Filtro in appello: è nulla l'ordinanza emessa dopo la trattazione della causa
09 Giugno 2021
Massima
L'inosservanza da parte del giudice di appello della specifica previsione contenuta nell'art. 348-ter c.p.c., comma 1, primo periodo, di dichiarare, dopo avere sentito le parti, inammissibile l'appello, che non ha ragionevole probabilità di essere accolto, prima di procedere alla sua trattazione ex art. 350 c.p.c., costituisce un vizio proprio dell'ordinanza di inammissibilità resa in applicazione dell'art. 348-bis c.p.c., comma 1: tale violazione della legge processuale è deducibile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 7, senza che sia anche necessario valutare se dalla stessa sia derivato un concreto ed effettivo pregiudizio al diritto di difesa delle parti, avendo il giudice di appello, dopo l'inizio della trattazione, perduto il potere di definire anticipatamente il merito della lite mediante l'ordinanza predetta. Il caso
Proposto appello avverso una sentenza di rigetto, la Corte territoriale adìta, dopo aver inizialmente escluso di definire il giudizio ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c., ammetteva una prova testimoniale fissando la relativa udienza per l'assunzione. Nelle more l'appellato presentava istanza di revoca dell'ordinanza di ammissione della prova per testi, contemporaneamente insistendo per la definizione del giudizio di appello con ordinanza-filtro ex art. 348- bis c.p.c.; instaurato il contraddittorio delle parti sul punto, la Corte di appello sospendeva l'esecuzione delle attività istruttorie inizialmente previste e fissava una nuova udienza per la discussione sul merito delle istanze avanzate dalla parte convenuta in appello, all'esito della quale, con ordinanza emessa fuori udienza, dichiarava l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c. per la ritenuta mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento. Avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., deducendosi che la decisione sull'appello recata dall'ordinanza era stata assunta in violazione degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., in quanto il provvedimento era stato emesso dopo l'apertura della fase della trattazione dell'appello. La questione
Viene chiesto alla Corte se l'ordinanza di inammissibilità dell'appello per mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento pronunciata dopo che il giudice di appello aveva proceduto alla trattazione della causa debba ritenersi affetta da nullità per violazione dell'art. 348-ter c.p.c. Le soluzioni giuridiche
La Prima sezione della Cassazione, con la sentenza in commento, dichiara fondato il motivo di ricorso. L'art. 348-ter, comma 1, primo periodo, c.p.c. prevede espressamente che l'ordinanza di inammissibilità dell'appello che non abbia una ragionevole probabilità di essere accolto possa essere emessa «all'udienza di cui all'art. 350 c.p.c., prima di procedere alla trattazione, sentite le parti»; nel caso di specie, invece, l'ordinanza impugnata era stata emessa dopo l'esaurimento della prima udienza di trattazione, avendo la Corte d'Appello, avvenuta la discussione sull'istanza di definizione accelerata del giudizio di appello e sulle istanze istruttorie, emesso pronuncia su tali istanze. Pertanto, per la Cassazione la revoca di tale decisione e l'emissione dell'ordinanza filtro di inammissibilità dell'appello, sebbene emessa all'esito del contraddittorio delle parti sul punto, ha determinato una (non consentita) regressione del processo alla fase preliminare alla sua trattazione, con conseguente nullità del provvedimento impugnato, avendo la Corte d'Appello perduto, dopo l'inizio della trattazione, il potere di decidere con ordinanzail merito dell'appello proposto contro la sentenza di primo grado. Osservazioni
Con la decisione che qui si commenta, la Cassazione ribadisce alcuni principi già consolidati all'interno della giurisprudenza della Corte stessa. In particolare, viene, in ossequio a quanto per la prima volta affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 1914/2016, ribadito il principio secondo cui l'ordinanza filtro resa ai sensi dell'art. 348-bis è passibile di ricorso (straordinario) per cassazione per vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale, purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso, in virtù del rilievo secondo cui il non consentire il controllo in sede di legittimità del rispetto delle disposizioni di legge processuale determinerebbe l'insindacabilità della «decisione» che «nega» alla parte il giudizio d'appello e, per tale via, la soppressione del fondamentale diritto di azione costituzionalmente garantito. Partendo da tale principio e da quello – ad esso strettamente coordinato – secondo cui dopo la proposizione dell'appello tanto l'appellante quanto le altre parti hanno diritto a che il giudizio sia definito (salvo il verificarsi degli eventi, accidentali, previsti dalla legge processuale) con sentenza ricorribile per cassazione, la Cassazione osserva che il disposto dell'art. 348-bis, comma 1, c.p.c., comprimendo tale facoltà, ha carattere eccezionale. Da tale premessa la S.C. ricava che il potere del giudice d'appello di negare il giudizio di appello e di definire il processo con ordinanza di inammissibilità dell'impugnazione quando questa non ha una ragionevole probabilità di essere accolta va esercitato in senso restrittivo, dovendosi garantire non solo il rispetto del principio del contraddittorio, ma anche quello della scansione temporale prevista dall'art. 348-ter, che al comma 1 prevede che il giudice di appello può emettere ordinanza di inammissibilità immediatamente dopo la verifica della regolare costituzione delle parti e sempre prima di procedere alla trattazione. Dunque, una volta iniziata la trattazione, il giudice d'appello perde, per volontà della legge, il potere di negare alle parti il giudizio di appello e di decidere il merito dell'impugnazione con il provvedimento di inammissibilità. Ne consegue che risulta viziata, per violazione della legge processuale, l'ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. che venga emessa (non già prima ma) durante la trattazione della causa, perché in questa fase del processo si attua la compiuta esposizione delle ragioni in fatto e in diritto che sorreggono le domande e le eccezioni proposte e un pieno confronto dialettico, tra i difensori delle parti, in ordine alla loro fondatezza. La decisione qui sinteticamente riportata merita ampio apprezzamento: non pare dubbio che se almeno sulla carta il giudice potrebbe essere indotto ad un'interpretazione rigorista della nozione di ragionevole probabilità di accoglimento, complice quello che è stato definito il «fascino discreto dell'insindacabilità» che l'ordinanza filtro porta con sé (Impagnatiello, Crescita del Paese e funzionalità delle impugnazioni civili: note a prima lettura del d.l. 83/2012, in www.judicium.it, 2012), è altrettanto vero che l'istituto del filtro in appello per gli avvocati può sostanziarsi in un'irrimediabile compressione del diritto di difesa. Per tale motivo, tutte le interpretazioni volte a ridimensionare l'ambito di operatività dell'istituto sono da accogliersi con estremo favore. Ciò è quanto è in primo luogo accaduto con la decisione a Sezioni unite n. 1914/2016, cit., la quale, come si è già avuto modo di accennare, ha ammesso l'impugnabilità immediata dell'ordinanza per vizi propri di carattere processuale e tanto alla luce non solo della natura decisoria dell'ordinanza filtro, come tale ricorribile in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., ma anche del rischio di una deriva arbitraria che si realizzerebbe laddove si consentisse al solo giudizio prognostico del giudice di appello la decisione circa l'opportunità che quella controversia abbia un secondo grado di giudizio o meno. Soprattutto, appare legittimo limitare il potere del giudice di filtrare gli appelli a lui proposti alla sola fase iniziale del giudizio, prevedendo un confronto mirato sul punto tra le parti e il giudice, in ossequio al principio del contraddittorio di cui all'art. 101 c.p.c. Il giudice potrà allora determinarsi per la pronuncia dell'ordinanza-filtro solo subito dopo che abbia adempiuto alla verifica della regolare costituzione delle parti nel giudizio di appello e mai successivamente a tale fase: diversamente incorrerebbe nella violazione del comma 1 dell'art. 348-ter c.p.c., e pronuncerebbe un'ordinanza affetta da un vizio procedurale; in altre parole, il contraddittorio allargato tra il giudice e le parti deve riguardare esclusivamente i profili di inammissibilità dell'appello, perdendo il giudice il potere di filtrare l'appello laddove le parti dovessero travalicare il limite del filtro e spingersi fino alla vera e propria trattazione della causa. Che tale attività debba essere svolta in limine litis è evidente anche quando si consideri sarebbe incongruo permettere che ad una cognizione piena in appello possa seguire un riesame dello stesso in forme sommarie, come accade nel caso in cui il giudice adìto propenda per la applicazione del meccanismo del filtro. Alla medesima conclusione si dovrebbe addivenire quand'anche i giudici volessero intendere la ragionevole probabilità di accoglimento come cognizione piena (come invero sembra opinare anche la Cassazione), dovendosi questa limitare alla disamina delle ragioni che impediscono alla corte di esaminare i motivi di appello proposti, in quanto, opinare il contrario, appare in contrasto con il principio di ragionevolezza e di proporzione del mezzo allo scopo: a ben vedere, una volta che il giudice abbia studiato il caso, tanto varrebbe pronunciarsi con sentenza, anziché con ordinanza. Si tenga peraltro presente che è già connaturata alla disciplina dell'appello la possibilità per il giudice di decidere con forme semplificate, ben potendo costui avvalersi del meccanismo della c.d. sentenza contestuale di cui agli artt. 281-sexies e 352 c.p.c. Se non vi fosse allora la preclusione temporale delineata dall'art. 348-ter non vi sarebbe in pratica alcuna differenza, in termini di tempo ed impegno richiesti al giudice, tra l'ordinanza filtro e la sentenza con lettura del dispositivo e della motivazione in udienza ex art. 352 c.p.c. Di ciò pare essere consapevole anche la Commissione per l'elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti allo stesso alternativi presieduta dal prof. Luiso, la quale ha integralmente ridisegnato l'istituto del filtro in appello, tramite la riformulazione dell'art. 348-ter nei seguenti termini: «All'udienza di cui all'articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, ove ritenga l'appello proposto manifestamente infondato per ragioni di merito o di rito, lo dichiara con sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 281-sexies, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi». Riferimenti
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