Trasferimenti d'azienda, cambi di appalto di servizi, clausole sociali ed obblighi di riassunzione

Luigi Santini
28 Maggio 2021

In caso di cessazione dell'appalto e di subentro di un nuovo appaltatore nella gestione del servizio appaltato, vanno escluse la sussistenza di un trasferimento d'azienda e l'applicazione del principio di continuità del rapporto di lavoro di cui all'art. 2112 c.c....
Massima

In caso di cessazione dell'appalto e di subentro di un nuovo appaltatore nella gestione del servizio appaltato, vanno escluse la sussistenza di un trasferimento d'azienda e l'applicazione del principio di continuità del rapporto di lavoro di cui all'art. 2112 c.c., nell'ipotesi in cui si verifichi una sostanziale modificazione delle condizioni dell'appalto, con la conseguenza che, in tal caso, deve ritenersi legittimo il licenziamento intimato dall'appaltatore cessante...

Il caso

La controversia trae origine dalla cessazione dell'appalto dei servizi di manutenzione e riparazione di mobili, arredi ed ausili sanitari presso strutture sanitarie della ASL di Bologna, e dal subentro di due nuovi appaltatori nella gestione di tali servizi, non assistito dalla previsione di una clausola sociale ex art. 50 d.lgs. n. 50/2016. La lavoratrice ricorrente, già dipendente della cooperativa cessante, viene da quest'ultima licenziata per giustificato motivo oggettivo, stante la cessazione dell'appalto in cui era impiegata e la correlata soppressione del suo posto di lavoro, ed invoca, affinché venga dichiarata l'illegittimità deli recesso datoriale, il principio di continuità del rapporto di lavoro operante in caso di trasferimento d'azienda ex art. 2112 c.c..

La questione giuridica

È noto che la clausola sociale di salvaguardia occupazionale (c.d. clausola sociale di seconda generazione) è un istituto volto a garantire la stabilità occupazionale dei lavoratori in caso di successione tra imprenditore cedente e imprenditore cessionario nell'ambito di un contratto di appalto. Pur avendo origine contrattuale, in adesione alle direttive comunitarie (cfr. artt. 38 e 26 delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), esse sono state disciplinate dall'art. 50 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (c.d. Codice dei contratti pubblici), secondo cui nei contratti di concessione e di appalto diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi ad appalti c.d. labour intensive (cioè ad alta intensità di manodopera), “i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione Europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l'applicazione da parte dell'aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all'articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015”.

E' altrettanto noto che la S.C. ha più volte affermato, da ultimo con sentenza in data 30.10.2019, n.27913, che, in caso di mutamento dell'appalto di servizi, la continuità del rapporto di lavoro con il nuovo appaltatore può costituire connotato caratterizzante non solo della fattispecie della clausola sociale, nella quale l'impresa subentrante è tenuta ad instaurare con il lavoratore un nuovo e diverso rapporto di lavoro, ma anche del più generale istituto del trasferimento di azienda di cui all'art. 2112 c.c.. Trattasi infatti di due discipline che tendono ad effetti talvolta convergenti, pur se “ciò non toglie che le stesse siano alternative, perchè o vi è trasferimento d'azienda o di una sua parte ex art. 2112 c.c., e quindi prosecuzione ex lege del rapporto di lavoro, oppure c'è subentro nell'appalto con applicazione dello statuto speciale dettato da un insieme di norme di fonte collettiva e legale”.

Ne consegue che, pur se nella sentenza in esame si dà atto che nella fattispecie esaminata le procedure di appalto “sono state indette in assenza della clausola sociale di cui all'art. 50 del d.lgs. n. 50/2016” (e quindi in violazione di tale disposizione), la questione da affrontare attiene principalmente al rapporto tra le due suddette fattispecie, la prima basata sulla continuità dei rapporti di lavoro derivante dal trasferimento di azienda, la seconda sull'obbligo dell'impresa entrante di costituire ex novo i rapporti di lavoro imposti dalla clausola sociale. Distinzione che può rivelarsi assai difficoltosa, ove si consideri che le fattispecie del subentro nell'appalto e del trasferimento d'azienda tendono quasi a sovrapporsi, sino a confondersi, laddove l'attività oggetto dell'appalto sia del tipo labour intensive, il cui servizio, in quanto afferente ad attività con minima incidenza di capitale e massima incidenza di lavoro, si fonda essenzialmente sulla manodopera.

Le soluzioni giuridiche

In linea generale, è stato ripetutamente affermato in giurisprudenza che l'applicazione della clausola sociale in sé non configura un'ipotesi di trasferimento d'azienda ex art. 2112 c.c., salvo il caso in cui il subentro nell'appalto coinvolga, oltre ai lavoratori oggetto di trasferimento, anche beni di non trascurabile entità (cfr. Cass., Sez. Lav., 31 gennaio 2020 n. 2315; Cass. 16 maggio 2013, n. 11918; Cass. 13 aprile 2011, n. 8460). La S.C. ha altresì affermato che l'esistenza di una clausola sociale non esclude che le medesime ragioni di tutela del lavoratore possano trovare automatica e più integrale protezione anche negli effetti del trasferimento di azienda (ove gli elementi di tale fattispecie siano riconoscibili nella vicenda oggetto di domanda), ossia su un sistema di garanzie, centrato sulla continuità dell'occupazione, nel quale il “rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (art. 2112 c.c.”).

Va tuttavia considerato che, ai sensi dell'art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003, come novellato dall'art. 30 della legge n. 122/2016 (in vigore dal 23 luglio 2016), “L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”.

Già il testo originario dell'art.29 cit. escludeva che, in caso di obbligo, di fonte legale o contrattuale, in capo al nuovo appaltatore subentrante di assorbire il personale già presente e impiegato nell'appalto, si fosse “automaticamente” in presenza di un trasferimento di azienda (terzo comma: “L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”). La novella del 2016 è poi intervenuta sulla spinta di una procedura d'infrazione UE (procedura di pre-infrazione c.d. “EU pilot” n. 7622/15/EMPL), diretta ad un ampliamento della possibilità che, nel contesto di un cambio di appalto, possa configurarsi un trasferimento di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. (tenuto conto del fatto che, precedentemente, la Corte di Cassazione aveva limitato la configurabilità del trasferimento d'azienda alle sole ipotesi di cambio di appalto caratterizzate – oltre che dal passaggio del personale – da cessione di beni di “non trascurabile entità”).

La questione assume particolare rilievo nelle attività c.d. labour intensive, in cui l'oggetto dell'appalto è costituito non già dai mezzi utilizzati, quanto piuttosto dal personale impiegato, per cui l'assunzione dei dipendenti già in servizio da parte del nuovo appaltatore determina una situazione molto simile al trasferimento d'azienda. In questi casi, il legislatore ha introdotto una sorta di presunzione di operatività dell'art. 2112 c.c., prevedendo, con l'art. 29 d.lgs. n. 276/2003, come novellato dalla legge n. 122/2016, che nell'ipotesi di “cambio appalto” il trasferimento d'azienda possa essere escluso solo in caso di ricorrenza di due elementi: 1) il fatto che il nuovo appaltatore sia “dotato di propria struttura organizzativa ed operativa”, da intendersi riferita non già in senso generale all'organizzazione dell'opera/servizio rispetto al committente (tale autonomia è infatti il presupposto della genuinità dell'appalto, per cui così intesa la specificazione sarebbe tautologica), bensì al raffronto tra il vecchio ed il nuovo appaltatore; 2) la presenza di “elementi di discontinuità” tali da determinare una specifica “identità di impresa”.

L'individuazione del concetto di “discontinuità” non appare affatto agevole. In linea di massima, può affermarsi che, in conformità con i principi desumibili dall'ordinamento dell'Unione europea e dalle sentenze della Corte di giustizia, ci troveremo di fronte ad un trasferimento di azienda nei casi in cui il nuovo appaltatore subentri al precedente acquisendo la parte essenziale dell'organico, pur in assenza di un trasferimento di beni, mentre dovrà escludersi che sussista una ipotesi di “identità d'impresa” ogni qual volta l'organizzazione del soggetto subentrante preveda una gestione qualitativamente diversa dei servizi appaltati (non essendo invece sufficiente una loro mera riduzione quantitativa).

Siamo in presenza di una tematica di particolare problematicità, soprattutto in fattispecie in cui vengono in rilievo appalti aventi ad oggetto lo svolgimento di attività con minima incidenza di capitale e massima incidenza di lavoro (appalti c.d. labour intensive) e in cui, pertanto, la fattispecie di cui all'art. 2112 c.c. può realizzarsi anche per effetto del solo trasferimento dei
lavoratori indispensabili e sufficienti per lo svolgimento del servizio appaltato. La S.C. ha al riguardo più volte affermato che trasferimento di azienda può aversi ogni qualvolta il fattore
personale sia preponderante rispetto ai beni, e cioè quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tali che, proprio in virtù di esse, sia possibile fornire lo stesso servizio (ex plurimis, Cass. 8 maggio 2014, n. 9957, Cass.25 settembre 2013, n. 21917; Cass., 30 ottobre 2019, n.27913).

Infine, non è di ostacolo alla configurabilità di un trasferimento di azienda la circostanza che la vicenda traslativa sia avvenuta non per effetto di un apposito negozio di cessione, bensì di
determinazioni autoritative e/o assegnazione di appalti di servizi (Cass.,sez. lav., 25 novembre 2019, n. 30663; Cass., sez. lav., 15 ottobre 2010, n. 21278; Cass., sez. lav., 20 settembre 2003, n. 13949). Esaustiva al riguardo la considerazione della S.C. ove si osserva che. “se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne
acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l'azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall'art. 2112 c.c. (pena un'ingiustificata aporia nell'ordinamento)" (Cass., Sez. Lav., 31 gennaio 2020, n. 2315, Cass., Sez. Lav., 30 ottobre 2019, n. 27913; Cass., Sez. Lav., 6 dicembre 2016, n. 24972).

Osservazioni

Pur trattandosi di discipline tra loro alternative, nulla esclude che alla garanzia di continuità dell'occupazione offerta dalla previsioni dell'art. 2112 c.c. si affianchi, ove i presupposti di detta maggiore garanzia non si realizzino, la tutela minore, prevista dalla clausola sociale, della costituzione ex novo di appositi rapporti di lavoro con l'imprenditore subentrante.

Nella fattispecie esaminata nella sentenza in commento, il Tribunale ha ritenuto doversi escludere si fosse realizzata una ipotesi di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., avuto riguardo alla circostanza che, in punto di fatto, con la nuova procedura di appalto si era verificato “un ripensamento globale dei servizi, con riferimento all'oggetto degli stessi, alle modalità di effettuazione, ai costi ed alla logistica complessiva”. Da ciò è conseguita la declaratoria di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dall'impresa cessante, essendo risultata “incontroversa la soppressione legittima del posto di lavoro cui era addetto il ricorrente” ed essendo state allegate dettagliatamente “le ragioni fattuali dell'inesistenza di un posto di lavoro in mansioni equivalenti o inferiori”, in modo tale da potersi ritenere idoneamente assolto l'obbligo di repêchage.

Tale impostazione non convince del tutto, dovendosi tener conto del fatto che la clausola sociale, prima ancora di essere disciplinata dal legislatore con l'art. 50 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. Codice dei contratti pubblici), era un istituto già previsto da numerosi contratti collettivi, soprattutto in quei settori produttivi dove il fenomeno delle esternalizzazioni e della successione di contratti di appalto risulta più diffuso (in particolare, nei settori metalmeccanico, telecomunicazioni, logistica, cooperative sociali, multiservizi e lavanderie industriali).

Nella sentenza in commento il giudice dà atto che la cooperativa datrice di lavoro applicava il C.C.N.L. Multiservizi, il quale prevede espressamente una specifica disciplina per l'ipotesi di cessazione dell'appalto, in base alla quale: 1) qualora si tratti “di cessazione di appalto a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali”, l'imprenditore subentrante è tenuto a garantire la riassunzione dei dipendenti già in forza dell'impresa cessante; 2) “in caso di cessazione di appalto con modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali” deve procedersi ad un “esame della situazione” con le OO.SS., presso la Direzione Provinciale del Lavoro, “al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell'appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato”.

Orbene, le clausole del contratti collettivi che disciplinano il “cambio appalto” con l'obbligo del mantenimento dell'assetto occupazionale e delle medesime condizioni contrattuali ed economiche sono da ritenersi vincolanti per l'operatore economico, non già in qualità di aggiudicatario della gara, ma solo in quanto imprenditore appartenente ad una associazione datoriale firmataria del contratto collettivo; a queste condizioni, infatti, la clausola, frutto dell'autonomia collettiva, ove più stringente, prevale sulla clausola contenuta nel bando di gara (Consiglio di Stato sez. V, 12 settembre 2019, n. 6148). In tal senso, si vedano le linee guida dell'ANAC n°13/2019, secondo cui negli appalti pubblici “l'applicazione delle clausole sociali deve in ogni caso avvenire in armonia con la disciplina recata dalle disposizioni contenute nei contratti collettivi di settore”, con la conseguenza che “le imprese tenute all'applicazione del CCNL osservano la prescrizione relativa all'assorbimento del personale uscente, anche a prescindere dalla previsione ad hoc inserita nella lex specialis, tenuto conto del richiamo espresso, ad opera del predetto articolo 50 della disciplina recata dai contratti collettivi di settore di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.

In quest'ordine di concetti, nella fattispecie disaminata nella sentenza in commento, pur essendo state ravvisate “modifiche o mutamenti significativi nell'organizzazione e nelle modalità del servizio da parte del committente”, le imprese subentranti non avrebbero potuto sic et simpliciter sottrarsi alla riassunzione del personale già occupato da quella cessante, ma avrebbero dovuto quanto meno sottoporre la questione ad un esame congiunto con le OO.SS., “al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell'appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell'ambito dell'attività di impresa ovvero a strumenti quali part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità”.

Va da ultimo affrontato il problema della compatibilità della clausola sociale con i principi costituzionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), tenuto conto del fatto che lo svolgimento di prestazioni sostanzialmente analoghe da parte delle imprese appaltatrici che si succedono nel rapporto vede comunque contrapposti, analogamente a quanto avviene nel trasferimento di azienda o di un suo ramo, l'interesse del nuovo appaltatore a pianificare liberamente la propria attività e quello dei lavoratori già impiegati nell'appalto alla continuità occupazionale e al mantenimento dei diritti alle dipendenze del nuovo appaltatore.

A tal proposito, la Corte di Giustizia Europea ha ripetutamente affermato che le clausole sociali debbano essere formulate in modo tale da contemperare la salvaguardia occupazionale al rispetto della libertà di iniziativa economica sancito dall'art. 41 Cost. e dei principi comunitari di libertà di concorrenza e di libera impresa (cfr., tra le tante, C.G. C-460/2002 e C-386-2003).

In realtà, i contenuti delle clausole sociali sono diversi e variano in base ai diversi contratti collettivi.

In alcuni accordi collettivi le parti sociali, ben consapevoli del pesante condizionamento che tali clausole avrebbero comportato sulla piena esplicazione della libertà di iniziativa economica dell'imprenditore, hanno previsto la necessità di un preventivo esame congiunto con le OO.SS. per poter valutare la compatibilità del mantenimento dei livelli occupazionali con le esigenze tecnico-organizzative ed economiche dell'impresa (v. ad es., C.C.N.L. Multiservizi e C.C.N.L. Lavanderie industriali). In tali situazioni, le parti sociali hanno quindi optato per il contemperamento tra tutela occupazionale e libertà sulle scelte economiche dell'impresa, escludendo che l'obiettivo di garantire la piena occupazione di tutti gli addetti nell'appalto debba necessariamente determinare un principio generale di automaticità per il passaggio dei lavoratori all'azienda subentrante nell'appalto.

In altri contratti collettivi, invece, le parti sociali hanno previsto l'obbligatorietà (se non addirittura l'automaticità) del reimpiego del personale dell'appaltatore uscente da parte di quello subentrante, prevedendo che esso dovrà avvenire a parità di condizioni di appalto, mantenendo l'anzianità pregressa e tutti i trattamenti salariali ed i diritti normativi (v. C.C.N.L. Logistica e C.C.N.L. Telecomunicazioni).

Alcuni contratti collettivi hanno infine optato per una soluzione “intermedia”. E' questo il caso del C.C.N.L. per le Cooperative Sociali, il quale ha previsto che “L'azienda subentrante, nel caso in cui siano rimaste invariate le prestazioni richieste e risultanti nel capitolato d'appalto o convenzione, assumerà, nei modi e condizioni previsti dalle leggi vigenti, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro da parte dell'impresa cessante, il personale addetto all'appalto o convenzione stessi”. Solo nel caso in cui il “cambio appalto” determini “modifiche o mutamenti significativi nell'organizzazione e nelle modalità del servizio da parte del committente e/o tecnologie produttive con eventuali ripercussioni sui dato occupazionale e sul mantenimento delle condizioni di lavoro” è previsto che l'azienda debba fornire opportune informazioni alle OO.SS. territoriali.

La giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che la clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost. (Consiglio di Stato n.5551/2018). Siffatta clausola deve quindi essere interpretata in modo tale da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle effetti automatici. Del resto, un disposto normativo che non prenda in considerazione le esigenze tecnico-produttive dell'impresa subentrante, automatizzando ex lege il passaggio dei lavoratori addetti nell'appalto, genererebbe un effetto a catena che, nell'arco di alcuni passaggi di cambio appalto, porterebbe ad un incontrollato aumento del numero di addetti per l'appalto. Ne consegue che l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante (Cons. St., sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078). In altre parole, è sicuramente vero che la clausola sociale costituisce uno strumento teso a favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori (Cons. St., sez. V, 7 giugno 2016, n. 2433; Id., sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255; Id. 9 dicembre 2015, n. 5598; Id. 5 aprile 2013, n. 1896; Id., sez. V, 25 gennaio 2016, n. 242; Id., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890), ma è altrettanto vero che ciò deve comunque avvenire nel rispetto della libertà di iniziativa economica costituzionalmente tutelata.

Tuttavia, se è vero che la clausola sociale non può giungere a comprimere eccessivamente la libertà di iniziativa economica sancita dall'art. 41 Cost. (cfr. Cons. St., Sez. III, n. 142/2019), è altrettanto vero che essa deve pur sempre essere tesa a garantire gli obiettivi di salvaguardia occupazionale sottesi alla previsione della clausola stessa (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 3885/2019). Ne consegue che, pur affermandosi che non è compatibile con i principi comunitari e costituzionali obbligare l'impresa subentrante a mantenere sempre e comunque le stesse condizioni di lavoro e di retribuzione, perché tale automatismo possa essere escluso occorre che si fornisca una specifica prova, il cui onere è gravante sul datore di lavoro subentrante, che l'applicazione della clausola sociale finirebbe con il generare concreti problemi all'organizzazione aziendale in ragione del mutamento delle condizioni dell'appalto e delle differenze organizzative esistenti tra le due imprese succedutesi nei servizi appaltati.

Sarà l'elaborazione giurisprudenziale in materia ad esser chiamata al delicato compito di assicurare alla normativa in parola un'applicazione equilibrata e conforme ai principi desumibili dlla normativa comunitaria, nel rispetto dei canoni interpretativi offerti dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.

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