Un nuovo concetto di salute e applicazione del principio di solidarietà nelle obbligazioni risarcitorie
Paolo Mariotti
Raffaella Caminiti
09 Giugno 2021
Il drammatico impatto sociale ed economico della pandemia da Covid-19 ha reso ancora più evidente la centralità del principio di solidarietà nelle obbligazioni risarcitorie, anche con riferimento ai danneggiati.Il Focus recepisce i principali spunti offerti dalle riflessioni dottrinali e giurisprudenziali sul tema, anche in una prospettiva de iure condendo.
La nozione di «salute»
Nella Carta costituzionale e nella legge ordinaria non si rinviene una definizione di «salute», presente invece nel Preambolo dell'Atto costitutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (World Health Organization - WHO), ove è descritta come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità».
Pur in assenza di un'esplicita definizione, esaminando gli artt. 1 e 2 della legge che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale (l. 23 dicembre 1978, n. 833 e alcune disposizioni del codice civile (così gli artt. 342-bis e 2058 c.c. ) si evince che il legislatore identifica la salute come benessere fisico e psichico della persona.
Negli ultimi vent'anni, il concetto di «salute» si è ampliato per effetto di un orientamento dottrinario propenso a includere in questo lemma anche la serenità familiare e perfino la felicità.
Una definizione così ampia stride, invero, con la previsione dell'art. 32 Cost. nella parte in cui sancisce che la Repubblica deve tutelare la salute non solo come fondamentale diritto dell'individuo, ma anche come interesse collettivo, dovendo intendersi con ciò l'esigenza di bilanciare il diritto alla salute come bene individuale con il dovere di tutelare la salute nella sua dimensione sociale, ovvero, con la necessità che le prestazioni di cura siano assicurate a tutti.
La nozione di «salute» non può essere disgiunta, pertanto, dalla sua dimensione collettiva che prevede un sistema sanitario pubblico universale e gratuito, atto a garantire la salute di tutti i cittadini.
Un concetto di «salute» non individualista dunque, che – come ha rilevato qualificata dottrina (MATTEI) – si fonda sull'appartenenza delle persone a una comunità i cui componenti devono condividere non solo diritti fondamentali, ma anche sofferenze in una prospettiva solidaristica.
La tragedia della pandemia da Covid-19 ha messo sotto i riflettori l'importanza di un Servizio Sanitario Pubblico e i doveri dello Stato che – in esecuzione del principio di solidarietà costituzionalmente riconosciuto (art. 2 Cost. , in combinato disposto con l'art. 32 Cost. ) – avrebbe dovuto, ben prima del diffondersi della pandemia, potenziare il sistema sanitario, incrementando le risorse finanziarie per la ricerca, come pure il numero degli ospedali e, dunque, dei posti letto e dei reparti di terapia intensiva, il numero dei medici, degli infermieri e degli altri esercenti le professioni sanitarie.
La seconda ragione che confligge con un concetto di «salute» che includa la felicità è che la giurisprudenza non riconosce, nel nostro ordinamento, un diritto a essere felici.
Basta riandare, in proposito, alle parole della nota sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite del 2008, che si è pronunciata sull'inesistenza di un diritto alla felicità: «Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici» (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972 ).
Appare meritevole di citazione, sul punto, anche la sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte in tema di responsabilità medica da cosiddetta nascita indesiderata, ove si legge: «[...] Il supposto interesse a non nascere, com'è stato detto efficacemente in dottrina, mette in scacco il concetto stesso di danno. Tanto più che di esso si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell'attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come tale, indegna di essere vissuta (quasi un corollario estremo del c.d. diritto alla felicità)» (Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25767.
La salute e una diversa logica risarcitoria
Un nuovo concetto di «salute» meno individualista e più immerso nel sociale dovrebbe portare il legislatore, la giurisprudenza e la dottrina a elaborare una diversa logica risarcitoria, non ispirata soltanto alla tutela del bene salute come diritto individuale, ma anche alla tutela del benessere sociale e della ricerca scientifica, allo scopo di prevenire malattie ed epidemie e, dunque, a salvaguardia del bene salute nella sua dimensione sociale.
A rigore, il principio di solidarietà affermato dall'art. 2 Cost. , di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, dovrebbe trovare applicazione nei confronti non solo del danneggiante, ma anche del danneggiato.
Invero, alcune sentenze della Corte di cassazione e della Corte Costituzionale hanno già affermato che il principio di solidarietà costituzionale deve riguardare anche quest'ultimo. Possono farsi in proposito due esempi.
Le Sezioni Unite dalla Suprema Corte, con la già citata sentenza n. 26972/2008 (v. supra) hanno affermato che, affinché la lesione all'integrità psicofisica faccia sorgere il diritto al risarcimento del danno alla salute, occorre che essa sia grave, ovvero che ecceda la soglia della normale tollerabilità che una persona di comune sensibilità possiede. In altri termini l'offesa, per essere risarcibile, deve superare una certa soglia, necessaria in ragione di un limite di tollerabilità dovuta a ragioni di solidarietà sociale.
Il ragionamento è intuitivo: nella vita all'interno di una comunità, il dovere di solidarietà impone a tutti i consociati di tollerare le interferenze altrui quando queste ultime non superino la normale tollerabilità; e dunque, non può pretendersi un risarcimento del danno alla salute per lesioni all'integrità psicofisica al di sotto di una certa soglia minima («[...] Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)»).
Sempre a titolo esemplificativo si richiama la nota sentenza della Consulta del 2014 (Corte Cost., 16 ottobre 2014, n. 235 ), chiamata a stabilire la conformità alla Costituzione dell'art. 139cod. ass. nella parte in cui il legislatore ha stabilito un limite risarcitorio massimo del 20% per la personalizzazione del danno.
Dalla motivazione molto chiara della Corte Costituzionale, che ha rigettato l'eccezione di incostituzionalità della norma, possono ricavarsi i seguenti principi:
a) tutti i diritti, anche quelli inviolabili, devono essere bilanciati con il dovere di solidarietà previsto dall'art. 2 Cost. ;
b) il diritto all'integrale risarcimento del danno alla persona non rappresenta un valore assoluto e intangibile ma è consentito al legislatore bilanciarlo, con ragionevolezza, con interessi sovraindividuali, come appunto nel sistema di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata, «in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi».
Anche il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 138 cod. ass. , seppur determinato da lesioni di non lieve entità, non si sottrae al bilanciamento del relativo diritto con il principio di solidarietà exart. 2 Cost. , come si evince dall'incipit del primo comma («Al fine di garantire il diritto delle vittime dei sinistri a un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subito e di razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori [...]»).
In tal senso si è espressa autorevole dottrina (ROSSETTI), dopo aver riassunto la decisione n. 235/2014: «[...] I principi in essa affermati saranno estensibili anche ad eventuali norme che, in futuro, volessero disciplinare il quantum del risarcimento per le lesioni gravi, o per i danni non patrimoniali da uccisione di un prossimo congiunto? La dottrina su questo punto ha espresso varie perplessità […] Tutti coloro che hanno espresso perplessità dapprima sulle leggi che disciplinano il quantum del danno alla salute e poi sulla sentenza 235/14 che le ha ritenute conformi a Costituzione, muovono dal presupposto che la legge, fissando un tetto massimo al risarcimento, ridurrebbe quest'ultimo. Perché mai, chiedo io? Per affermare che il risarcimento legale è “ridotto” rispetto al risarcimento corretto, occorrerebbe prima stabilire quale sia il risarcimento corretto. Ma il punto è che né io, né chi mi sta leggendo, né nessuno mai seppe, sa o mai saprà in futuro quale sia il “giusto risarcimento” per una lesione della salute, lieve o grave che sia. […] Pertanto pretendere che il risarcimento che piace a noi sia quello “giusto”, mentre quello inferiore eventualmente stabilito dalla legge sia “riduttivo” e quindi ingiusto, è una pura assurdità. […] L'unico limite sarebbe quello della ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. , e la ragionevolezza delle leggi si misura sulla coscienza sociale di una determinata comunità, in un determinato luogo ed in un determinato momento storico […] il legislatore è sovrano e prevedere che il punto di invalidità debba valere 1.000 euro, 1.300 euro o 2.000 euro è una scelta sindacabile solo politicamente, non giuridicamente, e della quale solo il legislatore può portare il potere e la responsabilità».
Una prospettiva de iure condendo per l'applicazione del principio di solidarietà anche ai danneggiati
La pandemia da Covid-19 ha avviato tra gli studiosi di diritto civile una riflessione critica sull'attuale logica risarcitoria e, nella prospettiva di un concetto di «salute» nella sua dimensione collettiva, è stato posto il quesito se sia conforme al principio di solidarietà sociale che le somme liquidate nelle sentenze aventi ad oggetto una responsabilità medico-sanitaria siano destinate per intero ai danneggiati, ovvero se non sia più coerente con l'accezione di «salute» come sopra intesa e con il valore costituzionale di solidarietà che una quota – seppur minima – di tali somme sia destinata al Servizio Sanitario Nazionale, alla ricerca scientifica e all'assistenza pubblica, tanto più che, in tal modo, verrebbe indirettamente tutelata anche la salute dell'individuo danneggiato(MAGGIOLO).
Porre questo interrogativo, a maggior ragione nell'attuale tragico contesto pandemico, è più che lecito.
Muovendo dal presupposto che la salute è anche un interesse della collettività e che il dovere solidaristico enunciato dalla Costituzione all'art. 2 è vigente in capo a tutti i consociati, compresi i danneggiati, questa proposta pare ragionevole.
Un mutamento di prospettiva nel risarcimento del danno postulerebbe, tuttavia, un intervento del legislatore che consenta al giudice di destinare una quota del quantum risarcitorio in favore delle strutture sanitarie pubbliche o della ricerca.
L'Autore (MAGGIOLO) ha, peraltro, ipotizzato la seguente soluzione: «[…] pacificamente il risarcimento dei danni non patrimoniali non è un risarcimento, allora il denaro non può essere un ‘equivalente' risarcitorio. Sulla base di questa premessa, non ci vuole molto per ammettere un'idea di risarcimento in natura (concesso all'art. 2058 c.c. in alternativa a quello per equivalente) consistente nel fornire alle strutture deputate a curare e assistere i portatori di patologie cliniche, magari simili a quelle provocate dal responsabile dell'illecito, nel fornire loro i mezzi per migliorare i propri servizi e quindi fornire a tutti, ivi compresa la vittima dell'illecito, un'assistenza e cure più adeguate, più specializzate, più capaci di aiutare la guarigione o il miglioramento delle condizioni di vita».
Anche laddove questa proposta fosse ritenuta utopistica, in un'epoca governata da un esasperato individualismo, il giurista ha l'obbligo di propugnare nuove idee nell'ottica di un ordinamento più solidale, anche con riferimento alle obbligazioni risarcitorie.
In conclusione
In considerazione dell'appartenenza a una comunità di consociati, anche alle obbligazioni risarcitorie deve applicarsi il principio di solidarietà sociale, in adempimento dei doveri che la Carta costituzionale definisce inderogabili.
Il diritto delle obbligazioni deve essere, in tal senso, modellato sulla base dei principi dell'ordinamento positivo, dunque principalmente delle norme costituzionali e dei valori non solo di uguaglianza sostanziale, utilità sociale, libertà e dignità umana, ma anche di solidarietà.
L'applicazione di tali valori non può che essere riferita anche ai danneggiati, alla ricerca di un giusto equilibrio tra il diritto di costoro a un equo risarcimento del danno subito e il principio di solidarietà sociale.
Riferimenti
CENDON PAOLO, Non di sola salute vive l'uomo, Milano, 2015;
MAGGIOLO MARCELLO, Una autentica solidarietà sociale come eredità del coronavirus: per una diversa destinazione dei risarcimenti del danno alla salute, in Giustiziacivile.com, 2 aprile 2020;
MATTEI UGO, Beni comuni. Un manifesto, Roma-Bari, 2011;
MATTEI UGO – QUARTA ALESSANDRA, Punto di svolta. Ecologia, tecnologia e diritto privato. Dal capitale ai beni comuni, Sansepolcro, 2018;
MARIOTTI PAOLO, Un risarcimento del danno solidale, in Insurance Daily, 10 dicembre 2020;
MARIOTTI PAOLO - CAMINITI RAFFAELLA, L'applicazione del principio di solidarietà nei rapporti contrattuali: stato dell'arte e prospettive future, in Ridare.it, 3 marzo 2021:
ROSSETTI MARCO, Il danno alla salute, Padova, 2017, pag. 155 e ss.;
ZATTI PAOLO, Il diritto a scegliere la propria salute, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2000, vol. 16.
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Sommario
La nozione di «salute»
Una prospettiva de iure condendo per l'applicazione del principio di solidarietà anche ai danneggiati