Parcellizzazione del credito: quando è consentita la pluralità delle domande?
08 Giugno 2021
Massima
Le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto o per titolo, in quanto fondati su analoghi, seppur diversi, fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi quando i relativi fatti costitutivi si inscrivano nell'ambito di una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, concretizzante la vicenda da cui deriva la controversia. Tale divieto processuale non opera quando l'attore abbia un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, ad azionare in giudizio solo uno, o solo alcuni, dei crediti sorti nell'ambito della suddetta relazione unitaria tra le parti. La violazione dell'enunciato divieto processuale è sanzionata con l'improponibilità della domanda, ferma restando la possibilità di riproporre in giudizio la domanda medesima, in cumulo oggettivo, ai sensi dell'art. 104 c.p.c., con tutte le altre domande relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria tra le parti. Il caso
Un avvocato propose 38 ricorsi per decreto ingiuntivo onde ottenere il pagamento delle prestazioni effettuate, in un lungo periodo di tempo, a favore di una società da lui assistita. Avverso i provvedimenti monitori la debitrice propose opposizione deducendo l'illecita parcellizzazione del credito. L'opposizione fu respinta in primo e in secondo grado. I giudici di merito affermarono che il rapporto intercorso con il professionista non poteva essere configurato come un'unica prestazione di consulenza e di assistenza legale (come preteso dalla società opponente). In materia di incarichi legali, si è asserito, l'autonomia di ogni singolo mandato, conferito mediante il rilascio di procura speciale ad litem, fa sì che la pluralità dei rapporti sia la regola e che l'unitarietà dell'incarico debba essere specificamente provata da chi ne pretende la sussistenza: in atti tale prova era mancata. Era per contro risultato provato l'elevato numero di mandati senza che fosse emersa la dimostrazione di un accordo per ottenere un pagamento unitario delle prestazioni eseguite. Il creditore, si è ricordato inoltre, ha pur sempre la facoltà di chiedere l'adempimento parziale, anche in via monitoria, del complessivo suo credito, se ne ha un interesse apprezzabile. La società soccombente ha interposto ricorso per cassazione deducendo otto motivi di gravame, dei quali è stato ritenuto fondato il primo, con assorbimento degli altri. La questione
Il motivo di ricorso esaminato dalla Corte ripropone la questione decisa dai primi giudici riguardante l'asserita inosservanza da parte dell'attore del divieto di parcellizzazione del suo credito. I provvedimenti ingiuntivi, a detta della ricorrente, erano stati chiesti dall'avvocato non già per esigere crediti dei quali occorresse accertare l'an e il quantum ma in relazione ad altrettanti e identici atti di riconoscimento di debito, tutti liquidi ed immediatamente esigibili. La moltiplicazione delle domande aveva determinato per la resistente un aggravio delle spese giudiziali di difesa da sostenere, in assenza di un qualsivoglia interesse di controparte ad una tutela processuale frazionata. Le soluzioni giuridiche
La Corte ha ricordato nella motivazione della sentenza due acquisizioni interpretative giurisprudenziali che ha inteso tenere per ferme. La decisione delle Sezioni Unite n. 23726/2007, seguita da pronunce conformi, affermò non esser consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale unilaterale scissione del contenuto dell'obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità, si pone in contrasto con i principi di correttezza, di buona fede e del giusto processo, con aggravamento della posizione del debitore e abuso dello strumento processuale. In seguito le Sezioni Unite risolsero una questiona parzialmente diversa ma per alcuni aspetti conseguente. Con decisione n. 4090/2017 fu esaminato il caso in cui il creditore intende far valere pretese creditorie diverse (vale a dire, non quali porzioni di un credito unitario) e tuttavia collegate tra loro, in quanto derivanti da un medesimo rapporto contrattuale, quale unica fonte di obblighi e doveri per le parti. In questa fattispecie le somme pretese non sono frazioni di un ammontare complessivo; i singoli crediti vantati sono diversi ma legati reciprocamente quanto alla loro genesi (ne costituisce esempio la molteplice richiesta di ottenere il pagamento delle prestazioni effettuate nei rapporti di durata). In linea di principio, dichiarò la Corte, siffatti singoli crediti possono essere azionati separatamente. Ciò non può avvenire, invece, né quando le pretese creditorie facenti capo al medesimo rapporto tra le parti sono, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un accertamento che faccia giudicato per tutte, e neppure se quelle pretese sono fondate su un medesimo fatto costitutivo. In tali ipotesi non può conoscersi delle plurime domande se non a costo di una moltiplicazione di attività istruttorie e di dispersione di energie processuali oltre a creare il rischio di una contraddittorietà tra giudicati. Su queste premesse la Corte ha ritenuto che le richieste di compensi per le prestazioni di avvocato, oggetto della vicenda al suo esame, non avrebbero dovuto essere proposte separatamente, essendo tutte riferibili ad un medesimo rapporto di durata attuato da una prolungata assistenza e consulenza professionale. In dichiarata applicazione del principio formulato da S.U. 4090/2017, si è precisato che l'espressione «medesimo rapporto di durata» (utilizzata nella pronuncia citata) non deve intendersi nel senso tecnico-giuridico di coppia diritto/obbligazione ma quale relazione di fatto realizzatasi in concreto tra le parti; e che per «medesimo fatto costitutivo» (ugualmente utilizzata nella detta occasione) deve intendersi non già il medesimo fatto costitutivo identico per ogni singolo credito ma per ogni singolo credito un fatto analogo. La decisione, che ha cassato con rinvio la sentenza di appello, si è, in definitiva, risolta in una interpretazione estensiva del dictum delle Sezioni Unite n. 4090/2017. Osservazioni
La questione teorica e pratica riguardante l'ammissibilità della parcellizzazione del credito in plurime domande al giudice è segnata, nell'evoluzione delle soluzioni proposte, dalle decisioni della Corte di cassazione a Sezioni Unite, che ne hanno costituito altrettante tappe successive. Mentre la dottrina considerava legittima, senza condizioni, la proposizione separata delle pretese, in nome della libertà attribuita alle parti dal principio dispositivo nel processo civile, Cass. civ., sez. un., n. 108/2000 ammise la presentazione separata a patto che l'attore specificasse, nel proporre ciascuna delle richieste, che non intendeva rinunciare contestualmente alle altre e che, anzi, si riservava di agire in successiva occasione per ottenere l'ulteriore soddisfacimento del credito. La riserva chiariva che persisteva comunque l'interesse ad agire del creditore, salva la scelta di adire più volte il giudice, ed era ritenuta necessaria ad evitare gli effetti di un rinuncia tacita. Questo orientamento fu ripensato dopo la modifica dell'art. 111 della Costituzione. L'introduzione del principio del giusto processo imponeva, si asserì (Cass. civ., sez. un., n. 23726/2007), di riconsiderare la situazione di un processo che consentiva forme eccedenti e devianti rispetto alla finalità della tutela delle parti, sino a giustificarne l'abuso. Si affermò pertanto che la parcellizzazione del credito era contraria a buona fede e a correttezza, ingiustificatamente aggravatrice per la parte convenuta e contraria al nuovo principio costituzionale. La giurisprudenza di legittimità e di merito si adeguò, compatta. La realtà propose una nuova questione, in sostanza figlia di quella che era ormai da ritenere definitivamente risolta. Si trattava di stabilire se al creditore fosse consentito chiedere con separate domande al giudice la condanna del debitore al pagamento di somme non risultanti dal frazionamento dell'intero rapporto dovuto ma oggetto di crediti distinti tra loro originati da prestazioni effettuate per l'esecuzione di un medesimo rapporto. In questo caso, i crediti sono diversi per oggetto, tipologia, datazione e contenuto ma hanno per elemento comune il rapporto unico che lega le parti e nel cui svolgimento attuativo si inscrivono le prestazioni da remunerare. Sul punto intervennero le Sezioni Unite con decisione n. 4090/2017: la proposizione separata delle domande è in genere consentita, attesa la diversità dei crediti, ciascuno dei quali derivanti da un singolo contratto, storicamente autonomo. A meno che, si avvertì, ricorra l'una o l'altra di queste situazioni: a) deve essere proposta un'unica domanda se le pretese creditorie, facenti capo ad un medesimo rapporto tra le parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, sì da doverne conoscere in un'unica occasione per evitare inutili ripetizioni; b) altrettanto deve avvenire se le pretese creditorie sono fondate sul medesimo fatto costitutivo. La sentenza che si annota ha proceduto da questo punto e si è proposta di approfondire le due fattispecie che richiedono la proposizione di una domanda unica. La prima circostanza evidenziata dalle Sezioni unite è conseguenza degli effetti del giudicato, idoneo a coprire le questioni di fatto e di diritto comuni a tutte le domande una volta che quelle questioni sono state decise per una di esse. L'accertamento effettuato in un primo giudizio fa stato per tutte le domande in ordine all'esistenza del rapporto, alla validità e all'efficacia del titolo: e ciò in quanto tali aspetti costituiscono il presupposto logico-giuridico identico per tutte le pretese creditorie. Ne deriva che ogni domanda per i crediti scaturenti dal rapporto contrattuale non può essere proposta separatamente da quella avente ad oggetto ogni altra distinta pretesa derivante dal medesimo rapporto, quando le altre sono comprese, sia pur limitatamente alle questioni di fatto e di diritto ad esse comuni, nell'ambito oggettivo del primo giudizio. Il passo ulteriore effettuato dalla pronuncia in esame è consistito nel chiarire il significato da attribuire alla nozione di «medesimo rapporto». Per esso deve intendersi anche la relazione di fatto che nel tempo è venuta a crearsi tra le parti: una medesima vicenda esistenziale, o sostanziale, alla quale sono riconducibili crediti che, pur non derivando dallo stesso singolo contratto, hanno quella relazione come presupposto comune. La seconda circostanza impeditiva della separazione delle domande riguarda l'identità del fatto costitutivo dal quale le domande derivano: da intendersi non come fatto storico uguale per tutte le pretese ma come fatto della stessa natura di quello già dedotto in giudizio, l'uno e l'altro costitutivi di crediti distinti ma tra loro giuridicamente analoghi per oggetto e per titolo. Si tratta di fatti della stessa natura, costitutivi di crediti distinti ma tra loro giuridicamente simili, come avviene nel caso di richieste di compensi per forniture varie in adempimento di un medesimo contratto o di compensi per prestazioni professionali nell'ambito di continuativa attività di consulenza. Il creditore che ha maturato pretese tra loro distinte (per la diversità dei fatti storici da cui hanno avuto origine, e per tale diversità insuscettibili di essere coperte dal giudicato formatosi sul diritto relativamente a un diverso periodo dello stesso rapporto di durata tra le parti) non può agire per la loro tutela processuale proponendo distinte domande in giudizio quando le dette pretese sono fondate su fatti costitutivi tra loro simili o analoghi. Se queste sono le linee offerte all'interprete e all'operatore dalla giurisprudenza, resta poi nella pratica da stabilire quando due crediti, riferibili al medesimo rapporto continuativo, siano «simili» o «analoghi». Tanto non potrebbe dirsi, ad esempio, delle domande di annullamento del licenziamento e di riqualificazione lavorativa, certamente tra loro non assimilabili, pur se hanno in comune la sussistenza del rapporto lavorativo; mentre lo sarebbero la domanda di annullamento del licenziamento e di risarcimento del danno conseguito alla sua illiceità nonché la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale e la separata richiesta di risarcimento del danno morale per lo stesso evento pregiudizievole (Cass. civ., sez. lav., ord. n. 26089/2019). In sostanza, il criterio stabilito dalla giurisprudenza impone una ricerca in fatto, affidata al giudice del merito e da effettuare caso per caso. Due situazioni valgono come temperamento contro la rigidità degli schemi. Il creditore è libero, nel rispetto del divieto di parcellizzazione del credito, di chiedere l'adempimento parziale della prestazione dovutagli, circostanza che consente di quantificare una porzione del credito maturato ad una certa data senza attendere che il dovuto venga a determinarsi in una finale somma omnicomprensiva; e che consente di chiedere un decreto ingiuntivo per la porzione documentalmente provata del credito e di agire poi con giudizio sommario di cognizione per quanto residua del dovuto (sul punto già Cass. civ., sez. un., 23726/2007). Inoltre, il creditore può dimostrare di avere un interesse oggettivamente tutelabile a proporre una domanda separata e a giustificarne pertanto la proposizione in via autonoma (in proposito è sufficiente richiamare Cass. civ., sez. un., n. 4090/2017, cui sono conformi Cass. civ., sez. un., n. 6591/2019, Cass. civ., sez. un., 17893/2018, Cass. civ., sez. un., 3102/2017). |