Responsabilità medica: se il fatto-reato non lede l'integrità psicofisica, vi può essere diritto al danno non patrimoniale?

03 Giugno 2021

Il medico che commette reato di rifiuto di atti d'ufficio (art. 328, comma 1, c.p.) può essere tenuto a risarcire il danno non patrimoniale? Spetta il risarcimento del danno non patrimoniale in presenza di un fatto-reato che tutela un bene giuridico diverso dall'integrità psicofisica, scindendo così le figure di «persona offesa» e «danneggiato» dal reato? La Cassazione (ord. n. 14453/21, depositata il 26 maggio) conferma la distinzione tecnica tra «persona offesa» e «danneggiato» dal reato, ma non esclude la responsabilità civile del medico.

Un uomo chiede il risarcimento del danno morale alla guardia medica che rifiutò la richiesta di visita domiciliare, nonostante i riferiti sintomi di un malore, che successivamente risultò un infarto al miocardio risoltosi positivamente.

Il Tribunale accolse la domanda, liquidando in via equitativa 20 mila euro a titolo di danno morale.

La Corte di appello riformò la decisione, rigettando la domanda risarcitoria: la condotta omissiva del medico integra i presupposti del reato di rifiuto di atti d'ufficio e non ha leso l'integrità psicofisica dell'attore. L'oggetto giuridico tutelato è soltanto il normale e tempestivo funzionamento della P.A. e non anche il diverso bene giuridico costituito dall'integrità psicofisica della persona: il malato non è la persona offesa. Dunque non è possibile configurare un danno non patrimoniale eziologicamente legato alla condotta del medico.

La Suprema Corte cassa con rinvio la decisione impugnata su due piani:

1. tecnicamente è vero che il malato non è persona offesa dal reato di rifiuto di atti d'ufficio, però è errato ai fini risarcitori. Occorre distinguere il soggetto titolare del bene giuridico protetto (la persona offesa; nel rifiuto di atti d'ufficio è la P.A., il cui normale e tempestivo funzionamento viene tutelato dalla norma penale) dal soggetto danneggiato (ogni soggetto che dal reato abbia subito un danno).

L'individuazione della persona offesa non esaurisce ogni possibile danneggiato civile dal reato, che deve essere accertato con riferimento al caso concreto (Cass. civ., sez. III, 23 aprile 1999, n. 4040).

Tale conclusione poggia su due dati positivi: l'art. 185, comma 2, c.p. prevede che “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole (…)” e non delimita il novero dei soggetti danneggiati risarcibili; l'art. 74 c.p.p. riconosce una legittimazione ampia per l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'art. 185 c.p., potendo essere esercitata dal soggetto al quale il reato ha recato danno (non, quindi, solo dalla persona offesa).

Pertanto anche colui che non sia persona offesa, ma è stato danneggiato dal reato, può chiedere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali.

2. La Cassazione sottolinea che il danno non patrimoniale è risarcibile, nel caso concreto, quando il fatto illecito è astrattamente configurabile come reato: in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale.

Non si può negare a priori la risarcibilità del danno non patrimoniale da reato solo perchè non ha leso l'integrità psicofisica, ma occorre valutare se comunque abbia leso interessi della persona tutelati dall'ordinamento diversi da quello alla salute, ancorché privi di rilevanza costituzionale (come il corretto adempimento dei compiti istituzionali affidati al funzionario pubblico ove posti a diretto servizio dell'utenza).

La Cassazione ricorda, infine, che è imprescindibile dimostrare il nesso di causa tra l'evento di danno e il fatto illecito e che il danno non patrimoniale non è in re ipsa.

Questo tipo di prova è fondamentale; probabilmente la sentenza cassata aveva valorizzato la distinzione tra persona offesa e danneggiato proprio per affermare il difetto di prova di nesso causale.

La decisione offre l'occasione per ricordare che la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscono effetti normali dell'illecito secondo il criterio della c.d. regolarità causale (Cass. pen., sez. II, 14 maggio 2010, n. 23046; Trib. Treviso, 12 dicembre 2020, in De iure, per cui è ammissibile la costituzione di parte civile di colui che si affermi danneggiato anche per quelle tipologie di reato che individuano come persona offesa unicamente i titolari del bene giuridico pubblicistico protetto in via immediata dalla norma incriminatrice).

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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