Gratuito patrocinio: è costituzionalmente legittimo non assicurarlo nel procedimento di mediazione (cui non segua un giudizio)?
07 Giugno 2021
Massima
In tema di patrocinio a spese dello Stato, rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli artt. 3, 24 e 36 Cost. - la questione di legittimità costituzionale degli artt. 74, 2 comma e 75, 1 comma, del d.P.R. 115/2002 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevedono la liquidazione dei compensi dell'avvocato che ha rappresentato il suo assistito in un procedimento di mediazione obbligatoria conclusosi con verbale positivo. Il caso
In un procedimento di mediazione obbligatoria conclusosi con verbale positivo di conciliazione, un avvocato prestava assistenza ad alcuni soggetti provvisoriamente ammessi al gratuito patrocinio a spese dello Stato; proponeva poi domanda al Tribunale di Palermo affinché venissero liquidati i compensi a lui spettanti per l'attività svolta. La questione
Il giudice adìto viene così investito della questione concernente la possibilità di liquidare il compenso in favore dell'avvocato che, nell'ambito dell'istituto del gratuito patrocinio, ha prestato assistenza alla parte in un procedimento di mediazione obbligatoria, poi conclusosi con un accordo conciliativo. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Palermo osserva che, poiché gli artt. 74, 2 comma e, più in particolare, 75, 1 comma del d.P.R. 115/2002 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) prevedono che «l'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate e accidentali, comunque connesse», non è possibile imporre, a carico dell'Erario, la liquidazione per l'attività svolta dall'avvocato, i cui rappresentati sono stati ammessi all'istituto del gratuito patrocinio; gli articoli citati limitano infatti l'operatività del patrocinio a spese dello Stato all'ambito del «processo» nonché alle procedure «comunque connesse» ad un processo, con esclusione dunque dal novero delle attività suscettibili di essere svolte con oneri a carico dell'Erario di tutta l'attività stragiudiziale (tra cui anche la mediazione) non seguita da instaurazione di un processo. Sennonché, il giudice non dispone il rigetto della domanda attorea, ma sospende il procedimento,stimandopiù opportuno sollevare d'ufficio la questione di legittimità costituzionale degli artt. 74, 2 comma e 75, 1 comma del d.P.R. 115/2002 in relazione agli artt. 3, 24, 3 comma e 36 Cost. Osservazioni
Come osserva la decisione in commento, l'istituto del patrocinio per i non abbienti è applicabile, a norma dell'art. 75, 1 comma del d.P.R. 115/2002, alle attività strettamente processuali svolte dall'avvocato e a «tutte le eventuali procedure, derivate e accidentali, comunque connesse». È pertanto necessario, per venire a capo della questione, cercare di comprendere (com'è stato correttamente fatto nell'ordinanza in oggetto) se il procedimento di mediazione possa essere ricompreso nell'ambito di dette procedure connesse al processo. La risposta può esser positiva solo se, in un secondo momento, un processo venga effettivamente instaurato, in quanto la connessione con quest'ultimo sembra necessariamente postulare l'intervenuto avvio della lite giudiziale: è in questo senso che si è infatti espressa la Suprema Corte in un recente arresto (Cass. civ., n. 18123/2020) che, inserendosi nel solco di principî già in precedenza affermati (Cass. civ., n. 24723/2011; Cass. civ., sez. un., n. 9529/2013), ha riaffermato l'impossibilità di ammettere la sola attività stragiudiziale, svolta dall'avvocato nell'interesse del proprio assistito, al patrocinio a spese dello Stato. Questo ostacolo non è peraltro superabile tramite un'interpretazione logico-sistematica che, equiparando l'attività stragiudiziale di mediazione a quella giudiziale, estenda il campo d'applicazione dell'istituto del gratuito patrocinio: tale uniformazione potrebbe essere in astratto possibile, soprattutto per le ipotesi di mediazione obbligatoria previste dall'art. 5, co. 1-bis del d.lgs. 28/2010, ma ciò comporterebbe l'imposizione di una spesa, a carico dell'Erario, maggiore di quella originariamente prevista dal legislatore. Quest'ultimo, infatti, nel pieno rispetto dell'art. 81, 3 comma, Cost., ha analiticamente e preventivamente disciplinato, all'art. 17, commi 8 e 9 del predetto d.lgs., i mezzi finanziari necessari a far fronte alle spese per l'istituzionalizzazione delle procedure di mediazione; l'interprete - in questo caso, il giudice di merito - non può quindi forzare il dato letterale dell'art. 75, 1 comma del d.P.R. 115/2002, in quanto ogni operazione in tal senso comporterebbe un indebito superamento della volontà di spesa espressa e positivizzata dal legislatore (Cass. nn. 15490/2004, 17997/2019). Tale quadro interpretativo, che si fonda soprattutto sulle elaborazioni dalla Suprema Corte, risulta, ad un primo sguardo, tutto sommato costituzionalmente legittimo e coerente con i principî generali dell'ordinamento. Sennonché, la Corte di cassazione si è sempre occupata di fattispecie in cui, esperita la mediazione, è stato poi intrapreso un processo (Cass. civ., sez. un., n. 9529/2013), o di casi in cui, diversamente, la conciliazione delle parti, prima del giudizio, non è avvenuta in sede di mediazione (Cass. civ., nn. 24723/2011, 18123/2020). Nel caso dell'ordinanza in esame, invece, una conciliazione si è avuta, e proprio in sede di mediazione obbligatoria. Ed allora, sembrano quantomeno ragionevoli i dubbi di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 24, 3 comma, Cost., sollevati dal Tribunale di Palermo nell'ordinanza in commento: la pienezza dei diritti d'azione e di difesa, garantita dal gratuito patrocinio, sembra essere in parte compressa dall'illogica esclusione che il legislatore attua per le ipotesi di mediazione obbligatoria positivamente espletata, poiché detti diritti non verrebbero intaccati solo se il difensore nominato deliberatamente frustrasse ogni tentativo di conciliazione imposto dal legislatore stesso. Come acutamente osservato nell'ordinanza in esame, infatti, un soggetto, che si trovi in uno stato di indigenza tale da non potersi sobbarcare i costi necessari per azionare un proprio diritto, verrebbe ulteriormente dissuaso dal ricorrere alla giustizia qualora, nel caso in cui l'avvocato a cui ha dato mandato favorisse una composizione amichevole della controversia, egli si trovasse in prima persona obbligato al pagamento degli onorari. L'attuale disciplina, quindi, non sembra garantire l'effettività dell'accesso alla giustizia da parte del non abbiente ma, piuttosto, tende ad allontanarlo dagli strumenti che egli avrebbe a disposizione per tutelare i propri diritti. L'ordinanza in commento poi ventila la presunta violazione dell'art. 3 Cost. per l'ingiustificata differenziazione sussistente con la mediazione transfrontaliera: l'art. 10 del d.lgs. 116/2005, attuativo della Direttiva 2003/8/CE, prevede infatti l'ammissione al gratuito patrocinio anche per l'attività stragiudiziale di mediazione in tutti i casi in cui essa è prevista come obbligatoria dalla legge. Nel «considerando» n. 11 della suddetta direttiva si legge che «il patrocinio a spese dello Stato dovrebbe includere la consulenza legale nella fase precontenziosa al fine di giungere ad una soluzione prima di intentare un'azione legale», e chiarisce poi, al «considerando» n. 5, che l'intera disciplina del patrocinio gratuito nelle controversie transfrontaliere è diretta espressione dell'art. 47, 3 comma della Carta di Nizza(cfr. CGUE n. 279/2010 per un'esauriente analisi della portata di detto principio): appare quindi evidente che, per il legislatore europeo, differentemente da quello italiano, l'accesso alla giustizia peri non abbienti è effettivo solo se garantito per tutte le fasi necessarie e/o obbligatorie per addivenire alla risoluzione delle controversie, comprese quelle non aventi carattere processuale o comunque non strettamente connesse ad un giudizio. Il Tribunale di Palermo, infine, osserva che nonostante, di regola, si applichi alla prestazione fornita dal lavoratore subordinato, l'art. 36, 1 comma Cost. può venir comunque utile per orientarsi nel caso in esame, giacché esso è riferibile anche all'attività – complessivamente considerata – del professionista (Corte cost. n. 75/64), il quale quindi non può esser costretto a fornirla gratuitamente. Appare quindi evidente che l'attuale formulazione dell'art. 75, 1 comma del d.P.R. 115/2002 genera non pochi dubbi di legittimità; allo stesso tempo, però, non è possibile prevedere se la Corte Costituzionale, investita della questione, interverrà in maniera decisiva o, piuttosto, rimetterà al legislatore la valutazione sull'opportunità di un'integrazione della disciplina. La Suprema Corte, dal canto suo, nella già citata sentenza n. 18123/2020, ha bollato come irrilevante la questione di legittimità costituzionale proposta dal ricorrente (presumibilmente per le stesse violazioni denunciate dal Tribunale di Palermo) ma, come già ricordato supra, questa presa di posizione deriva, molto più probabilmente, dalla diversità tra la fattispecie che la Cassazione ha analizzato in detto provvedimento ed il caso oggetto dell'ordinanza in commento. A ciò bisogna aggiungere, sul piano più strettamente applicativo, che, allo stato attuale, il rappresentante tecnico, patrocinante un non abbiente a spese dello Stato, non è invogliato a definire amichevolmente la controversia in sede di mediazione obbligatoria e ciò nella consapevolezza che solo nel caso in cui il giudizio venisse effettivamente instaurato potrebbe aver diritto alla liquidazione dei compensi per l'attività svolta in precedenza, che sarebbe finalmente qualificabile come connessa ad un processo come richiesto dall'art. 75, 1 comma del d.P.R. 115/2002. È quindi facile intuire che, in tutte le fattispecie analoghe a quella in oggetto, finirebbe per esser vanificato lo scopo deflattivo che ha notoriamente motivato l'introduzione della mediazione obbligatoria ad opera del d.lgs. 28/2010, il quale ha infatti previsto una serie di «stimoli» alla conciliazione, tra cui l'obbligo di riservatezza delle parti e del mediatore e i minori oneri fiscali collegati alla registrazione del verbale di accordo. La conclusione paradossale sarebbe, quindi, quella di rendere ancor più probabile lo svolgimento di un processo civile il quale, com'è agile comprendere, comporterebbe, per lo Stato, delle spese sicuramente maggiori rispetto a quelle liquidabili all'avvocato che ha patrocinato in un procedimento di mediazione. Sembra allora a chi scrive che la mediazione - soprattutto quella obbligatoria - si ponga in aperto contrasto con l'attuale disciplina che regola il gratuito patrocinio. L'avvicinamento tra i due istituti non è nemmeno possibile grazie al solo comma 5-bis dell'art. 17, d.lgs. 28/2010, il quale si limita a sollevare il soggetto ammesso al gratuito patrocinio dal versamento delle indennità di norma dovute agli organismi di mediazione. In altre parole, delle due l'una: o si cerca di addivenire ad una conciliazione, evitando le lungaggini e le spese di un processo - ma in tal caso lo Stato non può liquidare i compensi dell'avvocato -, oppure la mediazione obbligatoria si svolge, con esito negativo, al solo scopo di assolvere la condizione di procedibilità. Riferimenti
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