L’impossibilità dell’inadempimento per causa non imputabile costituisce eccezione in senso lato

Cesare Trapuzzano
31 Maggio 2021

L'eccezione di non imputabilità dell'inadempimento costituisce non mera difesa, ma eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio e, quindi, non soggetta alla decadenza ex art. 167 c.p.c., sempre che il fatto emerga dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo.
Massima

L'eccezione di non imputabilità dell'inadempimento costituisce non mera difesa, ma eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio e, quindi, non soggetta alla decadenza ex art. 167 c.p.c., sempre che il fatto emerga dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo, atteso che consiste nell'allegazione non riservata all'iniziativa della parte - per legge o perché collegata alla titolarità di un'azione costitutiva - di un fatto diverso, non compreso tra quelli dedotti dalla controparte e dotato normativamente di idoneità impeditiva, in via immediata e diretta, del diritto azionato in giudizio.

Il caso

Nel giudizio di prime cure l'acquirente di un appartamento chiedeva la condanna degli alienanti al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della ritardata consegna dell'immobile. I convenuti eccepivano che l'inadempimento era dipeso da causa ad essi non imputabile.

Il Tribunale adito, ritenuta tale eccezione inammissibile, in quanto dedotta tardivamente, ossia oltre il termine di cui all'art. 167 c.p.c., accoglieva la domanda e condannava i convenuti al pagamento, in favore dell'attrice, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di euro 12.000, oltre interessi e rivalutazione.

In accoglimento del gravame interposto dai soccombenti e in conseguente riforma di tale decisione, la Corte d'appello, ritenendo - al contrario - la suddetta eccezione ammissibile e fondata, rigettava la domanda risarcitoria, condannando parte attrice al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio. In particolare, in punto di ammissibilità dell'eccezione, la Corte di merito rilevava che la non imputabilità dell'inadempimento costituisse mera difesa e non eccezione, tanto meno in senso stretto, come tale sottratta alla decadenza prevista dall'art. 167 c.p.c. E tanto sulla premessa che la distribuzione dell'onere della prova non coincidesse con la distribuzione dell'onere allegatorio, sicché l'inadempimento del convenuto avrebbe rappresentato un fatto costitutivo della pretesa azionata in giudizio, il cui accertamento, nelle sue componenti materiali (mancata o ritardata prestazione) e giuridiche (imputabilità), sarebbe stato rimesso, nella sua totalità, alla cognizione del giudice, alla stregua di tutto il materiale probatorio acquisito al processo; analogamente, ogni contestazione sollevata dal convenuto in ordine alla sussistenza di tali requisiti avrebbe costituito una mera difesa, siccome diretta a contestare la sussistenza dei fatti allegati e dedotti dall'attore, senza ampliare il thema decidendum ad ulteriori fatti diversi da quelli. Con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto valutare d'ufficio l'esistenza o meno del dedotto inadempimento in tutte le sue componenti, non solo in quella, materiale, del ritardo nella consegna dell'immobile venduto, ma anche in quella, giuridica, dell'imputabilità dell'inadempimento a colpa del debitore e, a tal fine, valutare non solo la difesa dei convenuti, ma altresì il materiale probatorio dagli stessi fornito a sostegno di tale allegazione. In applicazione di tale principio, la Corte d'appello riteneva dimostrata la sussistenza di una causa non imputabile, impeditiva del tempestivo adempimento, attraverso la produzione di un certificato medico attestante la circostanza che, in una data pressoché coincidente con il termine fissato per la consegna dell'immobile, l'alienante fosse affetta da minacce d'aborto e necessitasse pertanto di assoluto riposo, circostanza questa che, secondo i giudici d'appello, avrebbe impedito alla stessa non solo di adoperarsi personalmente nelle operazioni di trasloco (eseguibili anche dal di lei coniuge), ma l'avrebbe altresì costretta ad una condizione di riposo forzato (secondo la prova testimoniale assunta, era costretta a stare a letto, non potendo occuparsi neppure delle ordinarie faccende domestiche) che non le avrebbe consentito, se non a rischio di interrompere la gravidanza, di sostenere gli ovvi disagi connessi al trasferimento di abitazione. La Corte di merito osservava, inoltre, che l'appartamento era stato comunque rilasciato subito dopo il venir meno della situazione di emergenza e che, anche al fine di ridurre i disagi per l'acquirente, pur non essendovi tenuti, i convenuti le avevano messo a disposizione un magazzino ove riporre temporaneamente le proprie suppellettili, mostrando, in tal modo, un comportamento certamente improntato a buona fede.

Avverso questa decisione era proposto ricorso in cassazione, fondato su due motivi.

Con il primo motivo la ricorrente denunciava l'omessa e falsa applicazione dell'art. 167 c.p.c., per avere la Corte d'appello ritenuto che quelle avanzate dalla controparte non fossero eccezioni in senso stretto e, come tali, non fossero soggette alla decadenza prevista dalla citata disposizione processuale. Rilevava, in proposito, che l'incolpevolezza dell'inadempimento avrebbe costituito una causa escludente della responsabilità e, in quanto tale, un elemento impeditivo che sarebbe rientrato nell'alveo dell'eccezione in senso stretto, insieme agli elementi estintivi e modificativi.

Con il secondo motivo la ricorrente deduceva, poi, l'omessa e falsa applicazione degli artt. 1256, 1218, 1175 e 1176 c.c. E tanto perché erroneamente la Corte d'appello avrebbe ritenuto che un impedimento meramente soggettivo, quale quello di specie, consistente nella minaccia di aborto, fosse da solo sufficiente a determinare la non imputabilità dell'inadempimento ad entrambi i debitori. Argomentava, al riguardo, che il giorno in cui la parte aveva avvertito i malori, essendo quello immediatamente antecedente alla data fissata per il trasloco, tutti i beni mobili avrebbero dovuto essere già imballati (cosa che controparte non avrebbe provato), cosicché quel giorno i traslocatori avrebbero dovuto semplicemente spostare tali beni dalla vecchia abitazione, oggetto di compravendita, alla nuova, senza alcuno sforzo a cura dell'alienante, che intanto avrebbe potuto riposare presso l'abitazione della di lei madre. Affermava che, comunque, detto impedimento non avrebbe giustificato in alcun modo l'inadempimento del coniuge coobbligato. Sosteneva la configurabilità, nella specie, di un inadempimento anticipato (anticipatory breach), predicabile, secondo la giurisprudenza (Cass. civ., 21 dicembre 2012, n. 23823), quando il debitore, in violazione dell'obbligo di buona fede, tenga una condotta che renda impossibile o antieconomica la prosecuzione del rapporto.

La questione

Gli aspetti affrontati dalla pronuncia di legittimità in commento riguardano la qualificazione giuridica dell'inadempimento derivante da causa non imputabile, ai fini dell'esonero da responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., quale eccezione in senso lato o mera difesa ovvero quale eccezione in senso stretto. Con le conseguenti ripercussioni in termini processuali che tale qualificazione giuridica determina: ove si tratti di eccezione in senso lato, la parte debitrice non sarebbe infatti tenuta a sollevare la questione entro lo sbarramento preclusivo di cui all'art. 167 c.p.c., ossia con la comparsa di risposta depositata almeno venti giorni prima dell'udienza di prima comparazione e trattazione. Ed inoltre il giudice potrebbe rilevare d'ufficio la circostanza impeditiva.

Le soluzioni giuridiche

In primis, la Corte di legittimità ha rilevato che la memoria pervenuta a mezzo posta dai controricorrenti è irrituale, giusta il consolidato principio di diritto secondo cui l'art. 134, quinto comma, disp. att. c.p.c., a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito delle memorie di cui agli artt. 378, 380-bis, secondo comma, e 380-bis.1 c.p.c., sia perché tale previsione, per la sua natura speciale rispetto alle normali attività di deposito degli atti nel giudizio di cassazione, è da reputarsi insuscettibile di applicazione analogica, sia, gradatamente, perché, essendo il detto deposito diretto esclusivamente ad assicurare al giudice e alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell'atto con il congruo anticipo rispetto alla udienza di discussione e negli altri due casi rispetto all'adunanza camerale della Corte, l'applicazione del citato art. 134 finirebbe con il ridurre, se non con l'annullare detto scopo (Cass. civ., 22 ottobre 2018, n. 26551; e anteriormente Cass. civ., 10 aprile 2018, n. 8835; Cass. civ., 19 aprile 2016, n. 7704; Cass. civ., 4 gennaio 2011, n. 182; Cass. civ., 4 agosto 2006, n. 17726).

Tanto premesso, la Corte di legittimità ha dichiarato la non fondatezza del primo motivo, anche se la motivazione della sentenza impugnata è stata corretta ai sensi dell'art. 384, quarto comma, c.p.c. Sul punto, infatti, la Corte d'appello ha escluso che l'eccezione di non imputabilità dell'inadempimento costituisca eccezione in senso stretto, come tale soggetta alla decadenza prevista dall'art. 167 c.p.c. Ed invero, la Corte di cassazione non ha condiviso la qualificazione di tale deduzione come mera difesa, anziché quale eccezione in senso lato: rilievo, questo, che comunque, ad avviso della Corte, non può condurre a mutare la suesposta conclusione, essendo noto che sia l'una che l'altra non sono soggette alla detta decadenza e sono rilevabili d'ufficio, con il solo limite rappresentato dal necessario riferimento a fatti risultanti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo (Cass. civ., sez. un., 7 maggio 2013, n. 10531; Cass. civ., sez. un., 27 luglio 2005, n. 15661; Cass. civ., sez. un., 25 maggio 2001, n. 226; Cass. civ., 31 ottobre 2018, n. 27998; Cass. civ., 26 febbraio 2014, n. 4548).

Al riguardo, la pronuncia in commento ha evidenziato che le argomentazioni difensive svolte dai convenuti nella propria comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado non si limitavano a negare la sussistenza o la fondatezza dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria, ma vi opponevano un fatto diverso, non compreso tra quelli allegati da controparte a fondamento della propria domanda, bensì dedotto quale causa non imputabile dell'inadempimento ad essi ascritto e, dunque, come fatto impeditivo. Con l'effetto che si trattava non di mere difese ma di eccezioni in senso lato, le quali consistono, secondo la definizione ricavabile dall'art. 2697 c.c., nella allegazione (se fatta dalla parte) o nella rilevazione (se fatta d'ufficio dal giudice) di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio. Come tali, esse sono bensì rilevabili d'ufficio (non trattandosi di eccezioni riservate all'iniziativa della parte per legge o perché corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva: Cass. civ., sez. un. 3 febbraio 1998, n. 1099; Cass. civ., sez. un., 27 luglio 2005, n. 15661) e, pertanto, non soggette alla decadenza prevista dall'art. 167 c.p.c., ma pur sempre in relazione a fatto che, non essendo compreso, neppure implicitamente, negli elementi costitutivi della domanda, deve considerarsi ad esso estraneo e, anzi, contrapposto come fatto impeditivo e, dunque, oggetto (non di mera difesa ma) di eccezione, in senso lato.

Ancora, la Corte di cassazione ha chiarito che l'errore qualificatorio in cui incorrono i giudici del gravame, ancorché ininfluente sulla decisione finale, si coglie già nella premessa, invero nient'affatto chiara e anzi contraddittoria, secondo cui la distribuzione dell'onere della prova non coincide con la distribuzione dell'onere allegatorio. È noto al contrario che, secondo il brocardo latino onus probandi incumbit ei qui dicit, esiste una stretta correlazione logica e concettuale, ma anche di diritto positivo ex art. 2697 c.c., tra onere della prova e onere di allegazione, sia pure per fini che rilevano sul piano della fissazione di una regola finale di giudizio, non già su quello della possibilità o meno, per il giudice, di rilevare fatti del tipo suddetto indipendentemente dall'istanza di parte (Cass. civ., sez. un. n. 1099 del 1998, cit.).

Quindi, sono stati ripercorsi i criteri di riparto degli oneri probatori in materia di inadempimento contrattuale per illustrare e supportare ulteriormente la qualificazione della eccezione di non imputabilità dell'inadempimento come eccezione in senso lato e non come mera difesa. Ebbene, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità - espresso più volte con specifico riferimento al tema della responsabilità medica, ma con argomenti evidentemente trasferibili a quello della responsabilità contrattuale in genere -, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale per l'inesatto adempimento della prestazione oggetto dell'obbligo assunto, il danneggiato deve fornire la prova del contratto, del sorgere o dell'aggravamento del danno e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione della controparte contrattuale, restando a carico di quest'ultima la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. civ., 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. civ., 20 ottobre 2015, n. 21177; Cass. civ., 12 settembre 2013, n. 20904; Cass. civ., 9 ottobre 2012, n. 17143; Cass. civ., 16 gennaio 2009, n. 975). Emergono così e vanno distinti, in ambito di responsabilità contrattuale (proprio a mente del fatto che in essa vengono in rilievo anche le cause estintive dell'obbligazione diverse dall'adempimento, e segnatamente quella rappresentata dalla impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore: artt. 1218 e 1256 c.c.), due «cicli causali»: da un lato, la causalità che lega il fatto/inadempimento all'evento (causalità materiale) e quella che lega l'evento lesivo al consequenziale danno (causalità giuridica); dall'altro, quella concernente la possibilità (rectius: impossibilità) della prestazione. La causalità relativa all'evento e al danno consequenziale è comune ad ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, e caratterizza negli stessi termini, sia in ambito contrattuale che extracontrattuale, gli oneri di allegazione e di prova del danneggiato. Il danno è elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio ed, essendo l'eziologia immanente alla nozione di danno, anche l'eziologia è parte del fatto costitutivo dedotto che l'attore deve provare. Ciò che piuttosto distingue, ai fini in discorso, la responsabilità contrattuale da quella extracontrattuale è l'emergenza, nella prima, di un secondo ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere. Aggiunge la Corte che è però evidentemente interesse e onere della controparte contrattuale, cui sia ascritto l'inadempimento, provare che quest'ultimo, fonte del pregiudizio lamentato dall'attore, è stato determinato da causa non imputabile (in tal senso, Cass. civ., n. 18392/2017, cit., e, da ultimo, sempre in tema di responsabilità medica, Cass. civ., 11 novembre 2019, n. 28991). Pertanto, non rientra affatto nello spettro degli oneri di allegazione e prova della parte, che assuma l'inadempimento contrattuale altrui e deduca di averne ricevuto un danno, anche l'allegazione della inesistenza di una causa non imputabile dell'inadempimento (si tratterebbe, del resto, di un fatto negativo e, correlativamente, di un onere probatorio diabolico); ma è piuttosto interesse e onere del convenuto, cui l'inadempimento sia addebitato, allegare e provare la causa che, inserendosi nel diverso ciclo causale innanzi descritto, possa valere ad escludere la sua responsabilità, alla stregua per l'appunto di fatto impeditivo.

Ciò precisato, la Corte ha nondimeno escluso che si tratti di eccezione in senso stretto. Tale nozione, e la disciplina che essa evoca (artt. 167, 345, 416, 702-bis, 709 c.p.c.), sono riferibili, per ormai consolidata acquisizione, alle sole eccezioni riservate all'iniziativa della parte, per legge o perché corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva (in tal senso, le già sopra citate, Cass. civ., sez. un., n. 1099/1998; Cass. civ., sez. un., n. 15661/2005). La distinzione, più precisamente, risiede in ciò che, mentre, di regola, l'eccezione identifica una particolare difesa consistente nella contrapposizione di fatti ai quali la legge attribuisce immediatamente e direttamente una autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda (eccezione in senso lato), l'eccezione in senso stretto consiste nella contrapposizione di quei fatti che, senza escludere la sussistenza del rapporto implicato dalla domanda, sono tuttavia tali che, in loro presenza, risulti accordato al convenuto e disciplinato dal diritto sostanziale un potere rivolto ad impugnandum jus, ossia una potestà esercitabile al fine di fare venir meno il diritto dell'avversario. In questi casi il legislatore costruisce la fattispecie in modo tale che la presenza di determinate circostanze non ha una autonoma efficacia produttiva della nuova situazione sostanziale, ma la consegue solo per il tramite di una manifestazione di volontà dell'interessato, che - da sola o, a seconda delle ipotesi, previo accertamento giurisdizionale dell'avvenuta costituzione della fattispecie medesima - si inserisce all'interno di questa. Per conseguire il risultato difensivo, non basta qui l'allegazione del fatto, ma occorre che l'interessato scelga se conservare la situazione giuridica esistente ovvero ottenere che, secondo la norma di previsione, si produca quella nuova: ciò che, in ipotesi affermativa, postula il compimento di un apposito atto di manifestazione di volontà in tale senso, non diversamente da quanto accadrebbe qualora la parte, in luogo dell'esercizio in via di eccezione della potestà conferitagli dalla legge, vi provvedesse in via di azione. Tanto si verifica con riguardo a tipiche azioni costitutive: si vedano ad esempio gli artt. 1442, ultimo comma, e 1449, secondo comma, c.c., ove si prevede la facoltà del convenuto di proporre, rispettivamente, un'eccezione di annullamento e di rescissione del contratto. Ed è opinione diffusa in dottrina che analoga situazione sia configurabile con riguardo ad eccezioni di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità; di revocatoria; di riduzione di disposizioni testamentarie (così Cass. civ., sez. un., n. 1099/1998, cit.). Ebbene la causa non imputabile dell'inadempimento non rientra in tale categoria, non essendo la sua contrapposizione all'inadempimento (dedotto quale fatto costitutivo della domanda) riservata per legge alla parte, né potendo essa ritenersi coordinata con un'azione costitutiva. Costituisce piuttosto un fatto di per sé idoneo a impedire il sorgere del diritto fondato sull'inadempimento, escludendone l'imputabilità, indipendentemente da un apposito atto di manifestazione di volontà in tal senso; come tale, essa è rilevabile d'ufficio (allo stesso modo di come lo sarebbe un fatto estintivo, quale, ad esempio, il pagamento), ove risultante ex actis.

Il secondo motivo è stato, invece, dichiarato inammissibile.

Osservazioni

L'ordinanza in commento afferma il principio secondo cui l'eccezione di non imputabilità dell'inadempimento costituisce non mera difesa, ma eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio e, quindi, non soggetta alla decadenza ex art. 167 c.p.c., sempre che il fatto emerga dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo, atteso che consiste nell'allegazione non riservata all'iniziativa della parte - per legge o perché collegata alla titolarità di un'azione costitutiva - di un fatto diverso, non compreso tra quelli dedotti dalla controparte e dotato normativamente di idoneità impeditiva, in via immediata e diretta, del diritto azionato in giudizio.

In primo luogo, la Corte ha rilevato che il termine a cui si riferisce il deposito delle memorie illustrative nel giudizio di cassazione, siano esse strumentali all'udienza pubblica piuttosto che all'adunanza camerale, è un termine netto concesso alla difesa della controparte (oltre che a vantaggio della conoscenza del giudice), cosicché non può, rispetto a tali memorie, valere il principio della tempestività dell'invio per effetto della spedizione a mezzo posta nei termini di legge. Ciò che conta è la pienezza dei tempi di disponibilità della memoria affinché la controparte (e il giudice) possa prendere atto delle relative argomentazioni. Cosicché non basta che la memoria sia spedita nei termini, ma è necessario che pervenga a destinazione entro i termini di legge.

Nel merito, la Corte ha confermato la discriminazione tra eccezioni in senso stretto, mere difese ed eccezioni in senso lato, già consolidata nella giurisprudenza di legittimità. Nel processo civile, le eccezioni in senso lato consistono nell'allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio ai sensi dell'art. 2697 c.c., con cui sono opposti nuovi fatti o temi di indagine non compresi fra quelli indicati dall'attore e non risultanti dagli atti di causa. Esse si differenziano dalle mere difese, che si limitano a negare la sussistenza o la fondatezza della pretesa avversaria, sono rilevabili d'ufficio - non essendo riservate alla parte per espressa previsione di legge o perché corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva - e sono sottratte al divieto stabilito dall'art. 345, secondo comma, c.p.c., sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo e anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (da ultimo, Cass. civ., ord., 6 maggio 2020, n. 8525).

In relazione all'opzione difensiva del convenuto, consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione. Infatti, mentre il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto, soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), il secondo spetta alla parte (ed è soggetto, perciò, alle preclusioni stabilite per le attività di parte) solo qualora la manifestazione della sua volontà sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nell'ipotesi di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente indichino come indispensabile l'iniziativa di parte; in ogni altro caso, si deve ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze imposte, atteso che il generale potere-dovere di rilievo d'ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce semplicemente nell'attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, purché la richiesta della parte non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo, però, in entrambe le situazioni necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati (Cass. civ., ord., 26 luglio 2019, n. 20317; Cass. civ., ord., 29 ottobre 2018, n. 27405; Cass. civ., 20 maggio 2010, n. 12353).

Sulla scorta di queste premesse sistematiche, la Corte ha qualificato la deduzione del convenuto circa la non imputabilità dell'inadempimento allegato dal creditore come eccezione in senso lato: essa postula la ricorrenza di un fatto impeditivo della pretesa avversaria, che opera ex lege per il fatto della sua deduzione e dimostrazione. Ossia non vi è bisogno di una specifica e corrispondente manifestazione di volontà del debitore convenuto affinché la dedotta impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile operi come ragione inibitoria della pretesa avversaria. Con la conseguenza che la parte debitrice può allegare la non imputabilità anche oltre il maturarsi della barriera preclusiva di cui all'art. 167 c.p.c. e il giudice può rilevarla d'ufficio ove dalle emergenze processuali risulti siffatta non imputabilità. Pur trattandosi di un fatto impeditivo della pretesa risarcitoria reclamata dal creditore, non è richiesto l'esercizio di uno specifico diritto potestativo volto a farne valere la portata paralizzatrice, ma dalla sua emersione discende, per effetto dell'art. 1218 c.c., l'inibizione della domanda avversaria: ed infatti, già sul piano strutturale e funzionale, è dato evincere dal dettato della disposizione sulla responsabilità del debitore che, pur incombendo su quest'ultimo l'onere della allegazione e prova dell'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, quale causa dell'inadempimento, tale onere può essere assolto anche oltre le preclusioni per la proposizione delle eccezioni in senso stretto e al giudice è concesso di rilevare d'ufficio l'integrazione di tale giustificante dell'inadempimento.

Riferimenti

In dottrina sul tema della distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato:

  • D. Buoncristiani, Quaestio facti e quaestio iuris: il profilo statico e il profilo dinamico dell'allegazione dei fatti, in Riv. dir. proc., 2020, 2, 820;
  • A. Carosi, Il principio della non contestazione ad oltre un decennio dalla novella dell'art. 115, comma 1, c.p.c., in Il Processo, 2020, 2, 554;
  • E. Merlin, Eccezioni rilevabili d'ufficio e sistema delle preclusioni in appello, in Riv. dir. proc., 2015, 2, 299;
  • G.F. Ricci, Questioni controverse in tema di onere della prova, in Riv. dir. proc., 2014, 2, 321.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.