Maurizio Tarantino
07 Giugno 2021

La ratio dell'art. 890 c.c. è quella di evitare che fumi nocivi ed intollerabili emessi dalle canne fumarie invadano le abitazioni e, trattandosi di tetti che coprono il medesimo fabbricato ad altezza diversa, tale scopo può essere raggiunto avendo come riferimento, per il calcolo delle distanze, il c.d. "colmo del tetto", cioè la parte più alta dell'intero fabbricato e non già il tetto di copertura della porzione più bassa del medesimo fabbricato.

Il caso. Tizia, lamentando la violazione delle distanze previste dall'art. 890 c.c. in combinato disposto con l'art. 32 del Reg. Edilizio, aveva chiesto al giudice adito la rimozione della canna fumaria realizzata da Caio sul tetto dell'edificio e adiacente alla finestra della ricorrente. Quest'ultimo, costituendosi in giudizio, eccepiva che il manufatto era esistente fin dal 1967 e che, nel dicembre del 2003, era stato interessato da un intervento di manutenzione che non ne aveva alterato la precedente funzione. Nel giudizio di primo grado la domanda era stata respinta. Successivamente, la Corte territoriale accoglieva il gravame proposto da Tizia. In particolare, secondo la Corte di merito, ai fini della conformità della canna fumaria alle prescrizioni del Regolamento, l'altezza della canna fumaria non era quella del tetto sul quale la stessa insisteva, bensì quella del colmo della più alta copertura del fabbricato comune. Inoltre, l'intervento edilizio realizzato non poteva essere inteso come una semplice ristrutturazione.

Le contestazioni. Avverso il provvedimento in esame, Caio proponeva ricorso in Cassazione eccependo che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che l'intervento edilizio del 2003 costituiva una "nuova costruzione" quando, di contro, tale mutamento doveva essere ricondotto alla categoria degli interventi di ristrutturazione. Inoltre, il ricorrente contestava il ragionamento della determinazione dell'altezza necessaria all'installazione di una canna fumaria.

La qualifica di nuova costruzione. Secondo la S.C., la Corte distrettuale aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia di "costruzione". Difatti è ravvisabile una "nuova costruzione" quando l'opera di modifica si traduce non soltanto nella realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche in qualsiasi modificazione della volumetria dell'edificio preesistente che ne comporti un aumento della volumetria (Cass. civ., n. 28612/2020). Dunque, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di "costruzione" è unica e non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa (Cass. civ., n. 24473/2017). Pertanto, l'intervento edilizio effettuato nel 2003 non poteva essere inteso come una semplice ristrutturazione di una canna fumaria preesistente ma come una nuova costruzione perché non erano rimasti invariati volume e dimensioni del manufatto.

Presunzione di pericolosità. A tal proposito, in giurisprudenza, è stato sostenuto che in presenza di un regolamento anche locale che disciplina il profilo delle distanze, vige una presunzione di pericolosità assoluta la quale preclude qualsiasi accertamento concreto (Cass. civ., n. 22389/2009) mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino. Detto ciò, poiché il fabbricato oggetto di giudizio risultava coperto da due tetti strutturalmente autonomi, secondo la S.C., la Corte di merito aveva correttamente preso in considerazione, per verificare la conformità della canna fumaria alle prescrizioni del Regolamento, non il tetto sul quale la stessa insisteva ma il colmo della più alta copertura del fabbricato comune.

La violazione delle distanze. Nella vicenda, a seguito di CTU, la canna fumaria si trovava a mt 3,375 di distanza dalla finestra dell'attrice mentre l'art. 32 del Reg. Edilizio prevedeva una distanza minima di dieci metri da ogni finestra posta a quota uguale o superiore; inoltre detta canna fumaria superava l'altezza della finestra di soli 0,87 metri e non di un metro come prescritto dallo strumento urbanistico. Pertanto, secondo la S.C., era corretta la decisione della Corte di merito di disporre la demolizione, resa peraltro necessaria dalle esigenze di stabilità della canna fumaria.

In conclusione, per i motivi esposti, il ricorso di Caio è stato dichiarato inammissibile.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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