Le modalità di determinazione dei compensi degli avvocati devono essere individuabili e controllabili

03 Giugno 2021

Nel determinare il compenso dell'avvocato bisogna tenere conto del valore, della natura e della complessità della controversia, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche all'esito di riunione delle cause, dell'eventuale urgenza della prestazione, nonché del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.
Massima

La liquidazione giudiziale del compenso spettante ad un avvocato, da effettuarsi alla stregua dei parametri sanciti dal D.m. 140/2012, ed in relazione all'attività professionale da lui svolta, nell'interesse del proprio cliente, in una controversia di valore superiore ad Euro 1.500.000,00, postula che l'operato del giudice, ai sensi dell'art. 11, comma 9, del D.m. predetto, consenta di individuare le modalità di determinazione del concreto importo originario - ricompreso tra quelli minimo, medio e massimo, riferiti, di regola, allo scaglione precedente (fino ad Euro 1.500.000,00) - successivamente da incrementarsi, specificandosene il criterio concretamente adottato, in funzione dell'effettivo valore della controversia, della natura e complessità della stessa, del numero e dell'importanza e complessità delle questioni trattate, nonché del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.

Il caso

La decisione in esame trae origine dalla seguente vicenda: veniva proposta impugnazione ex art. 98, comma 3, l. fall., avverso l'ammissione al passivo in prededuzione del credito dell'avvocato. Il Tribunale accoglieva l'impugnazione, per cui revocava la detta ammissione.

Il Tribunale, considerata tempestiva detta impugnazione, anche se la documentazione era stata depositata in forma soltanto cartacea, aveva ritenuto:

i) incontroverso che l'avvocato avesse prestato la propria attività legale a favore della società, sia nella fase stragiudiziale, precedente l'apertura del giudizio per l'ammissione di quella società alla procedura di concordato preventivo, sia nella fase giudiziale;

ii) che, nella fase stragiudiziale l'avvocato aveva prestato la propria attività sulla base della lettera di incarico che gli aveva affidato la sola «consulenza legale» all'interno della più ampia operazione di ristrutturazione aziendale «già stata affidata ad un altro professionista»;

iii) che, per lo svolgimento di queste attività, l'avvocato aveva incassato due acconti: uno per consulenza al piano di ristrutturazione e l'altro per assistenza alla procedura di concordato preventivo svoltasi davanti al tribunale;

iv) che, al fine della determinazione del compenso dovutogli per la fase giudiziale, al netto dell'acconto già incassato, in assenza di un accordo tra le parti ai sensi e per gli effetti dell'art. 2233 c.c., dovevano utilizzarsi i parametri di avvocato di cui agli artt. 2 e ss. del D.M. n. 140/2012, vigenti al momento della domanda di ammissione allo stato passivo del fallimento della s.r.l., dovendosi, pertanto, disattendere la decisione del giudice delegato di applicare, in via analogica, le tariffe professionali dei dottori commercialisti;

v) che, tenuto conto di quanto già ricevuto come acconto, nulla poteva più pretendere l'avvocato, avendo già percepito compensi esaustivi delle sue spettanze.

Avverso il descritto decreto del Tribunale, l'avvocato proponeva ricorso per cassazione, dolendosi del fatto che: 1) il Tribunale aveva assegnato alla parte un termine per integrare la documentazione attestante la tempestività del ricorso; 2) i documenti erano stati depositati in forma cartacea, malgrado il divieto stabilito dalla normativa che avrebbe imposto il solo deposito telematico; 3) il Tribunale aveva totalmente omesso di motivare su di un punto fondamentale della controversia, ossia sul disposto aumento del 60% dei compensi medi previsti dalla tabella A del D.M. n. 140 del 2012, per le controversie di valore fino ad Euro 1.500.000,00; 4) il compenso dovuto era stato erroneamente parametrato dal Tribunale all'attività giudiziale espletata nei «procedimenti cautelari o speciali o non contenziosi» di cui all'art. 7, del D.m. 140/2012, anziché all'attività di «assistenza in procedure concorsuali» di cui all'art. 27, del predetto decreto; 5) malgrado il valore della controversia fosse stato stabilito in Euro 5.188.000,00, il compenso invocato dall'avvocato, calcolato sullo scaglione di riferimento delle liti fino ad Euro 1.500.000,00, potesse essere aumentato solo nella misura massima del 60% dei suoi valori medi ai sensi dell'art. 11, del medesimo D.m.; 6) non erano stati applicati i parametri forensi dettati dal D.m. 55/2014, malgrado la liquidazione del compenso in questione fosse avvenuta dopo la sua entrata in vigore.

La questione

Nel caso di specie alla Corte sono sottoposte diverse questioni, in particolare:

- se il deposito cartaceo della documentazione in luogo di quello telematico dia luogo a nullità piuttosto che a mera irregolarità;

- a quali parametri occorre far riferimento per determinare il compenso spettante all'avvocato che ha svolto la propria attività professionale sia nella fase stragiudiziale che in quella giudiziale.

Le soluzioni giuridiche

La Prima sezione della Cassazione, con la sentenza in commento, ha dichiarato fondati alcuni dei motivi indicati, per cui ha accolto il ricorso rinviando la causa al Tribunale, in diversa composizione, per un nuovo esame in merito alla regolamentazione delle spese, asserendo che l'iter procedimentale e motivazionale complessivamente seguito dal Tribunale per la quantificazione del compenso liquidato all'avvocato per l'attività professionale giudiziale di cui si discute non poteva essere condiviso.

Osservazioni

La Corte ribadisce alcuni principi già consolidati all'interno della giurisprudenza della Corte stessa. In particolare, in merito al primo motivo di impugnazione, relativo all'assegnazione alla parte di un termine per depositare la documentazione attestante la tempestività del ricorso, si sottolinea che la verifica della tempestività dell'opposizione allo stato passivo è questione rilevabile d'ufficio, indipendentemente dall'eccezione di parte e dalla eventuale contumacia del curatore, ed è, pertanto, dovere del giudice controllare la data di ricezione dell'avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione dello stato passivo allegata al fascicolo fallimentare o al ricorso in opposizione (cfr. Cass. civ., 1 dicembre 2016, n. 24551).

Per tale motivo, la parte impugnante non era incorsa in alcuna decadenza anche se il giudice di merito, anziché acquisire il fascicolo fallimentare, aveva assegnato alla parte ricorrente, la quale non aveva in precedenza fornito tale prova, un termine per produrre la documentazione attestante la tempestività del deposito del ricorso, dato che tale produzione doveva considerarsi comunque riconducibile all'esercizio del potere officioso del giudice.

Il secondo motivo ha portato la Corte ad affrontare ancora una volta la questione relativa alle conseguenze derivanti dalla violazione dell'obbligatorietà del deposito telematico della documentazione richiesta. In più occasioni, infatti, questa Corte ha ribadito che il deposito cartaceo in luogo di quello telematico non dà luogo ad una nullità, ma ad una mera irregolarità, essendo stato comunque raggiunto lo scopo della presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti (cfr. Cass. civ., 10 luglio 2019, n. 18535; Cass. civ., 22 giugno 2020, n. 12171; Cass. civ., 26 novembre 2020, n. 26889). Pertanto, anche nel caso di specie trova applicazione il principio del raggiungimento dello scopo, atteso che la documentazione prodotta in giudizio dal creditore impugnante, pur depositata in forma cartacea e non telematica, era stata portata a conoscenza della controparte e del giudice, che aveva così potuto verificare la tempestività del deposito del ricorso.

La Corte successivamente ha affrontato la questione relativa ai parametri da utilizzare per determinare il compenso spettante all'avvocato.

In particolare, la Corte ha precisato che nel caso di specie il compenso dell'avvocato non doveva essere parametrato all'attività di assistenza nelle procedure concorsuali di cui all'art. 27 del D.m. 140/2012.

Infatti, l'art. 27 si riferisce alla generica attività di assistenza in procedure concorsuali, vale a dire a quella attività che la norma individua nell'esecuzione di incarichi di complessiva assistenza al debitore nel periodo preconcorsuale (e nel corso di una procedura di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione di debiti e di amministrazione straordinaria). Incarichi che, per non essere individuati in relazione a profili specifici, postulano che il compenso debba essere determinato «in funzione del totale delle passività», così da risultare liquidabile, «di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 9 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili» (cfr. Cass. civ., 27 giugno 2018, n. 16934). Ne consegue l'impossibilità di utilizzare analogicamente il menzionato art. 27, dettato per la liquidazione del compenso ai dottori commercialisti, per la quantificazione del compenso per la diversa ed affatto specifica attività (nella specie esclusivamente la redazione del ricorso l. Fall., ex art. 161, comma 6, e la partecipazione agli atti del conseguente procedimento) espletata da un avvocato in sede giudiziale.

Né potevano trovare applicazione i parametri introdotti dal D.m. 55/2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata (cfr. Cass. civ., 10 dicembre 2018, n. 31884; Cass. civ., 19 ottobre 2016, n. 21205). Nel caso in esame, infatti, la prestazione professionale si era conclusa anteriormente al marzo 2014, prima, dunque, della entrata in vigore del citato D.m. 55/2014.

Pur tenendo conto di quanto poc'anzi osservato e, quindi, dell'infondatezza dei motivi di impugnazione finora esaminati, la Corte ha ritenuto non condivisibile l'iter procedimentale e motivazionale seguito dal Tribunale nel determinare il compenso spettante all'avvocato.

Il Tribunale, infatti, premettendo che il valore della controversia andava «ben oltre il valore massimo» preso in considerazione dall'ultimo scaglione di riferimento previsto dal D.m. 140/2012 e senza nulla puntualizzare, come, invece, avrebbe dovuto, in virtù del combinato disposto dell'art. 11, comma 9, e dell'art. 4, del D.m. 140/2012, quanto alla natura ed alla complessità della controversia, oppure al numero ed all'importanza delle questioni trattate dal professionista, nonché al pregio dell'opera prestata, ha quantificato il compenso riconosciuto a quest'ultimo procedendo alla mera maggiorazione del 60% degli importi medi previsti.

In assenza di un preventivo accordo tra le parti, l'adito Tribunale avrebbe invece dovuto fare applicazione (ratione temporis) dei parametri indicati dal D.m. 140/2012, secondo cui bisogna tenere conto del valore della controversia, della natura e della complessità della controversia, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche all'esito di riunione delle cause, dell'eventuale urgenza della prestazione, nonché del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.

Sebbene l'esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto al sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla forcella di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (cfr. Cass. civ., 10 maggio 2019, n. 12537).

Nel caso in esame, il giudice ha preso le mosse dallo scaglione delle controversie di valore fino ad Euro 1.500.000,00, come gli imponeva la prima parte dell'art. 11, comma 9, del citato D.m. 140/2012, prediligendo i valori medi ivi previsti, senza minimamente chiarire, però, se ciò era stato dovuto al fatto che, così facendo, aveva voluto considerare, seppure implicitamente, la notevole differenza tra il valore delle controversie di quello scaglione e quello, superiore a quest'ultimo, della lite patrocinata dall'avvocato. Successivamente, su quei valori medi, ha applicato una maggiorazione del 60% degli importi previsti, ancora una volta però, omettendo di specificare se quel coefficiente di maggiorazione fosse stato considerato come limite massimo invalicabile dettato dal menzionato D.M. per qualsiasi procedimento, a prescindere dal suo valore, oppure se, fermo restando che non esisterebbe alcun limite invalicabile, quel coefficiente fosse stato ritenuto congruo in relazione al valore dello specifico procedimento, della sua complessità e di tutti gli altri elementi indicati dall'art. 4, commi 2 - 5, del D.m. medesimo.

Non può, dunque, ritenersi rispettato il percorso procedimentale complessivamente descritto dall'art. 11, comma 9, del D.m. predetto, che, invece, imponeva al Tribunale di giustificare compiutamente le modalità di determinazione del concreto importo originario ricompreso tra quelli minimo, medio e massimo, riferiti, di regola, allo scaglione precedente (fino ad Euro 1.500.000,00) successivamente da incrementarsi, specificandosene il criterio concretamente adottato, in funzione dell'effettivo valore della controversia, della natura e complessità della stessa, del numero e dell'importanza e complessitàdelle questioni trattate, nonché del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.

Appare evidente ad avviso della S.C. che le affermazioni del giudice non permettono di individuare, con la necessaria chiarezza, la giustificazione del decisum: esse, infatti, sarebbero parimenti utilizzabili in presenza di una controversia rientrante tra quelle di valore fino ad Euro 1.500.000,00, così giungendo, affatto immotivatamente, a trattare allo stesso modo fattispecie evidentemente diverse.

Nel momento in cui il giudice esercita il suo potere discrezionale, potendo scegliere di diminuire oppure aumentare l'importo indicato dalla normativa sulla base dei differenti criteri previsti, l'iter motivazionale seguito diventa di fondamentale importanza per consentire alla parte di controllare l'operato del giudice e giustificare, ovvero accettare e comprendere la sua decisione.

Riferimenti
  • Carbone, La parcella dell'avvocato: i parametri ministeriali, in Foro it., V, 2012;
  • Fornaciari, Il compenso dell'avvocato nel passaggio dalle tariffe ai parametri: le prestazioni in corso al momento della riforma, in www.judicium.it;
  • Scarselli, La liquidazione dei compensi forensi nel tempo della crisi, in Foro it., V, 2012;
  • Vaccari, Una panoramica delle novità riguardanti la professione di avvocato civilista dopo l'entrata in vigore del regolamento sui parametri, in www.judicium.it.

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