Oggetto del contratto di acquisizione di partecipazioni sociali, natura giuridica delle clausole di garanzia e “sole remedy clause”

Marco Pellegrino
04 Giugno 2021

Il Tribunale di Milano, con una recente pronuncia ha ribadito il proprio consolidato orientamento in esito al quale la cessione delle partecipazioni in una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale, e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio che tale partecipazione rappresenta.
Premessa

Il Tribunale di Milano, con una recente pronuncia (Trib. Milano, 29 settembre 2020, n. 5765 commentata su questo portale con nota di F. Piccione, Compravendita di partecipazioni societarie e consistenza patrimoniale della target) ha ribadito il proprio consolidato orientamento in esito al quale la cessione delle partecipazioni in una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale, e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio che tale partecipazione rappresenta. Da ciò discende, pertanto, che le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta, solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali.

Il Tribunale, inoltre, ha aggiunto che se le clausole del contratto di cessione prevedono, come rimedio nel caso di violazione delle garanzie fornite il pagamento di un indennizzo, e non la risoluzione del contratto, tale domanda è improponibile.

Breve riepilogo della vicenda ed individuazione dei temi di indagine

Il provvedimento in esame offre interessanti spunti di riflessione per riepilogare i principali interventi giurisprudenziali su alcuni temi dibattuti dei contratti di compravendita di partecipazioni sociali: l'oggetto del contratto, l'applicabilità dell'art. 1495 c.c. alle garanzie contrattuali e la natura giuridica delle stesse.

La vicenda concreta che ha dato origine alla decisione non è certamente infrequente, e presenta dei connotati ricorrenti nelle fattispecie sottoposte al vaglio delle corti: due soci di una società a responsabilità limitata si impegnavano a cedere una quota pari al 49 % del capitale sociale della società partecipata. Il contratto preliminare veniva siglato in data 19 ottobre 2011 e prevedeva, tra l'altro, il rilascio di dichiarazioni e garanzie da parte dei promittenti venditori sulla situazione patrimoniale ed economica della società, e tale previsione era completata da una clausola disciplinante le obbligazioni a carico dell'alienante in caso di violazione delle stesse (veniva previsto il pagamento di un indennizzo ed un termine di decadenza).

Tali clausole venivano riprodotte nel contratto definitivo, donde parte attrice ne postulava l'ultrattività (c.d. clausola bring down). Il contratto di cessione veniva concluso il successivo 27 settembre 2012 e, nel frattempo, la parte promissaria acquirente non solo era stata posta in condizione di svolgere un'accurata istruttoria sulla società (c.d. due diligence) ma anche di partecipare alla gestione della stessa, o comunque di monitorare l'andamento dell'attività sociale attraverso la nomina di professionisti di fiducia in alcune aree.

Stante la ricostruzione della vicenda operata dal provvedimento in esame, ove si reca che il prezzo di cessione veniva determinato sull'assunto che le dichiarazioni e garanzie rilasciate dalla parte venditrice fossero veritiere, ed avuto riguardo ai criteri convenuti per la quantificazione dell'indennizzo (calcolato ragguagliando proporzionalmente l'ammontare della sopravvenienza/sopravvivenza passiva o dell'insussistenza dell'attivo alla percentuale della partecipazione promessa in vendita pari, come detto al 49 % del capitale sociale) si può presumere che il prezzo della cessione sia stato determinato sin dall'origine in un importo fisso ed immutabile (c.d locked box), ed avuto riguardo a valori risultanti da una situazione patrimoniale di riferimento anteriore alla sottoscrizione del contratto preliminare

Poco dopo la stipula del definitivo ed il trasferimento delle partecipazioni, la società target veniva dichiarata fallita sulla scorta di uno stato di crisi (recte: insolvenza) avente radice causale in epoca anteriore all'acquisizione. Il cessionario, che vedeva in tal modo disattese le aspettative economiche collegate all'operazione, articolava, declinandole in via graduata, una serie di domande attingendo dall'ampia gamma degli strumenti di tutela contrattuale offerti dal diritto comune dei contratti.

La struttura del contratto di acquisizione di partecipazioni societarie

Prima di focalizzare l'attenzione sulla disciplina degli aspetti patologici del rapporto, può essere utile ricapitolare per sommi capi la struttura tipica (anzi: socialmente tipica) del contratto di cessione di partecipazioni sociali.

La prassi applicativa, attingendo dalle esperienze straniere, specialmente angloamericane (tanto da guadagnare tali contratti l'appellativo di “contratti alieni”, De Nova, Il contratto alieno, Torino, 2010) ha sviluppato un'attitudine redazionale caratterizzata dalla regolamentazione capillare di ogni aspetto della vicenda negoziale, aspirando ad essere i contratti in questione, almeno nelle intenzioni dei redattori, esaustivi ed autosufficienti, e ciò al fine di prevenire ogni incertezza applicativa che potrebbe sorgere in sede contenziosa. Tale tendenza non è dovuta ad una mera sudditanza culturale verso le esperienze straniere, ma trova una spiegazione molto più pragmatica nella mancanza di una disciplina legale puntuale, malgrado si tratti di operazioni contrattuali particolarmente rilevanti sul piano economico (soprattutto se aventi ad oggetto l'acquisizione di partecipazioni implicanti il controllo della società target).

Oltre agli elementi essenziali dell'accordo quali le parti, il prezzo, la quantità e la tipologia delle partecipazioni compravendute (la categoria o le categorie di azioni), la prassi redazionale ha elaborato un ampio spettro di pattuizioni accessorie.

Tra queste spiccano, per la loro diffusione, la procedimentalizzazione di ogni attività negoziale (l'esecuzione di impegni preliminari, adempimenti successivi al closing…) la disciplina delle tempistiche relative al pagamento del prezzo ed alle modalità di determinazione del corrispettivo, l'esercizio dei diritti amministrativi correlati alla partecipazione compravenduta, la regolamentazione delle attività precluse al venditore (non solo, tipicamente, obblighi di non concorrenza, ma anche divieto di compiere specifici atti negoziali da parte della società o da parte dei soci cedenti, ovvero di assumere determinate delibere o decisioni da parte degli organi della società) in quanto potenzialmente idonee a creare pregiudizio in capo all'acquirente ovvero implicanti l'estrazione di attivi dalla società (c.d. leakage), la disciplina della gestione nel periodo interinale (tra il c.d. signing ed il closing), la previsione di regole in caso di insorgenza di conflitti (legge applicabile, foro o giurisdizione competente e, spesso, la lingua della procedura arbitrale), la previsione di meccanismi, anche attraverso articolati patti parasociali, che possano agevolare il passaggio del controllo societario (laddove la cessione abbia ad oggetto un “pacchetto di maggioranza”).

Si tratta di contratti redatti in modo molto dettagliato che, tendenzialmente, non hanno la necessità di essere integrati al verificarsi di situazioni di disallineamento rispetto alle previsioni originarie.

Normalmente il contratto di cessione di partecipazioni sociali è corredato da un “set” completo di garanzie che sono assolutamente centrali nell'economia dell'affare.

In estrema sintesi, le garanzie si possono raggruppare in due categorie: quelle direttamente concernenti la partecipazione oggetto del trasferimento (c.d. legal warranties) ed attraverso le quali il cedente garantisce, per fare alcuni esempi, che la partecipazione è di sua proprietà, che è stata liberata, che ne può disporre perché è liberamente trasferibile (infatti sono frequenti le clausole di gradimento e/o di prelazione anche nelle strutture corporative più complesse) ovvero perché sono stati rimossi i limiti statutari alla circolazione. Si può garantire, inoltre, che non sussistono vincoli (pegno, usufrutto) e che le partecipazioni presentano date caratteristiche (per esempio, che rappresentano una specifica frazione del capitale sociale – partecipazione di maggioranza oppure di minoranza che permette di raggiungere quorum deliberativi minimi per l'esercizio di diritti amministrativi e di voice- che appartengono ad una specifica categoria di azioni, ovvero che le quote sono dotate di particolari diritti).

Il cedente può anche assumere ulteriori garanzie in ordine alla consistenza quantitativa e qualitativa del patrimonio sociale ed alle prospettive reddituali della società (c.d. business warranties).

Le c.d. business warranties rivestono una posizione di rilievo nel contesto dei contratti di acquisizione di partecipazioni sociali (Cova, Le dichiarazioni e garanzie, in I contratti di acquisizione di società ed aziende, Milano, 2007, a cura di Draetta e Monesi). Tali garanzie sono volte a salvaguardare l'acquirente da eventuali differenze negative, determinate da minusvalenze attive o sopravvenienze passive rispetto ad una situazione patrimoniale di riferimento (usualmente garanzie in relazione all'effettiva consistenza di specifiche poste attive, all'inesistenza di passività ulteriori rispetto a quelle contabilizzate, alla corretta valutazione, in base ai principi contabili generalmente applicati, delle poste di bilancio) ovvero possono riguardare la compliance (dichiarazioni di conformità alla normativa ambientale, antitrust…). Le possibili declinazioni negoziali sono innumerevoli e dipendono dalle caratteristiche della società, dal tipo di attività esercitata e, ovviamente, dal contesto del mercato di riferimento (Speranzin, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, 2006; Aa. Vv. Le acquisizioni societarie, diretto da Irrera, Bologna, 2011, ed ivi i contributi di Montalenti, Le acquisizioni societarie tra astrattezza del titolo e patrimonio di riferimento, e di Speranzin, Le clausole relative all'oggetto “indiretto” (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche; Trimarchi, Le garanzie contrattuali nell'acquisto di partecipazioni sociali, in Giur. comm. 2016, 5; Tina, La natura giuridica delle clausole di garanzia nel trasferimento di partecipazioni societarie, in Giur. comm., 2012, 1008).

Alle clausole prevedenti le garanzie normalmente si associano quelle regolanti l'obbligo di indennizzo. Vengono accuratamente stabiliti i criteri di determinazione dello stesso, e le possibili opzioni negoziali possono prevedere il pagamento di una somma predetermina e parametrata al prezzo di acquisto (per esempio un indennizzo euro su euro oppure determinato attraverso l'applicazione di multipli) ovvero l'aggiustamento del prezzo ed anche, in tutti i casi in cui il contratto ha ad oggetto un'acquisizione non totalitaria, l'aggiustamento delle azioni (forme di indennizzo in azioni: si prevede, per esempio che, a valere sullo stesso aumento di capitale sia emesso un numero ulteriore di azioni in favore dell'acquirente e, secondo le tecniche più evolute, l'operazione viene agevolata attraverso la previsione dell'emissione di azioni senza valore nominale). Viene altresì dettagliata la procedura di attivazione dell'indennizzo (vengono precisate le decadenze, la durata delle garanzie, i tetti massimi e clausole de minimis) e non è raro che venga stabilita la compensazione delle plusvalenze passive con fondi rischi o svalutazioni specifiche.

L'oggetto del contratto e la disciplina applicabile alle clausole di garanzia

Secondo il prevalente (e pressochè incontrastato) orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 13 febbraio 2020, n. 3658; Cass. 13 marzo 2019, n. 7183, su questo portale; Cass. 3 maggio 2010, n. 19648; Cass. 12 giugno 2008, n. 15706, in Giur. it., 2008, 2766; Cass. 19 luglio 2007, n. 16031 in Giur. comm., 2008, 103; Cass. 13 dicembre 2006, n. 26690 in Giur. comm., 2008, 948; Cass. 14 luglio 2004, n. 13075, in Giur. it., 2005, 519; Cass. 23 luglio 1998, n. 7209, in Giur. it., 1998, 2327; Cass. 20 marzo 1997, n. 2465, in Società, 1997, 1137; Cass. 28 marzo 1996, n. 2843, in Giur. comm., 1998, 362; Cass. 21 giugno 1996, n. 5773 in Banca borsa tit. cred., 1997, 18; Cass. 29 agosto 1995, n. 9067 in Banca borsa tit. cred., 1997, 18;) e di merito (ex multis Trib. Milano 17 maggio 2016; Trib. Roma 28 settembre 2015, in Giur. comm., 2017, 400; Trib. Milano 2 novembre 2004, in Giur. it., 2005, 528; Trib. Napoli 11 marzo 2002, in Società, 2003, 81; App. Roma, 29 maggio 2001, in Arch. civ., 2002, 582) il contratto di compravendita di azioni o quote di società a responsabilità limitata ha quale oggetto immediato la partecipazione stessa, e solo quale oggetto mediato il patrimonio sociale che l'azione o la quota proporzionalmente rappresentano. Il patrimonio sociale, benchè rivesta un ruolo centrale nell'economia dell'affare e fattore determinante del prezzo (sulla determinazione del prezzo nel contratto di acquisizione: Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007; Piccone e Belloni, Clausole di determinazione e aggiustamento del prezzo in I contratti di acquisizione di società ed aziende, Milano, 2007 a cura di Draetta e Monesi) non rappresenta l'oggetto del contratto, ma attiene alla sfera delle valutazioni motivazionali e di convenienza economica dell'affare. Da tale configurazione discende che in assenza di specifiche garanzie contrattuali il cessionario non possa far valere vizi -ovvero passività, minusvalenze o, comunque, difformità di valore – del patrimonio o delle attività sociali, poiché ai fini dell'azione di risoluzione il difetto di qualità del bene ceduto deve attenere unicamente ai diritti amministrativi e patrimoniali che la partecipazione direttamente esprime.

Da queste premesse discende che anche l'errore rilevante ai fini dell'azione di annullamento del contratto debba vertere sulla partecipazione compravenduta e non sulle qualità del patrimonio sociale, perché l'errore ai sensi dell'art. 1429 c.c. deve essere essenziale e quindi deve ricadere sulla natura o sull'oggetto del contratto (cfr. Cass. 19 giugno 2008, n. 16663, in Contratti, 2008, 1040; Cass. 3 aprile 2003 n. 3139, in Riv. Not., 2004, 187; Cass. 29 agosto 1995, n. 9067 cit.; Cass. 19 luglio 2007, n. 16031 cit.)

Del tutto minoritaria è la tesi secondo la quale “Le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di secondo grado, in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale. Pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l'affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede” (Tribunale di Lucca 10 luglio 2015, in Giur. comm. 2017, 400).

Tale orientamento si richiama ed attua in modo assai rigoroso la teoria di Ascarelli (Ascarelli, Riflessioni in tema di titoli azionari e società tra società, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955; Greco, Le società di comodo e la vendita delle loro azioni, in Riv. dir. comm., 1935) in base alla quale le partecipazioni sociali costituirebbero “beni di secondo grado” i quali, pertanto, rappresenterebbero anche le attività sociali sottostanti.

Tale tesi, inoltre, fa leva sul principio di buona fede nell'esecuzione dei contratti, ed anche la giurisprudenza di legittimità, in alcune recenti occasioni, ha valorizzato tale principio e l'esigenza di tutela dell'affidamento dell'acquirente come parametro per ravvisare garanzie implicite sulla consistenza del patrimonio sociale nelle promesse e dichiarazioni, anche pre- negoziali, della parte cedente (cfr. Cass. 12 settembre 2019, n. 22790 in Banca borsa tit. cred., 2020; Cass. 9 settembre 2004, n. 18181, in Giust. civ. Mass, 2005; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3370, in Giur. comm., 2005, 1069; Cass. 28 marzo 1996, n. 2843 in Giur. comm. 1998, 362; Cass. 23 febbraio 2000, n. 2058 in Società, 2000, 1204).

In ordine alla qualificazione ed alla determinazione della natura giuridica delle clausole di garanzia e indennizzo (Trimarchi, Le garanzie contrattuali nell'acquisto di partecipazioni sociali, cit.; Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit.; De Nova, Il Sale and Purchase agreement: un contratto commentato, Torino, 2011; G. Salatino, “Patto di garanzia” nel contratto di acquisizione (“Sale Purchase Agreement”), in Giur. Comm, 2015, 891) si fronteggiano sostanzialmente due orientamenti: uno che configura tali pattuizioni nei termini di prestazioni accessorie al trasferimento della partecipazione, la violazione delle quali pone un tema di inadempimento ex art. 1218 c.c. secondo una prima variante (con conseguente applicabilità del termine di prescrizione decennale), o che possono essere qualificate, secondo altra variante, come obbligazioni di garanzia, aventi natura in senso lato assicurativa, e configuranti un meccanismo indennitario che prescinde, pertanto, dall'imputabilità dell'inadempimento (D'Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente, Milano, 2003: se le clausole di garanzia vengono concepite in chiave indennitaria, ne discende che l'obbligo di indennizzo sorge per effetto del mero verificarsi dell'evento dedotto – insussistenza dell'attivo o sopravvenienza passiva – indipendentemente dal comportamento del venditore).

Il secondo filone, invece, riconduce le garanzie alle promesse di qualità del bene venduto ex art. 1497 c.c. (Cass. 28 marzo 1996, n. 2843, in Foro it., 1996, I, 3382 si richiama alla normativa sulla vendita, ed in particolare alla disciplina sulla mancanza nella cosa venduta delle qualità promesse ex art. 1497 c.c.).

Si tratta di una questione non puramente accademica, poiché dall'adesione alla seconda prospettiva discende l'applicabilità della disciplina sulla decadenza (seppur derogabile dalle parti) e soprattutto del termine annuale di prescrizione ex art. 1495 c.c. (termine inderogabile dalle parti ai sensi dell'art. 2936 c.c.). Ed invero, le passività e le minusvalenze che incidono sulla consistenza patrimoniale della società le cui partecipazioni sono compravendute, normalmente si manifestano a distanza di tempo considerevole, senza che l'acquirente possa averne conoscenza prima, e sicuramente dopo lo spirare del termine annuale di prescrizione di cui all'art. 1495 c.c. decorrente dalla consegna (G. Salatino, “Patto di garanzia” nel contratto di acquisizione (“sale Purchase Agreement” cit.). Onde, come è stato osservato, ad accordare preferenza a questa ricostruzione si corre il rischio di pregiudicare quegli stessi interessi alla cui tutela sono finalizzate le clausole di garanzia e di privarle di ogni valore e funzione (Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit. 305)

La dottrina – e la giurisprudenza arbitrale - sono prevalentemente orientate a ritenere che gli artt. 1490 e ss., e in particolare il termine annuale di prescrizione di cui all'art. 1495 c.c., non debbano trovare applicazione alle garanzie convenzionali prestate nell'ambito di un contratto di compravendita di partecipazioni sociali, le quali sono soggette al termine ordinario di prescrizione dieci anni ai sensi dell'art. 2946 c.c. (Trimarchi, Le garanzie contrattuali nell'acquisto di partecipazioni sociali, cit.; Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit.; De Nova, Il Sale and Purchase agreement: un contratto commentato, cit.; Erede, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, in Aa. Vv., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di Bonelli e De Andrè, Milano, 1990).

La giurisprudenza ordinaria, in alcuni arresti più risalenti, ha fatto applicazione dell'art. 1495 c.c., argomentando nel senso che le garanzie contrattuali sulla redditività e consistenza economica e patrimoniale della società costituirebbero una promessa di specifiche qualità delle partecipazioni alienate, determinando un‘estensione della garanzia legale ex artt. 1490 e 1497 c.c. con conseguente assoggettamento alla relativa disciplina (Cass. 9 settembre 2004, n. 18181; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3370, in Giur. comm., 2005, 1069; Cass. 21 giugno 1996, n. 5773, in Banca borsa tit. cred., 1997, 18; Cass. 28 marzo 1996, n. 2843, in Giur. comm. 1998, 362; Cass. 10 febbraio 1967, in Giust. Civ., 1992, 3139; App. Milano 21 novembre 2008)

Negli ultimi anni si sta invece consolidato l'opposto orientamento: “Nella vendita di partecipazioni sociali, la clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società ha ad oggetto una prestazione accessoria e non rientra, quindi, nella garanzia di cui all'art. 1497 c.c., che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto. Pertanto, il diritto del compratore all'indennizzo, fondato su detta clausola, non è soggetto alla prescrizione annuale ex art. 1495 e 1497 c.c., bensì alla prescrizione ordinaria decennale” (Cass. 24 luglio 2014, n. 16963, in Giur. it., 2014, 1406; conf. Trib. di Roma 5 ottobre 2015, in Giur. Comm. 2017, 400; App. Milano 9 luglio 2013; App. Roma 5 marzo 2011; Trib. Milano 26 agosto 2001).

Occorre notare, tuttavia, che non mancano pronunce che, seppur a livello di obiter dicta, continuano a richiamare la disciplina della garanzia legale della vendita ex artt. 1497 c.c. (Cassazione civile 8 luglio 2015, n. 14255; Tribunale di Lucca 10 luglio 2015, in Giur. Comm. 2017, 400) e, a tale riguardo, il giudice di legittimità, con una recente pronuncia presumibilmente contribuirà ad alimentare il dibattito (Cass. 12 settembre 2019, n. 22790, in Banca borsa tit. cred., 2020, con nota di Marotta, La Cassazione ritorna sulle garanzie legale e convenzionali nella vendita di partecipazioni “di controllo”: un déjà vu?, 546).

La qualificazione delle clausole di garanzia e “sole remedy clause”

La sentenza in esame si inscrive in quell'orientamento ai sensi del quale “Qualora alla cessione delle partecipazioni sociali siano collegati dei patti autonomi di garanzia, aventi ad oggetto le passività del patrimonio sociale (c.d. business warranties), questi patti non attengono all'oggetto immediato del negozio, consistente nell'acquisizione della partecipazione sociale, ma al suo oggetto mediato, riconducibile alla quota del patrimonio sociale che essa rappresenta, e costituiscono un'autonoma regolamentazione di garanzia, sicchè, in caso di inadempimento, deve riconoscersi all'acquirente il diritto a conseguire un indennizzo, e non la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di acquisto delle azioni a causa del difetto di qualità della cosa venduta (…).” (Cass. 13 marzo 2019, n. 7183, su questo portale con nota di Romano, Compravendita di partecipazioni sociali ed autonomia delle clausole di garanzia).

Nonostante alcune “pericolose” affermazioni incidentali (ed anche la sentenza in commento pare richiamare a livello di obiter dictum la disciplina sulla mancanza di qualità ai sensi dell'art. 1497 c.c.) la più recente giurisprudenza è incline ad emancipare le clausole di garanzia presenti nei contratti di cessione di partecipazioni sociali dalla disciplina legale delle garanzie della vendita ex artt. 1490 e ss. c.c.

La dottrina più avveduta tende a qualificarle come patti autonomi (Tersilla, Le clausole di garanzia nei contratti di acquisizione, in Dir. Comm. Internaz., 2004, 114) ovvero, secondo diverse declinazioni, come pattuizioni collegate al contratto di cessione di partecipazioni societarie (Montalenti, La compravendita di partecipazioni azionarie, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, Milano, 1994) o come prestazioni atipiche accessorie al contratto di acquisizione (il quale non perderebbe la propria tipicità rimanendo qualificabile come compravendita secondo Speranzin, Le clausole relative all'oggetto “indiretto” (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, cit.; Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., propende invece per la natura atipica del contratto di cessione).

Le clausole di garanzia possono essere concepite come un regolamento convenzionale di responsabilità, attraverso il quale il venditore si assume un impegno contrattuale (che la società sottostante, le cui partecipazioni sono oggetto di negoziazione, abbia una certa consistenza patrimoniale ovvero una certa redditività e che le dichiarazioni e le informazioni offerte siano conformi alla effettiva situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale della stessa) oppure possono essere intese come configuranti un regolamento di ripartizione dei rischi tra le parti, secondo una visione in senso lato assicurativa (De Nova, Il Sale and Purchase agreement: un contratto commentato, cit.). Secondo la prima ricostruzione il venditore si impegna e promette qualcosa, onde la violazione delle garanzie configura un inadempimento della prestazione traslativa e, conseguentemente, il cessionario sarà responsabile salvo che provi, ai sensi dell'art. 1218 c.c., che l'inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile. Nella seconda prospettiva, invece, il venditore assume su di sé il rischio del verificarsi di dati eventi e si impegna a mantenere indenne l'acquirente nel caso in cui certi eventi si verifichino, onde senza la possibilità di prova liberatoria ai sensi dell'art. 1218 c.c.

La tesi sulla natura assicurativa delle clausole di garanzia è densa di conseguenze poiché, come si è appena detto, sterilizza il tema dell'imputabilità dell'inadempimento: la parte che si impegna ad una prestazione in senso lato assicurativa è tenuta a corrispondere l'indennizzo laddove si verifichi l'evento dedotto nella pattuizione, indipendentemente dal suo stato soggettivo e, cioè, indipendentemente da un comportamento qualificabile in termini di adempimento o inadempimento (A. Tina, La natura giuridica delle clausole di garanzia nel trasferimento di partecipazioni azionarie, cit.).

Inoltre, se si ragiona in termini di assicurazione, l'acquirente avrà in dotazione solamente il rimedio previsto nel contratto e laddove le parti, come nel caso deciso con la sentenza che si commenta, abbiamo previsto il pagamento di un indennizzo e non la risoluzione del contratto, la relativa domanda sarà improponibile.

Nel caso in cui, invece, si voglia accordare preferenza alle categorie dell'inadempimento, interpretando le clausole di garanzia come pattuizioni implicanti un impegno contrattuale, in caso di loro violazione si potrebbe addebitare alla parte venditrice un'inesatta esecuzione della prestazione traslativa. Da ciò consegue che l'acquirente deluso possa esperire tutti i rimedi che derivano dall'applicazione delle norme generali del codice civile in tema di inadempimento delle obbligazioni e, quindi, anche l'azione di risoluzione (G. De Nova, Il Sale and Purchase agreement: un contratto commentato, cit.; per un'applicazione concorrente dei rimedi convenzionali e legali cfr. Speranzin. Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, 2006; in giurisprudenza, Trib. Roma 17 maggio 1999, in Riv. dir. comm., 1999, 265). D'altra parte, ragionando nei termini di responsabilità contrattuale, il concorrere dei rimedi legali con quelli pattizi è in sintonia con la finalità delle stesse clausole di garanzia, volte a fornire la più ampia tutela alla parte acquirente (Erede, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, in Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di F. Bonelli e De Andrè cit.; Picone, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, Milano, 1995).

L'esperibilità dell'azione di risoluzione del contratto di acquisizione di partecipazioni sociali sollecita un cenno ad un'ultima questione.

Spesso, infatti, i contraenti tendono a scongiurare l'attivazione dell'azione di risoluzione e prevedendo che l'obbligo di indennizzo configuri il rimedio esclusivo in caso di violazione delle dichiarazioni e garanzie (c.d. clausola di exclusive remedy o sole remedy). Da un lato, infatti, il venditore ha tutto l'interesse ad evitare la retrocessione di un'azienda laddove sia stata gestita per lungo tempo dall'acquirente e, dall'altro, l'acquirente stesso potrebbe avere un analogo interesse a non azzerare l'operazione economica per aver integrato, nel frattempo, la società target nel proprio gruppo, o per le sinergie sviluppate e per aver fatto degli investimenti.

Si ritiene che, interpretando le clausole di garanzia in un'ottica assicurativa, non vi siano soverchie difficoltà ad ammettere che le parti possano validamente escludere l'effetto risolutivo e, secondo il decisum della sentenza in commento (del tutto in linea con il precedente di legittimità rappresentato da Cass. 13 marzo 2019, n. 7183, cit.) la previsione dell'indennizzo precluderebbe l'esperibilità del rimedio caducatorio.

La dottrina prevalente propende a ritenere che, anche ricostruendo le clausole di garanzia con le categorie dell'inadempimento, le parti possano regolare le conseguenze dello stesso in modo diverso rispetto alla disciplina codicistica. Al riguardo, si è autorevolmente sostenuto (De Nova, Il Sale and Purchase agreement: un contratto commentato, cit.) che la clausola prevendente l'obbligo di indennizzo come rimedio esclusivo e sostitutivo dei mezzi di tutela offerti in dotazione dalla disciplina dell'inadempimento contrattuale sia valida ove rispetti i limiti inderogabili dell'ordinamento (cfr. art. 1229 c.c. l'art. 1462 c.c.). Essa, tuttavia, non potrebbe precludere un'azione ex art. 1337 c.c. dato che le parti non possono pattuire validamente che un loro comportamento contrario a buona fede sia privo di conseguenze (DE NOVA, Sulla derogabilità del principio di buona fede, in Studi Giovanni Gabrielli, 2018). Sull'ammissibilità di una disciplina pattizia escludente la risoluzione del contratto per inadempimento si è espressa anche la Cassazione in un suo risalente arresto (Cass. 1 luglio 1994, n. 6225, in Foro it., 1994, I, 3429).

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