Lavoratore censurato grazie ai dati presenti in una mailing list sindacale: nessuna violazione della privacy

La Redazione
04 Giugno 2021

Offese al direttore generale nei messaggi di posta elettronica. Legittimo l'utilizzo di quei dati da parte dell'azienda, che ha sanzionato con la censura il dipendente sindacalista. Decisivo il fatto che i dati siano stati segnalati all'azienda da uno dei componenti della mailing list.

Offese al direttore generale nei messaggi di posta elettronica. Legittimo l'utilizzo di quei dati da parte dell'azienda, che ha sanzionato con la censura il dipendente sindacalista. Decisivo il fatto che i dati siano stati segnalati all'azienda da uno dei componenti della mailing list.

Lecito l'utilizzo aziendale dei dati presenti in una mailing list sindacale e consegnati alla società da uno dei destinatari della comunicazione. Respinta l'ipotesi, balenata dal lavoratore e sindacalista censurato, di una violazione della privacy (Corte di cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 15161/21, depositata il 31 maggio).

Riflettori puntati su una Azienda sanitaria locale. A un dipendente – che è anche segretario aziendale di una organizzazione sindacale – viene comunicata «una nota di contestazione disciplinare in relazione al contenuto offensivo di alcune email, da lui inviate nella mailing list del sindacato, nei confronti dei vertici aziendali».

Il procedimento disciplinare si conclude con l'irrogazione della «sanzione della censura», che il lavoratore prontamente impugna con ricorso ad hoc.

Altro fronte, però, è quello relativo all'utilizzo, da parte dell'azienda, dei dati presenti nella mailing list, dati che sono stati «segnalati da uno dei partecipanti alla mailing list», ossia un dirigente dell'Azienda sanitaria locale.

Il lavoratore «ravvisa nell'utilizzo della predetta corrispondenza di posta elettronica per fini disciplinari una violazione del codice della privacy» e chiede perciò «il blocco dei dati trattati».

Questa visione viene respinta innanzitutto dal Garante per la protezione dei dati personali, il quale spiega che «le comunicazioni di posta elettronica inerivano a dati personali e soggiacevano alla disciplina del codice, ma non erano illecite, essendo state trasmesse all'azienda a corredo di una segnalazione effettuata da un altro partecipante alla mailing list, al fine di sollecitarne una valutazione in sede disciplinare». In sostanza, l'azienda «non aveva avuto alcun ruolo nella raccolta dei dati, né aveva effettuato indagini o controlli sulle opinioni del lavoratore, ma li aveva trattati nell'ambito del potere disciplinare spettante ad esso».

Identica posizione assume anche il Tribunale, respingendo anch'esso le obiezioni proposte dal lavoratore.

A cancellare, infine, le lamentele del dipendente dell'Azienda sanitaria locale provvede la Cassazione, confermando, in sostanza, la decisione del Garante per la privacy.

In premessa viene chiarito che «i messaggi di posta elettronica rientrano nella nozione di dato personale» tutelato dal Codice della privacy. Ciò nonostante, non vi è, in questa vicenda, «alcun illecito trattamento di tali dati», poiché, osservano i Giudici, l'azione dell'azienda «non era diretta ad indagare sugli orientamenti sindacali o sulle opinioni del lavoratore, ma esclusivamente a sanzionare gli apprezzamenti offensivi o inopportuni nei confronti del direttore generale dell'Azienda sanitaria locale».

In questo quadro si inserisce anche l'osservazione fatta dal Garante, osservazione con cui viene evidenziato che «l'azienda non ha avuto alcun ruolo attivo nella raccolta dei dati relativi al dipendente. Questi ultimi, infatti, sono ad essa pervenuti tramite la segnalazione di un'altra dipendente, la quale era stata inclusa tra i destinatari delle comunicazioni» inviate dal lavoratore sindacalista. Pertanto, «non vi è stata alcuna operazione di controllo o verifica della casella di posta elettronica del lavoratore».

Confermata, poi, anche la valutazione compiuta dai giudici del Tribunale, i quali hanno sostenuto che «il trattamento dei dati in questione, seppure in ipotesi configurabili come sensibili, non richiedeva il consenso del lavoratore», essendo il trattamento necessario per «adempiere ad un obbligo imposto dalla legge, rientrando nei compiti di istituto connessi all'esercizio del potere disciplinare dell'Azienda sanitaria, quale pubblica amministrazione, nei confronti dei propri dipendenti».

A dare forza a questa disposizione, poi, osservano i Giudici di terzo grado, anche «le disposizioni concernenti il trattamento dei dati sensibili che siano indispensabili per svolgere attività istituzionali da parte di soggetti pubblici».

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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