabellare rappresenta un termine di collegamento, stabilito ex ante, attraverso cui si sviluppa la valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., ai fini di assicurare i principi di adeguatezza nella liquidazione e di uniformità delle quantificazioni, a fronte di fattispecie analoghe, è evidente che un conto è dare atto che un determinato impianto tabellare può assurgere al rango di parametro di ragguaglio cui attenersi, sulla scorta di un dato di fatto già consolidato – ossia della sua applicazione a cura della maggior parte dei tribunali italiani –, altro conto è individuare un'elaborazione tabellare con funzione creatrice, senza il supporto della diffusa attuazione sul territorio nazionale. Quest'ultima eventualità determinerebbe uno stravolgimento non giustificato della spontanea adesione dei tribunali e delle corti di merito ad un modello di liquidazione ritenuto più convincente, per i suoi aspetti strutturali e funzionali, presupposto, questo, indefettibile perché Cass. n. 12408 del 2011 potesse giungere a teorizzare la valenza generalizzata di detto impianto tabellare, sub specie di adeguatezza e uniformità valutativa. Siffatta ipotizzata opzione per un sistema tabellare, non corrispondente a quello maggiormente applicato su scala nazionale, non ricadrebbe certo nell'ambito delle funzioni di nomofilachia che spettano alla Corte di cassazione, id est sarebbe fuorviante rispetto allo scopo di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale ex art. 65 dell'ordinamento giudiziario. E ciò è ancor più vero rispetto all'intento di indicare dei criteri orientativi ai fini di facilitare una valutazione equitativa del danno che compete al giudice, allorché il danno medesimo non sia dimostrabile nel suo preciso ammontare. E sul punto, in effetti, la sentenza n. 10579 del 2021 non individua un modello alternativo al sistema tabellare milanese di liquidazione del danno non patrimoniale, già convalidato dalla pregressa giurisprudenza di legittimità, ma si limita ad affermare che il sistema da cui ricavare la quantificazione del danno parentale deve essere improntato al criterio dei punti.

Allo stesso modo, l'elaborazione sistematica della quantificazione del danno, con finalità agevolativa della ponderazione equitativa (in termini integrativi o correttivi), non può prescindere dall'analisi dei precedenti, a cui è funzionale l'estrazione del valore medio del punto, come è stato affermato proprio da Cass. n. 10579 del 2021. A fronte del rilievo primario del precedente, il metodo di calcolo non può mai essere perfetto, ma è per definizione perfettibile. Ne discende che il metodo di calcolo (a punti o a forbice) ha pur sempre una valenza strumentale e non finalistica: non è il metodo a conferire adeguatezza alla valutazione compiuta, ma è il risultato cui esso approda, che deve corrispondere ad un dato quantitativo conforme ai precedenti monitorati. Non vi può dunque essere un metodo di stima valevole in astratto, ove esso prescinda dal richiamo agli importi su cui la giurisprudenza si è attestata in vicende analoghe. Sono dunque i precedenti assestati i riferimenti necessari da cui trarre spunto per evincere il metodo di calcolo. Ed è appunto a tale regola che si attiene il modello tabellare milanese sulla quantificazione del danno parentale, essendo i valori – base e massimo – ricavati appunto dall'analisi di corposi precedenti, anche relativi ad uffici giudiziari che non rientrano nel distretto ambrosiano, come è possibile arguire dalle relazioni illustrative predisposte dall'Osservatorio sulla giustizia civile in occasione degli aggiornamenti tabellari attuati. Diversamente nessun metodo di calcolo può reggersi sulla, sia pure, sua razionalità intrinseca, se non confortata dal monitoraggio dei casi analoghi: se così fosse, vi sarebbe il rischio di pervenire ad un modello di liquidazione astratto, del tutto sganciato dalla realtà delle liquidazioni effettuate in sede giudiziale.

Ed ancora, occorre rilevare che la preferenza espressa per un sistema a punti, anche con riguardo alla liquidazione del danno parentale, potrebbe determinare, allo stato dei modelli operativi elaborati dagli uffici giudiziari, un effetto perverso di c.d. spacchettamento o parcellizzazione del sistema tabellare: vale a dire alla convergenza di parametri ricavati da sistemi tabellari diversi. Questo risultato potrebbe essere non auspicabile se si ragiona in termini sistemici: il richiamo a ciascuna voce di danno non patrimoniale contenuta nella tabella non costituisce, infatti, un dato isolabile e conciliabile con voci estratte da altri riferimenti tabellari. E ciò perché in ogni tabella sistemica ciascuna voce di danno è legata all'altra, tanto da non consentire una lettura atomistica: non si può infatti prescindere, per definizione, da una lettura unitaria del complesso tabellare.

E così si pensi al caso in cui, per effetto dell'uccisione di un congiunto, i parenti prossimi rivendichino un danno biologico e un danno parentale iure proprio. Rimane, in questa ipotesi, ferma la netta distinzione tra il descritto danno da perdita, o lesione, del rapporto parentale e l'eventuale danno biologico che detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato, atteso che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l'uno e l'altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale (Cass., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989). Aderendo all'orientamento secondo cui, in siffatta eventualità, i parametri di liquidazione del danno biologico e del danno parentale convergono, si dovrebbe giungere alla conclusione in forza della quale, per il danno biologico, può trovare applicazione la tabella milanese che prevede un sistema di liquidazione a punti, mentre per il danno parentale dovrebbe trovare applicazione altro riferimento tabellare che sia concepito secondo la logica dei punti variabili, come il sistema romano. Questa commistione importa il raggiungimento di un risultato finale eterogeneo rispetto a quello che sarebbe scaturito dall'applicazione di una tabella unitaria, in cui i parametri di quantificazione di ciascuna manifestazione del danno non patrimoniale sono contemplati in chiave di collegamento funzionale o quantomeno di coerenza logica.

Conclusioni

In guisa delle superiori considerazioni, pare che alla pronuncia di Cass. n. 10579 del 2021 debba essere attribuita una portata ben più riduttiva di quella che potrebbe a prima vista enuclearsi con una impropria semplificazione: la sentenza non ha, dunque, inteso innovare, con una giurisprudenza creativa, in ordine ai criteri tabellari da applicare per la liquidazione del danno parentale, esprimendo così una preferenza per il sistema tabellare romano, mai esplicitamente nominato; piuttosto ha proposto dei rimedi al sistema tabellare milanese, di più diffusa applicazione sul territorio nazionale. In questa ottica, sembra conclusione più adeguata, ai fini di garantire l'unicità del riferimento tabellare e di eliminare gli inconvenienti di una possibile convergenza tra sistemi tabellari eterogenei, trarre spunto dalla pronuncia citata per apportare dei correttivi al sistema tabellare milanese, cosicché, all'interno del range già contemplato, ricavato dal monitoraggio di numerosi precedenti, la liquidazione nel caso concreto avvenga, avuto riguardo ai fattori già indicati, secondo un criterio moltiplicatore che dal valore di un punto-base giunga al risultato finale, assegnando a detti fattori dei punteggi. Per l'effetto, è più congruo che la sentenza n. 10579 del 2021 sia letta sulla scorta di quanto già accaduto per la sentenza di Cass., sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164; quest'ultima sostanzialmente invitava, allo scopo di evitare ogni automatismo liquidatorio, l'Osservatorio sulla giustizia civile costituito presso il Tribunale di Milano a discriminare, all'interno di ciascun punto del danno alla salute, la voce riconducibile alla sofferenza interiore da quella ascrivibile al profilo esterno dinamico-relazionale (sull'argomento, la sentenza sottolineava che dette tabelle prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono, non correttamente, all'indicazione di un valore monetario complessivo, costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno), invito di cui l'Osservatorio ha debitamente tenuto conto con l'aggiornamento attuato nel 2021 (v., amplius, Spera, I 10 punti del danno biologico - commento a Cass. n 25164-2020 su danno morale, personalizzazione).

Analogamente, dunque, la sentenza Cass. n. 10579/2021 sembra suggerire che il sistema tabellare milanese, relativo alla liquidazione del danno parentale, meriti un affinamento-perfezionamento, affinché, sempre avendo riguardo ai precedenti, la quantificazione del caso concreto, all'interno della cornice edittale già demarcata, avvenga secondo una prospettiva legata all'attribuzione di uno specifico valore del punto da moltiplicare per determinati punteggi da assegnare alle circostanze rilevanti in chiave modulare. Siffatti correttivi, per un verso, non devono sconfessare l'impostazione di massima sulla liquidazione del danno parentale, evitando così che si pervenga ad una indebita lievitazione delle liquidazioni medie spettanti per tale tipologia di nocumenti; per altro verso, non devono ingessare eccessivamente la liquidazione nel caso concreto, nel senso che, a fronte di un rigido valore ricavato dall'operazione aritmetica indicata, deve essere comunque garantita l'elasticità valutativa rispetto alle emergenze della fattispecie, tale da legittimare una sotto o sovra-ponderazione rispetto al dato asettico ricavato dalla suddetta operazione.

Forse l'occasione sarebbe propizia anche per distinguere, nell'ambito dell'unitario danno parentale, la voce riconducibile alla sofferenza interiore da quella connessa ai pregiudizi alla vita di relazione in una dimensione dinamico-relazionale, di modo che, in base alle circostanze del caso concreto, la componente interiore ovvero la componente dinamico-relazionale del danno parentale possano eventualmente essere espunte, ove non ne sia giustificato il riconoscimento.

Riferimenti
  • G. CHIRIATTI, Il “valore monetario base” nella tabella per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, in Ridare.it, 6 dicembre 2018;
  • G. COMANDÈ, Per la sofferenza dei congiunti serve un ripensamento milanese, in Guida al dir., 2021, 20, 12;
  • L. LA BATTAGLIA, Il danno da perdita del rapporto parentale dopo la seconda stagione di San Martino, in Corr. giur., 2020, 3, 315;
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